Un'intesa concertata in segreto tra il vicepremier fascista Fini e il segretario della Cisl Pezzotta
RESPINGERE L'ACCORDO BIDONE SUL PUBBLICO IMPIEGO
Riconfermati concertazione e "politica dei redditi''. Aumenti salariali insufficienti e meritocratici. Rimangono le privatizzazioni e l'esternalizzazione degli Enti. A rischio le liquidazioni. I sindacalisti collaborazionisti fanno un regalo al governo revocando lo sciopero generale. In cambio daranno via libera alle leggi delega?
I SINDACATI DI BASE CONFERMANO LO SCIOPERO E LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA
A pochi giorni di distanza dal 15 febbraio, lo sciopero generale del pubblico impiego e della scuola (3,5 milioni di addetti) proclamato dai sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, sembrava inevitabile tanti e tali erano i motivi della protesta, tante e tali erano le distanze tra le richieste contrattuali e sindacali e le risposte del governo Berlusconi. Motivi che riguardavano: l'insufficienza delle risorse previste per rinnovare i contratti di lavoro; lo stravolgimento delle contrattazione integrativa; l'esternalizzazione e la privatizzazione dei servizi e di attività tipiche della funzione pubblica; il blocco delle assunzioni; la privatizzazione degli istituti di ricovero e cura, la privatizzazione dei musei; la riduzione dei finanziamenti alla ricerca; il decreto legge Sirchia sulla sanità; la "riforma'' Moratti per la scuola; più in generale le leggi delega sull'art.18 dello "Statuto dei lavoratori'', la previdenza e il fisco.
E invece, ecco il colpo di scena! Berlusconi in persona ha incaricato il vicepremier fascista, Gianfranco Fini, di affiancare il ministro della Funzione pubblica, Franco Frattini al tavolo delle trattative con un mandato più ampio sia per la parte economica che per quella normativa (671 milioni di euro, 1.300 miliardi di lire in totale, in una buona parte ancora da reperire). E tanto è bastato ai vertici sindacali collaborazionisti, Cisl in testa, per cantare vittoria, e firmare nella notte del 4 febbraio un accordo bidone, il classico piatto di lenticchie, e revocare lo sciopero generale.
LA PAURA DELLA PIAZZA
Ma andiamo per ordine, cercando di capire cosa è successo. Berlusconi che, oltre alla magistratura teme fortemente la piazza (memore di quanto successe nel '94 contro la sua "riforma'' delle pensioni), comincia a preoccuparsi seriamente perché gli scioperi generali regionali di quattro ore hanno avuto adesioni altissime e portato nei cortei oltre un milione di lavoratori. Dai congressi nazionali di categoria della Cgil sale la richiesta dello sciopero generale di tutte le categorie. E i sindacati confederali del pubblico impiego promettono di portare a Roma il 15 febbraio 500 mila manifestanti. Occorre perciò, deve aver detto il neoduce di Arcore ai suoi, buttare qualche briciola sul tavolo delle trattative, smussare i toni dello scontro, corteggiare i vertici sindacali, ridando loro un po' di spazio concertativo e così depotenziare la protesta.
Si spiega così l'improvvisa dichiarazione di Fini di sospendere per il momento, la discussione sulle modifiche dell'art.18 per favorire i licenziamenti senza "giusta causa''. Si spiega così l'incontro segreto organizzato dal leader di Alleanza nazionale col segretario generale della Cisl, Savino Pezzotta alla guida di altri cinque dirigenti cislini in una saletta riservata del lussuoso Hotel romano de Russie, quest'ultimi entrati furtivamente dalla porta della lavanderia, per strappare un consenso preventivo alla nuova proposta governativa. Si spiega così la sua partecipazione diretta inconsueta, non giustificata da incarichi governativi attinenti alla materia, alla definizione finale e alla firma dell'accordo. Un accordo, va notato, conseguito senza alcun coinvolgimento dell'Aran, cioè dell'agenzia incaricata per legge dallo Stato di tenere le relazioni sindacali con le categorie del pubblico impiego.
è paradossale, per non dire penoso, vedere i sindacalisti che, materialmente hanno siglato l'intesa, Pezzotta per la Cisl, Angeletti per la Uil ed Epifani per la Cgil (quest'ultimo in costante contatto telefonico con Cofferati di cui sarà a giugno il successore, impegnato a scrivere il suo discorso congressuale), spacciare per una vittoria la manciata di soldi gettata dal governo, fortemente insufficiente, non per tutti e per giunta vincolata all'"efficienza'' e alla "produttività''. Un giudizio ingannatorio questo, che trova eco sui quotidiani dell'area del "centro-sinistra'' come "la Repubblica'' e l'Unità" che rispettivamente titolano: "Vince il sindacato''; "Vincono i lavoratori''. La realtà è che le aspettative dei lavoratori, sul fronte dello sviluppo della lotta e su quello rivendicativo sono state tradite!
