Con il vergognoso "non voto" della lista Prodi alla sua prima uscita
Sì del senato nero al rifinanziamento delle missioni di guerra italiane all'estero
Con Verdi, PdCI e Rifondazione, votano no la "sinistra" DS, due fuoriusciti dalla Quercia, quattro dissidenti della Margherita e cinque senatori del gruppo autonomista
Il 18 febbraio il Senato del parlamento nero ha approvato il decreto che rifinanzia fino al 30 giugno la missione "Antica Babilonia" in Iraq e tutte le altre missioni militari italiane nel mondo. Il decreto, che ora deve passare l'esame della Camera, è stato approvato con 153 voti a favore, tutti della casa del fascio, e 42 voti contrari, provenienti da Verdi, PdCI e Rifondazione, più 16 tra senatori del "correntone" e altri dissidenti della Quercia, e 4 senatori della Margherita, che hanno deciso di disobbedire agli ordini di scuderia. La maggior parte della lista Prodi, 83 senatori del cosiddetto "triciclo" DS-Margherita-SDI, hanno invece attuato la decisione di non partecipare al voto presa dalle tre segreterie.
Rispetto alla precedente votazione di fine luglio non è dunque riuscito stavolta il giochino dello scorporo della missione in Iraq da tutte le altre compresa quella in Afghanistan, che permise all'Ulivo di presentarsi unito in aula per votare no alla prima ma sì alle seconde. Stavolta la casa del fascio non ha accettato lo scorporo riproposto dalla lista Prodi e ha preteso il voto in blocco sull'intero pacchetto delle missioni militari all'estero. Il che ha costretto l'Ulivo a presentarsi in aula in ordine sparso. Non volendo votare no per non prestarsi all'accusa di essere "antipatriottici" e di non voler sostenere "i nostri ragazzi" in Iraq, e non potendo di conseguenza astenersi (al Senato l'astensione vale come voto contrario) Fassino, Rutelli e Boselli, d'accordo con Prodi e con i rispettivi capigruppo, hanno ideato lo squallido "escamotage" della non partecipazione al voto, pur rimanendo in aula, da attuare dopo aver fatto un estremo tentativo (andato a vuoto) di convincere la casa del fascio ad accettare lo scorporo della missione "Antica Babilonia".
A questo punto però, dopo aver già provocato la rottura dell'Ulivo, con Verdi e PdCI che sceglievano di votare no con Rifondazione, il "triciclo" ha perso per strada anche la "sinistra" diessina del "correntone" e di Cesare Salvi. Allo schieramento del no si sono aggiunti inoltre i due recenti fuoriusciti dalla Quercia, Falomi e De Zulueta, l'ex segretario della Quercia Occhetto, 4 dissidenti della Margherita e 5 senatori del gruppo autonomista. In questa penosa situazione il capogruppo diessino Angius ha raggiunto il ridicolo e si è pure beccato i sarcasmi del Polo quando, rivolgendosi ai "cari colleghi dell'opposizione" per difendere la scelta opportunista del non voto, ha detto: "Il dilemma di oggi non è quello tra pace e guerra. Non stiamo votando sulla guerra, ma su un decreto in cui sono contenute tante missioni che riguardano settemila uomini che stanno facendo del bene in paesi devastati. Missioni che qualificano il nostro Paese. Un aiuto concreto di cui l'Italia è fiera e orgogliosa. Ma il governo ci ha impedito di dire sì a queste missioni".

