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Stalin, la vita e l'opera

Capitolo 8
Lenin e Stalin stretti compagni d'armi nella difesa e nella edificazione del primo stato socialista


 

Lenin e Stalin fianco a fianco a dirigere l'insurrezione rivoluzionaria d'Ottobre e, successivamente a dare vita al grande capolavoro storico della costruzione del primo Stato socialista. È un'immagine non retorica dovuta al ruolo di artefici che questi due grandi maestri del proletariato internazionale hanno avuto in questa titanica impresa, ma che emerge dalla realtà concreta dell'impegno quotidiano dei due dirigenti bolscevichi, da tanti vissuta o semplicemente vista e che, qualcuno, ha anche descritto. È il caso di Pestovsky, bolscevico di origine polacca, funzionario del Commissariato del popolo per le nazionalità, che con Stalin divideva l'ufficio a palazzo Smolny, quasi attiguo a quello di Lenin. "Lenin non poteva fare a meno di Stalin neppure per un solo giorno - scrisse Pestkovski -. Durante la giornata lo chiamava un numero infinito di volte oppure compariva nell'ufficio mio e di Stalin e se lo portava via. Stalin passava la maggior parte delle ore con Lenin nello studio di quest'ultimo".61
È questa una delle tante, semplici testimonianze che rendono però viva e palpabile l'affinità del pensiero, l'impegno comune nell'analizzare e nell'affrontare le diverse situazioni e nel condurre il partito a vincere le più dure, difficili e decisive battaglie politiche. Una delle prime che il partito affrontò all'indomani della vittoria della Rivoluzione d'Ottobre, fu la battaglia per la pace.


