Chiuse fabbriche, scuole, uffici pubblici, negozi, banche e bar per lo sciopero generale
Tutta Terni in piazza contro i licenziamenti alla Ast
Nel corteo dei 30 mila sfilano operai, lavoratori, precari, pensionati, disoccupati, studenti, casalinghe
8 ore di sciopero anche a Torino
Il 6 febbraio tutta la città di Terni è scesa in piazza per dire no all'odioso piano di smantellamento del polo siderurgico annunciato il 29 gennaio dalla multinazionale tedescha Ast Thyssen-Krupp la quale, dopo aver saccheggiato il territorio, realizzato profitti da capogiro e supersfruttato gli operai per quasi un decennio, vorrebbe mano libera per dare il benservito a circa 900 lavoratori del reparto magnetico.
"Terni si spezza ma non si piega'', hanno risposto in coro gli oltre 30 mila manifestanti che hanno preso parte al combattivo corteo cittadino. Operai, lavoratori, precari, pensionati, disoccupati, studenti, casalinghe: tutti uniti "come hanno fatto la popolazione di Scanzano Jonico e gli autoferrotranvieri'' in difesa del posto di lavoro e dell'economia di un'intera regione.
Tutta la città si è fermata; chiuse le fabbriche, scuole, uffici pubblici, negozi, banche, bar e perfino le pompe funebri; tutti hanno aderito allo sciopero generale di 8 ore e alla manifestazione cittadina che ha suggellato una splendida giornata di lotta. Tutte le generazioni operaie, insieme a tantissime ragazze e ragazzi presenti lungo il corteo si sono uniti sotto una marea di bandiere rosse (in tv se n'è vista una dei maestri) e della pace e hanno marciato portando in piazza moltissimi striscioni duri e ironici contro i padroni tedeschi ma anche contro il governo come non accadeva da decenni.
Lo stesso giorno sono scesi in piazza i 480 lavoratori dello stabilimento torinese della Thyssen-Krupp che hanno scioperato per otto ore "per dire no alla chiusura di Terni e chiedere il mantenimento dei livelli occupazionali in Italia''. A Torino il corteo è partito dallo stabilimento di corso Regina - già Ilva, gia Teksid - e ha raggiunto il palazzo del Comune. Una delegazione di operai e sindacalisti è stata ricevuta dal sindaco diessino Sergio Chiamparino. Durante l'incontro la delegazione ha fra l'altro ricordato all'amministrazione comunale che a partire da lunedì 9 febbraio, se la trattativa che si apre a Roma in sede governativa non sbloccherà la situazione, lo stabilimento di Torino non sarà più in grado di continuare la produzione, in seguito al blocco del materiale in uscita dall'acciaieria di Terni. Le rappresentanze sindacali unitarie hanno chiesto a Chiamparino di intervenire "presso il governo e l'ambasciata tedesca perché si riapra un negoziato per impedire lo smantellamento dello stabilimento della Thyssen-Krupp di Terni''.
La preoccupazione dei lavoratori torinesi è legata anche alla sopravvivenza del loro stesso stabilimento che, pur se diversificato nella produzione rispetto a Terni (qui si fanno acciai speciali ma non c'è il reparto magnetico che è quello che la multinazionale tedesca vuol chiudere in Umbria), rischia di subire le drammatiche conseguenze del feroce processo di ristrutturazione in atto. Soprattutto se si pensa che di fatto il governo ha abbandonato a se stessi i lavoratori in lotta e fino ad oggi non ha mosso un dito per impedire i licenziamenti.
La "vertenza Terni'' è esplosa il 29 gennaio scorso subito dopo la conclusione dell'incontro tra la direzione aziendale e i sindacati, nel quale è stata formalizzata la decisione della cessazione delle attività del reparto magnetico della fabbrica ternana. La produzione dell'acciaio magnetico (in particolare lamierini di alta qualità utilizzati per l'assemblamento dei nuclei ferromagnetici dei motori e dei trasformatori) occupa, oggi a Terni, direttamente 470 lavoratori, altri 400 sono occupati nell'indotto e pertanto la sua cessazione avrebbe conseguenze gravissime sia per l'occupazione che per tutte le altre attività produttive del sito.