Pressioni di Ciampi per un "voto bipartisan"
Il tentativo di arrivare a un voto "bipartisan" per un pieno sostegno dell'intero parlamento nero alle missioni militari imperialiste nel mondo, e in particolare nel pericolosissimo Iraq, si è dunque risolto in un mezzo fallimento. E questo nonostante le forti pressioni esercitate da Ciampi, dal Vaticano e da altre autorevoli cariche istituzionali come Pera e Casini. Non a caso, nella stesso giorno del voto al Senato, in un discorso all'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede per commemorare il 75• dei Patti lateranensi e il 20• del nuovo Concordato, Ciampi ha detto di vedere "segnali positivi per un pieno impegno dell'Onu in Iraq", e il cardinale Sodano gli ha fatto eco dicendo che ora in quel paese la situazione "è cambiata, e la cosa importante è aiutare la ricostruzione". è evidente in questi discorsi l'intento comune di Quirinale e Vaticano di esortare i parlamentari ad abbandonare ogni scrupolo di coscienza e fare blocco con il contingente militare in Iraq, e di mettere nello stesso tempo a tacere i pacifisti facendo loro balenare un futuro passaggio della missione sotto le bandiere dell'Onu.
Pacifisti che invece non si sono limitati a stare passivamente a guardare, ma hanno attuato forme di protesta e di pressione sia davanti a Palazzo Madama, con cartelli e striscioni molto critici e sarcastici contro l'opportunismo dei senatori dell'Ulivo decisi a non votare, ma anche intasando la loro posta elettronica con l'invio di migliaia di e-mail di protesta. Una lettera aperta con l'esortazione a votare no e per il "ritiro delle truppe italiane dall'Iraq subito" è stata inviata loro dal medico di Emergency Gino Strada, dal comboniano Alex Zanotelli, da Don Ciotti e dal presidente dell'Arci Tom Benettolo. Diverse voci nel movimento contro la guerra si sono inoltre levate a diffidare i parlamentari che non avrebbero votato no al rifinanziamento delle missioni militari a presentarsi in piazza alla prossima manifestazione per la pace del 20 marzo, in quanto considerate persone "sgradite".
Malgrado tutto ciò i partiti del "triciclo" le hanno provate tutte per arrivare ad un accordo con la casa del fascio. Alla fine non hanno ottenuto lo scorporo, che avrebbe permesso loro di votare sì alla prosecuzione della guerra in Afghanistan e alle altre missioni escluso l'Iraq, ma hanno comunque ottenuto l'approvazione di un ordine del giorno affinché "sia riconosciuto all'Onu un ruolo centrale nella transizione in Iraq, e perché "sia favorita la configurazione di una forza multinazionale di stabilità e sicurezza, sotto egida Onu", ovviamente a partecipazione anche italiana.

Uniti nel nazionalismo e nel militarismo
Inoltre l'intesa "bipartisan" c'è stata quantomeno quando il capogruppo di Forza fascisti, Schifani, si è messo a leggere in aula l'elenco dei militari morti a Nassiriya, e tutta l'aula compreso il "centro-sinistra", tranne pochissime eccezioni, si è alzata in piedi per rendere loro omaggio, a dimostrazione di come alla fine destra e "sinistra" del regime neofascista siano perfettamente d'accordo sul piano ideologico e politico a sostegno del nazionalismo patriottardo e del militarismo guerrafondaio dell'imperialismo nostrano. Del resto la stessa "sinistra" dell'Ulivo - Verdi, PdCI e "correntone" - nonché Rifondazione, pur votando no alla missione hanno ribadito la loro disponibiltà a una partecipazione militare italiana all'occupazione dell'Iraq sotto le bandiere delle Nazioni Unite. Lo stesso Cesare Salvi, nel dichiarare il suo voto contrario, ha detto di richiamarsi "alle posizioni del candidato presidente americano John Kerry". Il che la dice lunga sulla "coerenza" di certi "pacifisti".
Adesso la "battaglia", si fa per dire, si sposta alla Camera. Il padrone di casa, Casini, si è già fatto sentire avvertendo che sarebbe "un suicidio politico" ritirare adesso le truppe italiane dall'Iraq, mentre al contrario un voto "bipartisan" alla Camera "avrebbe un significato straordinario". Tuttavia la strada non appare tanto facile, dal momento che i DS si sentono in difficoltà anche solo a ripetere il giochino dello struzzo al Senato che già aspre critiche ha ricevuto da tutte le parti, soprattutto in considerazione dei contraccolpi che temono alle prossime elezioni europee da parte della base, dei "girotondi" e dei pacifisti.
L'uscita del capogruppo della Quercia alla Camera, Violante, sulla "responsabilità" del governo per i morti di Nassiriya perché non avrebbe assicurato loro un'adeguata "copertura", sembra ispirata palesemente a un tentativo di recupero a sinistra. Da qui si capisce anche la levata di scudi della destra diessina, che ha messo le mani avanti con una lettera a Fassino da parte di 30 senatori della Quercia, tra cui Bassanini, De Benedetti, Tonini e Morando, in cui sottolineano che un no a Montecitorio minerebbe "il rapporto di lealtà e fiducia reciproca tra i gruppi parlamentari di Camera e Senato e di questi con gli organismi dirigenti del partito, ma anche e soprattutto la tenuta della lista unitaria".

25 febbraio 2004