Brest-Litovsk

Immediatamente dopo la promulgazione da parte del Congresso dei Soviet del "Decreto sulla pace" il governo sovietico, attraverso la nota ufficiale dell'8 novembre, propose a tutti i governi degli Stati belligeranti di intavolare negoziati di pace, accludendo ad essa il testo del Decreto dei Soviet. Seguirono poi altri atti volti a raggiungere l'obiettivo. Uno fu trasmesso ai paesi neutrali: Svezia, Danimarca, Norvegia ecc., nel quale si chiedeva di favorire, con un loro intervento, l'inizio di negoziati. Successivamente, il 28 novembre, il 6 dicembre e ancora il 30 gennaio 1918, altri appelli furono rivolti direttamente ai governi di Stati Uniti, Francia e Inghilterra. A questi atti ufficiali e note non venne mai data risposta.
Visto che i governi dell'Intesa rifiutarono sprezzantemente, lasciandola cadere nel silenzio, la proposta sovietica di negoziare una pace giusta e democratica, il governo sovietico decise, su mandato dei Soviet, di impegnarsi in trattative con Germania e Austria, per raggiungere un armistizio. Gli incontri iniziarono il 2 dicembre a Brest-Litovsk e portarono, il 15 dicembre 1917, alla firma dell'armistizio tra la Russia sovietica e la coalizione austro-tedesca. In base a quest'accordo l'esercito tedesco rimaneva attestato su tutto il territorio russo che in quel momento occupava, ma, e queste erano le clausole irrinunciabili che aveva posto il governo sovietico, l'Austria e la Germania non potevano trasferire truppe sul fronte occidentale, sfruttando l'armistizio per rafforzare la loro posizione militare nei confronti dell'Intesa e, inoltre, non dovevano ostacolare la politica sovietica di "fraternizzazione al fronte" che, attraverso materiale di propaganda e contatti organizzati fra le truppe, puntava allo sviluppo e al rafforzamento di relazioni amichevoli tra i popoli. L'armistizio aveva una durata di 28 giorni e si intendeva tacitamente rinnovato, se non in presenza di un avviso di ripresa delle ostilità comunicato con un anticipo di almeno sette giorni da parte di chi intendesse riaccendere il conflitto. Durante l'armistizio poteva essere avviato il negoziato per giungere alla stipula di un trattato di pace. Negoziato che in effetti si aprì il 22 dicembre 1917. La delegazione sovietica propose il suo progetto volto a concludere una pace giusta e democratica senza annessioni, né riparazioni. Ma la delegazione della "Quadruplice Alleanza" (Germania, Austria-Ungheria, Bulgaria e Turchia) guidata dal ministro degli esteri tedesco Kuhlmann, il 18 gennaio 1918 presentò in termini pressoché ultimativi un piano che prevedeva la perdita per la Russia di circa 150 mila kmq. di territorio comprendente l'Ucraina, parte dei paesi baltici e della Bielorussia. Trotzki, capodelegazione sovietico, chiese a quel punto una sospensione di dieci giorni del negoziato per tornare a Pietrogrado, consultare il suo governo e riceverne le dovute istruzioni.
La situazione in cui, in quel periodo, si trovava la giovane Repubblica sovietica era di drammatica durezza sia sul piano economico e sociale, che su quello militare e delle condizioni materiali di vita della popolazione. Il potere operaio e contadino non era ancora saldamente consolidato, né stabilmente avviato era il processo di costruzione del nuovo ordinamento economico e sociale. Il vecchio esercito era in completa dissoluzione e vi era la necessità di avviare in breve tempo l'opera di costruzione dell'Esercito rosso.
Per ottemperare a questi compiti era necessario finire la guerra. Finché la Russia continuava ad essere in guerra contro l'Austria e la Germania, in quel momento la più rapace e pericolosa coalizione imperialista, non sarebbe stato possibile affrontare e risolvere quelle che erano le necessità improcrastinabili e vitali per la classe operaia e i contadini poveri della Russia: consolidare il potere sovietico e il processo di trasformazione socialista del paese e di costruzione del nuovo esercito rosso.
Il negoziato di Brest-Litovsk aveva reso evidente che l'imperialismo tedesco voleva per sé una parte cospicua dei territori dell'ex impero zarista ed asservire alla Germania la Polonia, l'Ucraina e le regioni del Baltico proseguendo nella sua politica predatoria e di rapina. L'altro fronte imperialistico, costituito dai paesi dell'Intesa, voleva a sua volta che la Russia continuasse la guerra sia per lasciare aperto il fronte orientale nel conflitto che li vedeva impegnati contro i paesi dell'Impero centrale, sia per indebolire il nuovo Stato socialista e annientarne il potere sovietico utilizzando a questo fine le armate tedesche e unificando e organizzando tutte le forze controrivoluzionarie all'interno del paese.
Il giovane Stato sovietico affrontò allora la sua prima, profonda crisi e l'aspra battaglia politica che essa scatenò. Una battaglia che il partito bolscevico sostenne e vinse dopo un durissimo scontro con la borghesia, i proprietari fondiari e la vecchia casta burocratico-militare; contro i partiti menscevico, socialista-rivoluzionario di destra e di sinistra (quest'ultimo entrato in un primo momento a far parte del governo sovietico). Tutti questi controrivoluzionari scatenarono una forsennata agitazione per impedire la firma del trattato di pace, trovando, in questa loro azione, degli alleati anche all'interno del partito. Bucharin in particolare, assieme a Radek e Piatakov, aveva infatti formato una frazione interna all'organizzazione bolscevica: i cosiddetti "comunisti di sinistra". Questo gruppo, mascherandosi dietro una fraseologia pseudorivoluzionaria, lanciò la parola d'ordine della "guerra rivoluzionaria" e, in alleanza con Trotzki, si scagliò contro Lenin nel tentativo di isolarlo all'interno del Comitato centrale e imporre così la continuazione della guerra. Lenin, rispetto all'evolvere della situazione interna ed internazionale, aveva preparato le "Tesi sulla conclusione immediata di una pace separata e annessionistica" nelle quali analizzava dettagliatamente i motivi che imponevano la firma del trattato imposto dai tedeschi, chiedendo al partito di non tergiversare oltre e criticando con forza e lungimiranza la politica e l'azione svolta da Trotzki e Bucharin.