Appena appresa la notizia, consapevoli dell'altissima posta in palio, gli operai ternani si sono mobilitati dando vita a diverse manifestazioni di protesta.
La mattina di venerdì 30 gennaio circa 700 operai, in gran parte giovani neoassunti con contratti a termine, a bordo di decine di pullman e auto private hanno raggiunto il casello di Orte e hanno occupato l'autostrada Firenze-Roma bloccando per diverse ore la circolazione da e verso la capitale. Mentre 2.000 lavoratori impiegati presso gli altri reparti dell'acciaieria, nelle stesse ore hanno bloccato a Terni la Statale 209 della Valnerina e il trasferimento delle merci aziendali.
Il 3 febbraio, armati di grande coraggio e determinazione, gli operai ternani hanno fatto sentire forte la loro protesta fin sotto le finestre di Palazzo Chigi a Roma in occasione dell'incontro fra governo e parti sociali. Oltre 600 lavoratori a bordo di dieci pullman, più un corteo di auto per chi non ha trovato posto nei mezzi noleggiati dai sindacati, sono partiti da Terni alla volta di Roma. Altri 500 operai sono rimasti davanti all'acciaieria per continuare i presidi ed il blocco che da giovedì scorso sta impedendo la fuoriuscita di un solo grammo di materiale dallo stablimento.
In piazza SS. Apostoli a Roma i lavoratori sono stati bloccati dalle "forze dell'ordine'', perché il numero dei partecipanti era superiore a quello preannunciato. Risolto il problema, il corteo si è mosso alla volta di piazza Colonna dove la protesta è andata avanti fino a tarda sera. Nell'incontro a Palazzo Chigi con il sindacato ed i vertici dell'azienda è stata spostata la decisione sulla chiusura dal 9 al 23 febbraio. Nell'incontro al ministero delle Attività produttive del 10 febbraio la chiusura è stata sospesa fino a nuova decisione.
Eppure basta ripercorrere la storia degli ultimi dieci anni che hanno segnato le sorti del polo siderurgico ternano per capire che le attuali massime autorità del governo e delle istituzioni italiane e europee sono i responsabili principali di questa situazione.
Fondata nel 1884, l'acciaieria di Terni ha rappresentato per oltre 110 anni uno dei più importanti poli siderurgici dell'industria pubblica in Italia e in Europa. Nel 1993 il governo Ciampi e l'allora presidente dell'Iri Romano Prodi avviano la privatizzazione del gruppo poi portata a compimento nel '94 dal primo governo del neoduce Berlusconi. Il polo siderurgico viene svenduto a una cordata di pescecani capitalisti formata dalla tedesca Krupp e dai colossi italiani Riva-Falck-Agarini. A dicembre del '95 Riva e Falck vendono la loro quota ai tedeschi guadagnandoci rispettivamente 110 e 42 miliardi di lire. Ma il vero affare lo fecero i tedeschi perché l'acciaieria di Terni aveva un accordo con l'Enel per la fornitura dell'energia elettrica a prezzi stracciati fino al 2001 e poi tariffe agevolate in misura crescente fino al 2007. In base a ciò solo nel 2003 la Krupp come "diritto di compensazione'' ha incassato dall'Enel circa 90 miliardi di lire. Cioè Krupp ha riavuto indietro non solo tutti i soldi che ha sborsato ma ne ha tratto grande profitto e a pagare il conto ci hanno dovuto pensare prima tutti gli utenti italiani con bollette elettriche tra le più care d'Europa, e ora i quasi mille lavoratori della Ast Thyssen-Krupp a cui la multinazionale tedesca vorrebbe dare il benservito e trasferire tutta la produzione in Francia e Germania o in Corea del Sud.
Oggi che gli amari frutti delle privatizzazioni selvagge sono venuti a maturazione, pilatescamente Ciampi, Berlusconi e Prodi se ne lavano le mani abbandonando i lavoratori a sé stessi.