Un cimitero di immigrati al largo di Lampedusa
Chi si salva viene rinchiuso nei lager dei Cpt
Le responsabilità dell'Italia di Berlusconi e della Ue di Prodi
Nel braccio di mare tra la Sicilia e l'Africa si sta consumando una tragedia umana di proporzioni immani. Lunedì 10 novembre, l'ennesimo viaggio della speranza è finito in tragedia. Sei iracheni che tentavano di raggiungere l'Italia per sfuggire alla guerra, sono rimasti per diversi giorni su un gommone di appena 3 metri in balia delle onde al largo di Pantelleria prima di essere soccorsi. Uno di loro è morto di fame e freddo. Per i sopravvissuti, trovati semisvenuti, pur non essendo in pericolo di vita, i sanitari hanno definito "severe" le loro condizioni di salute.
Neppure un mese fa, il 19 ottobre, al largo di Lampedusa si era consumata una vera e propria strage. Su un barcone alla deriva erano stati trovati, accatastati gli uni sugli altri 13 cadaveri e 15 superstiti, agonizzanti, terrorizzati e stremati dalla fame e dalla sete. "Uno spettacolo agghiacciante, incredibile, che non potrò mai dimenticare perché non ho mai visto in vita mia un inferno del genere", aveva raccontato il capitano del motopeschereccio Sant'Anna, con ancora l'orrore negli occhi. Ma il bilancio completo è molto più terrificante: secondo quanto raccontano i superstiti su quella barca erano almeno un'ottantina, qualcuno addirittura dice un centinaio. A bordo c'erano 15 donne e 7 bambini, nessuno dei piccoli si è salvato. Il viaggio dell'orrore era iniziato il 3 ottobre da un non ben precisato porto libico. Ognuno di loro aveva pagato migliaia di dollari agli scafisti per poter raggiungere l'Italia e fuggire chi dalla fame e dalla miseria, chi dalle guerre e dalle persecuzioni interetniche che attanagliano e soffocano i loro paesi d'origine. Il viaggio doveva durare circa due giorni. Invece quand'ancora erano lontani dalla mèta il motore si è rotto e la carretta col suo carico umano è andata alla deriva. Presto il poco cibo che avevano a bordo è finito, hanno cominciato a bere acqua salata, la notte assideravano dal freddo, i più deboli hanno cominciato a morire. I sopravvissuti hanno riferito di aver buttato in acqua decine e decine di cadaveri. Poi quando non avevano più le forze neppure per quel pietoso gesto, hanno usato i morti come delle coperte per proteggersi dal freddo.
Appena due giorni prima, un'altra carretta dell'orrore, dopo essere rimasta per ben 6 giorni alla deriva, si era capovolta, mentre giungevano i soccorsi. Anche qui il bilancio ufficiale parla di 25 superstiti e il cadavere di donna recuperato. Ma quello vero, svela l'ennesima strage. Partiti in circa 30-35, otto, forse undici, sono morti durante la traversata, quando la barca si è capovolta. Tra questi tre fratellini, Yussuf, di appena 18 mesi e Amina di 3 anni morti di fame e di freddo e Nazim di 13, affogato quando era ad un passo dalla salvezza.
Lunedì 20 al largo delle coste tunisine, altra "carretta" con a bordo 22 migranti, altro naufragio. Bilancio: cinque i morti e sette i dispersi. Martedì 21 invece, al largo di Lampedusa, un'altra barca era stata avvistata da un elicottero della Marina. Dei passeggeri però nessuna traccia. Forse inghiottiti anch'essi dalle gelide onde del Canale di Sicilia, come è avvenuto a tante altre barche partite dall'Africa e mai arrivate.
Del resto che gli immigrati morti anonimamente in quel tratto potrebbero essere centinaia è costretto ad ammetterlo anche il ministro dell'Interno Pisanu. E da molto tempo lo denunciano i pescatori che di tanto in tanto si trovano nelle reti pezzi di corpi umani, lo dicono le foto dei relitti che giacciono in fondo al mare e i tanti telegrammi di familiari arrivati alla capitaneria di porto di Lampedusa che chiedono notizie dei loro parenti spariti nel nulla. Morti che vanno aggiunti a quelli ufficiali: solo nel giugno scorso più di trecento tra Sicilia, Libia e Tunisia.