"Il marxismo - scrive Lenin nel Poscritto alle "Tesi sulla conclusione immediata di una pace separata e annessionistica" - esige che si tenga conto delle condizioni obiettive e del loro mutamento, bisogna porre la questione in modo concreto, in funzione di queste condizioni, e il mutamento radicale consiste ora nella creazione della Repubblica dei soviet di Russia: al di sopra di tutto, sia per noi che dal punto di vista del socialismo internazionale, vi è la salvaguardia di questa repubblica, della rivoluzione socialista già iniziata, in questo momento la parola d'ordine della guerra rivoluzionaria da parte della Russia significherebbe o una frase vuota e un inutile gesto dimostrativo, o equivarrebbe obiettivamente a cadere in una trappola tesaci dagli imperialisti che vogliono trascinarci nella continuazione della guerra imperialistica come una particella ancora debole, e schiacciare, pagando il minimo prezzo, la giovane Repubblica dei soviet".62
Nella riunione del 24 gennaio il Comitato centrale bolscevico, grazie alla chiara e ferma azione politica in esso condotta da Lenin e Stalin sostenuta, tra gli altri, da Sverdlov responsabile dell'organizzazione del partito, respinse le posizioni sostenute da trotzkisti e "comunisti di sinistra", dando mandato alla delegazione sovietica a Brest-Litovsk di protrarre quanto più possibile la trattativa ma, quando ciò non fosse più stato possibile, di firmare la pace. Trotzki, infrangendo a tradimento e in modo irresponsabile le decisioni del CC del partito e il preciso mandato del governo sovietico, ribadite in un telegramma che Lenin e Stalin inviarono alla delegazione da lui diretta, ruppe, il 10 febbraio 1918, le trattative rifiutandosi di firmare la pace alle condizioni poste dalla Germania dichiarando ai rappresentanti della coalizione austro-tedesca, che la Russia non avrebbe continuato la guerra né avrebbe interrotto la smobilitazione dell'esercito.
Fu un atto inqualificabile, che arrecò un danno gravissimo alla Repubblica sovietica e che avrebbe perfino potuto comprometterne l'esistenza.
Il 18 febbraio in sleale violazione dell'armistizio, le armate austro-tedesche attaccarono la Russia sovietica, sviluppando l'offensiva principale sulla capitale Pietrogrado e conquistando in un breve lasso di tempo, una parte considerevole di territorio sovietico, di equipaggiamenti, materiale bellico e munizioni.
Trotzkisti e buchariniani avevano esposto la Russia sovietica a un pericolo mortale.
Lenin richiese il 19 febbraio la convocazione urgente del Consiglio dei Commissari del popolo. Il CCP inviò un radiogramma al governo tedesco annunciando la disponibilità sovietica alla firma del trattato di pace sulla base delle condizioni poste a Brest-Litovsk, ma non ottenne alcuna risposta, mentre l'esercito tedesco continuava nella sua avanzata. Il 21 febbraio Lenin e Stalin danno direttiva alle organizzazioni di partito di Pietrogrado di organizzare la resistenza contro gli invasori tedeschi. La stessa direttiva Stalin dà ai bolscevichi di Kiev. Il 22 febbraio il Consiglio dei Commissari del popolo lanciò l'appello al popolo sovietico per la mobilitazione generale. Il giorno successivo gli operai e la popolazione di Pietrogrado in armi si schierarono a fianco dei reparti rivoluzionari ancora operativi del vecchio esercito respingendo nei pressi di Pskov e Narva, nell'immediata periferia della capitale, l'assalto dell'esercito tedesco. Fu grazie a questa eroica resistenza di popolo, che verrà ricordata anche come l'atto di nascita dell'Armata Rossa, che l'avanzata delle armate tedesche fu bloccata. Il governo tedesco inviò il suo ultimatum chiamando i sovietici a Brest-Litovsk per la firma del trattato di pace.
Nello stesso giorno, il 23 febbraio, si riunì il CC bolscevico. A maggioranza il massimo organo dirigente del partito approvò la linea leninista favorevole alla conclusione del trattato di pace con la Germania. Trattato che venne infine siglato a Brest-Litovsk il 3 marzo 1918.
Ma anche in questa riunione trotzkisti e "comunisti di sinistra" non mancarono di attaccare in modo aperto Lenin e, con lui, il partito bolscevico. Il loro intento ormai era chiaro: dividere i militanti e i dirigenti dell'organizzazione, lacerare il tessuto unitario del partito per favorire una scissione e provocare la disgregazione del partito. Ciò emerse in modo evidente quando, dopo la conclusione del CC, si riunì il Comitato di partito di Mosca di cui si erano provvisoriamente impadroniti i "comunisti di sinistra". Quella riunione approvò una risoluzione con annesso un testo esplicativo nei quali, tra l'altro, si leggeva testualmente: "...il Comitato della regione di Mosca del POSDR(b) esprime la sua sfiducia nel CC, a causa della sua linea politica e delle persone che ne fanno parte... non si ritiene obbligato a sottomettersi comunque a quelle decisioni del CC che saranno connesse all'applicazione delle condizioni del trattato di pace con la Germania e l'Austria". E, ancora: "Il Comitato della regione di Mosca ritiene difficilmente evitabile una scissione nel prossimo futuro... Nell'interesse della rivoluzione internazionale riteniamo oppurtuno ammettere la possibilità di perdere il potere sovietico, che sta diventando ora puramente formale". Lenin marchiò a fuoco quella ignobile risoluzione, bollandola come un atto "strano e mostruoso".