TRADITE
LE ASPETTATIVE DEI LAVORATORI
Che nell'intesa sia stato confermato il protocollo governo-sindacati sulla politica dei redditi del 23/7/1993 per la "stagione negoziale 2000-2005 è tutt'altro da considerarsi che una vittoria, come la pratica di questi ultimi 9 anni insegna, perché subordina la dinamica salariale all'inflazione programmata e non permette di difendere il potere d'acquisto delle retribuzioni. D'altronde le risorse finanziarie stabilite per i rinnovi dei contratti, con un incremento complessivo del 5,56%, pari a un aumento medio delle retribuzioni di 195.000 lire mensili lorde, che diventeranno 110 al netto, sono del tutto insufficienti a recuperare la perdita di acquisto delle retribuzioni rispetto all'inflazione reale (pari a circa il 15-20% per gli insegnanti tra il 1990 e il 2000) e meno che mai a garantire un salario di tipo europeo ai dipendenti pubblici italiani. Ma l'aspetto più grave è come, se e quando questi incrementi retributivi saranno distribuiti allorché le categorie si accingeranno a rinnovare i rispettivi contatti. Infatti, solo una parte minoritaria delle risorse, al di sotto del recupero dell'inflazione reale, è destinata all'incremento dei minimi tabellari; il resto è destinato alla contrattazione decentrata per finanziare meccanismi selettivi legati alla produttività e all'efficienza, a premi individuali meritocratici e dunque non a tutti. Con il risultato di ridurre, in un'ottica puramente padronale, il rapporto tra stipendio fisso e quello variamente incentivato, a favore di quest'ultimo. Col risultato di aumentare lo sfruttamento dei lavoratori e di metterli in competizione tra loro.
Analogamente non può essere considerata una vittoria la riconferma del metodo della concertazione e nel caso specifico l'apertura di un tavolo di confronto permanente circa la privatizzazione e l'esternalizzazione di servizi garantiti sin qui dalla pubblica amministrazione e di un secondo tavolo permanente di confronto su scuola, Università e Ricerca (organici, investimenti e organizzazione del lavoro). Tutt'altro! Già con i governi di "centro-sinistra'' la concertazione ha significato far pagare duramente alle masse lavoratrici e popolari l'entrata dell'Italia nell'euro. Rinunciare alla lotta e offrire a questo governo di stampo neofascista e iperliberista, la "pace sociale'', una collaborazione, di fatto neocorporativa mussoliniana, vuol dire dare il via libera alle sue controriforme contenute nel "libro bianco'' di Maroni e negli altri disegni di legge in discussione e in programmazione.
"PACE SOCIALE''
E ART.18
LE CONTROPARTITE
La domanda è d'obbligo: i sindacati di regime, sia pure tra le ipotesi possibili, ritengono ancora necessario lo sciopero generale di tutte le categorie contro la politica economica del governo? Quale sarà il loro atteggiamento verso le leggi delega su "mercato del lavoro'', previdenza e fisco, continueranno a chiederne la revoca, oppure si apprestano a una trattativa concertativa? Per la Cisl e la Uil la risposta c'è già: scartano lo sciopero generale e si rendono disponibili alla trattativa. Nel congresso della Cgil Cofferati ha mantenuto la possibilità dello sciopero generale. Ma intanto ha accettato il suddetto accordo sul pubblico impiego che, tra le altre cose già dette, ha anche il punto riguardante il Tfr, ossia la destinazione della liquidazione nei fondi di pensione integrativa. Sapendo che il governo si appresta a varare un disegno di legge per rendere obbligatorio il versamento del Tfr nei fondi pensione, attraverso il metodo della cartolarizzazione, a tutto vantaggio delle aziende.
è grave, molto grave che i sindacalisti di regime, in ultima analisi, abbiano ridotto l'accordo alla sola questione del rinnovo contrattuale, peraltro sulla base di un compromesso molto al ribasso, e che abbiano revocato lo sciopero nonostante che la gran parte dei motivi per cui era stato indetto sono rimasti intatti. Che riguardano anche la delega sulla scuola ottenuta dalla Moratti; che prevede la regionalizzazione e quindi la privatizzazione di oltre metà dell'intero sistema scolastico, la riduzione a 25 ore settimanali, la cancellazione definitiva del tempo pieno e, di conseguenza, l'eliminazione di 136.000 di lavoro posti nella scuola pubblica.
I commenti del governo, Berlusconi e Fini in testa, e a seguire i ministri Frattini, Marzano, Maroni, Moratti sono rivelatori sulla qualità politica e sindacale dell'accordo e di cosa si aspettano, come contropartita dai vertici sindacali. Tutti loro, all'unisono, mettono in risalto l'aspetto principale dell'intesa che ritengono qualificante, che riguarda l'utilizzo delle risorse stanziate "prevalentemente legate alla produttività dei dipendenti'' cosicché, ci tiene a precisare Frattini, "la parte economica del contratto non rappresenta un mero recupero salariale''. Tutti loro invocano un disgelo e un confronto più collaborativo dei sindacati, soprattutto sull'articolo 18 dello "Statuto dei lavoratori''.
Ora però spetta ai lavoratori del pubblico impiego dire l'ultima parola sull'intesa e sulla sua validità; anche se nessuno delle confederazioni ha annunciato la doverosa e vincolante consultazione della base. Gliela devono dare, sono obbligati a dargliela, diversamente dovrà essere considerata illegittima! Tra i lavoratori, questo è certo, non c'è lo stesso entusiasmo dei vertici sindacali. Anzi sale il dissenso e la protesta. Centinaia di delegate e delegati delle Rsu hanno firmato un appello per respingere con determinazione l'accordo sul rinnovo del contratto dei lavoratori pubblici e invitano tutti i lavoratori a partecipare allo sciopero generale del 15 febbraio e alla manifestazione nazionale che si terrà a Roma. Sciopero promosso a suo tempo dal sindacalismo di base (Slai Cobas, RdB, Cobas scuola, ecc.) per l'intera giornata i quali lo hanno confermato, anche contro l'accordo bidone firmato dai confederali. Aderirà allo sciopero e alla manifestazione anche Lavoro e società-Cambiare rotta della scuola.
Il PMLI si schiera con coloro che contestano l'accordo e proseguono la lotta. Sarà perciò con i lavoratori in piazza per portare la sua solidarietà militante.

13 febbraio 2002