Ma l'odissea non finisce neppure per chi riesce a sbarcare vivo. Chi si salva viene rinchiuso nei famigerati "centri di permanenza temporanea" (Cpt) voluti dal governo di "centro-sinistra" con la legge Turco-Napolitano e subito mutuati dalla legge Bossi-Fini, vere e proprie galere, dove i migranti sono trattati come bestie, privati della loro dignità di persone e dei diritti costituzionali, umiliati. Insomma dei lager, dove il governo rinchiude i corpi dei vivi non desiderati in attesa di rispedirli al mittente.
Se il Mediterraneo è divenuto un immenso cimitero le responsabilità sono dell'Italia del neoduce Berlusconi e dell'Ue di Prodi. A far morire chi cerca di sbarcare sulle nostre coste non sono solo gli scafisti senza scrupoli. Sono le immumerevoli leggi, i decreti le ordinanze, gli "accordi" bilaterali, che hanno per principale obiettivo quello di chiudere i confini della superpotenza europea, di cui l'Italia fa da avamposto. La Bossi-Fini non ha certo arrestato il flusso dei migranti per motivi economici e dei richiedenti asilo, ha solo reso ancor più pericoloso il loro viaggio. Col decreto sui "respingimenti" operativo dal giugno scorso, il famigerato "blocco navale", che peraltro contrasta con tutte le normative internazionali sulla salvaguardia della vita in mare, si è esteso in acque internazionali. Cosicché le "carrette del mare" che vengono intercettate vengono costrette ad invertire la rotta e ad affrontare condizioni di navigazione che spesso non sono in grado di reggere. I controlli più rigorosi hanno avuto come conseguenza che gli scafisti usano imbarcazioni medio-piccole, molto più pericolose per i migranti, mentre il timone talvolta viene affidato ad uno di questi disperati con conoscenze di mare quasi nulle. In queste condizioni le "cannonate" invocate da Bossi diventano superflue, le "carrette del mare" affondano da sole.
Basterebbe aprire le frontiere e il traffico illegale di migranti sparirebbe istantaneamente con il suo lugubre corollario di "carrette" e di morti annegati per colpa di scafisti o peggio delle misure di "respingimento" delle autorità ufficiali.
Invece anche di fronte a questa ennesima tragedia, di fronte questa nuova ondata di sbarchi di disperati che sta proseguendo da giorni, a parte qualche frase di circostanza intrisa di falsa demagogia, la priorità del governo Berlusconi rimane quella di contrastare l'immigrazione e controllare le frontiere aumentando ancor più il controllo poliziesco. Quindi avanti tutta con la Bossi-Fini, avanti tutta con la repressione. Una politica antimmigrazione, razzista, xenofoba, schiavista e fascista che il neoduce Berlusconi condivide con la Ue di Prodi, tant'è che quest'ultimo, in visita a Cosenza, se qualcosa si rimprovera, non sono le dirette responsabilità della Ue per questa ecantombe, ma i "ritardi sui controlli dell'immigrazione", mentre invoca l'accelerazione dei tempi per varare "al più presto" "un'agenzia per il controllo comune delle frontiere". Un'agenzia, spiega, che "non sostituirà la polizia degli stati, ma dovrà standardizzare le procedure, gli strumenti a disposizione delle varie polizie nazionali, il coordinamento informatico". Ma la verità è che tale politica trova sponda anche nel "centro-sinistra" (Fassino ha dichiarato che "accoglienza e sicurezza sono due parole d'ordine che devono stare insieme", Rutelli che "occorre una stretta collaborazione dei paesi del Nord Africa"), che alla fine al governo Berlusconi contesta solo il fatto di non controbilanciare il pugno di ferro con politiche di "integrazione", e di non stabilire le famigerate "quote" di immigrazione regolare. E non ce ne stupiamo dal momento che molti sono i tratti in comune tra la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini, solo che quest'ultima ne è il volto ancor più brutale e disumano.
Occorre invece mettere duramente sotto accusa la politica del governo sull'immigrazione. La legge Bossi-Fini deve essere subito abrogata senza nessuna concessione al tema forcaiolo e reazionario della "sicurezza" sposato anche dalla sinistra di regime. Vanno chiusi i "Cpt" e i migranti devono poter avere libero accesso a tutto il territorio nazionale riconoscendogli pari diritti, senza le limitazioni previste dalla "quote". Cosiccome il nostro paese si deve dotare di una legge sul diritto di asilo ai perseguitati politici e ai rifugiati senza alcuna limitazione.