Al servizio del Partito e dello Stato sovietico

La battaglia che, in questa occasione, Lenin, Stalin e Sverdlov sostennero e vinsero contro Trotzki e Bucharin, fu una delle più accanite lotte in cui venne trascinato il Comitato centrale e l'intero partito.
Per risolvere definitivamente questa e altre questioni importanti, venne convocato il VII Congresso del POSDR(b) che svolse i suoi lavori dal 6 all'8 marzo 1918. Il Congresso approvò con una mozione la conclusione della pace di Brest-Litovsk, sottolineando inoltre l'inevitabilità di nuovi attacchi alla Repubblica dei soviet da parte degli Stati imperialisti, mobilitando tutto il partito ad assolvere nel migliore dei modi agli impegni di rinsaldare la disciplina al suo interno e fra le masse operaie e contadine; a preparare la difesa della patria socialista; a dare un'istruzione militare generale al popolo e ad organizzare l'Esercito Rosso.
Stalin sottolineò la giustezza di questa scelta politica: "La conclusione della pace di Brest-Litovsk - scrisse nella Storia del Partito comunista (bolscevico) dell'URSS - permise al partito di guadagnare tempo per consolidare il potere sovietico, per riordinare l'economia del paese. La conclusione della pace permise di valersi dei conflitti nel campo dell'imperialismo (la guerra che continuava tra il blocco austro-tedesco e l'Intesa), di disgregare le forze dell'avversario, di organizzare l'economia sovietica, di creare l'Esercito Rosso. La conclusione della pace permise al proletariato di conservare l'appoggio dei contadini e di raccogliere le forze per battere i generali bianchi, durante la guerra civile. Nel periodo della Rivoluzione d'Ottobre Lenin aveva insegnato al partito bolscevico l'arte di attaccare arditamente e risolutamente quando esistono le condizioni necessarie. Nel periodo di Brest-Litovsk Lenin insegnò al partito anche l'arte di ripiegare in buon ordine quando le forze dell'avversario sono evidentemente superiori alle nostre, per potere, con la massima energia, preparare una nuova offensiva contro il nemico".63
Il VII Congresso modificò il nome del partito che venne denominato Partito Comunista (bolscevico) di Russia - P.C.(b) R. - e deliberò anche di formulare il nuovo programma del partito sulla base di un progetto preparato da Lenin. L'8 marzo il VII Congresso elesse Stalin membro della Commissione per l'elaborazione del programma del partito, riconfermandolo anche nel nuovo Comitato centrale.
Il 10 marzo il Soviet di Pietrogrado elesse Stalin delegato al IV Congresso straordinario dei Soviet di tutta la Russia. Lo stesso giorno Stalin, con tutti i membri del governo, lasciò Pietrogrado per Mosca, nuova capitale della RSFSR.
Il 16 marzo il IV Congresso straordinario dei Soviet ratificò ufficialmente il trattato di pace di Brest-Litovsk e nominò il suo nuovo Comitato Esecutivo Centrale (CEC), di cui Stalin venne eletto membro.