......la famiglia......

 

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Sì, è vero, ho cominciato a scrivere molto presto. Anche perché ero sapientemente influenzato da mia madre, che scriveva novelle e romanzi ed io l’aiutavo fin da quando avevo quattordici anni. Facevamo insieme delle trame, soprattutto d’amore, ero diventato un grande esperto di storie amorose. E lei era una tipa molto allegra. Si andava in cucina e certe volte anche mio fratello e mio padre partecipavano, ma non come noi due. Noi due eravamo sempre là. Mia madre in effetti ha mantenuto la famiglia, perché la strana impresa a cui mio padre si era dedicato era fallita. Subito. Era un notevole matematico che si era messo in mente di fare soldi con un’impresa di costruzioni, ma il suo socio l’ha subito imbrogliato, è fallito, ha perso i soldi dei suoi, quei pochi che aveva, mia madre si è messa a scrivere novelle e romanzi, che non erano né rosa, diciamo, né di letteratura alta, ma erano di grande vitalità narrativa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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"Con quale nome si firmava?"

Un po’ con Nerina Majorino, un po’ con Nerina Majorino Jori e un po’ con pseudonimi ungheresi. Me ne ricordo uno, Jeno Heltai. Era allora quella dei romanzi ungheresi “sentimentali con brio” una peculiarità di questa parte di mondo. 

Mia mamma era talmente disordinata da far venire la pelle d’oca e quindi una volta cambiava i nomi dei personaggi da una puntata all’altra. E allora ci telefonavano da Rizzoli e da altre case editrici e ci chiedevano chi fosse quel tale che appariva nella settima puntata, mentre in realtà era noto fin dall’inizio con un altro nome. Però c’era di bello che, appena finita la puntata o il racconto, io correvo da Rizzoli, che allora era vicino a dove abitavo, in piazza Carlo Erba, mi pagava subito, io correvo a casa e sul tavolo, eravamo lì tutti e quattro, gli orchetti, la parte più grande la pigliava mia madre, la seconda io, la terza mio padre e mio fratello che era un bambino, insomma appena appena un ragazzo. Mi ha recentemente raccontato che gli davo dei soldi purché, entrando in casa, fossi accolto dai suoi entusiastici battimani e frasi tipo "Ecco il grande poeta!" (ride)

Dopo di che, tutti e quattro volavamo fuori a spendere. Infatti io l’ho soprannominata “spic-e-span” la nostra banda. Il giorno dopo spesso si andava alla Fiera di Senigaglia, se c’era, o luoghi analoghi, a comperare libri usati, sempre impolveratissimi (eravamo infatti tutti asmatici!) Dopo di che, ricominciavamo a lavorare come matti, a testa bassa (chi fa l’amore col cugino? perché lei non lo vuole più?)

Mia madre era geniale e simpaticissima, tutti volevano conoscerla, tutti volevano starle insieme. E c’era questa porta della casa che era sempre aperta. C’era sempre un viavai di gente. Così mi sono abituato a studiare, a leggere e anche a scrivere in mezzo a un viavai pazzesco, anche con la radio accesa. Cioè lì mi sono un po’ allenato davvero alla città di Milano, nel senso che, qualora mi fossi mosso davvero soltanto nella solitudine, ne avrei risentito. Ho sempre cercato anche di spassarmela, naturalmente. Mia madre, l’ho poi ripreso in una poesia de “Gli alleati viaggiatori”, diceva di voler essere sepolta in un tombino in Piazza del Duomo, per sentire i passi della gente, sopra di sé ed intorno a sé. Era piena di battute continue. Noi ci siamo allenati, un po’ tutti, anche mio fratello, ad essere spontaneamente spiritosi. Non a scapito della profondità. Uno dei miei modi di dire più noti, legittimato da due versi, dice che "la superficie non è l’opposto della profondità, ma la sua vice".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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"Da tuo padre che cosa hai preso, secondo te?"

 

Lui era un matematico notevole. Penso di aver assimilato una certa profondità e il piacere dello studio, diciamo. Poi forse anche una certa mitezza. Cioè io sono sempre stato uno socievole, a cui piace vedere e frequentare la gente. Mentre mia madre era una tempestosa che andava su e giù. Io e mio fratello, non appena divenuto grande, ci siamo abbastanza sintonizzati bene, anche se lui è un po’ diverso. Ecco mi ricordo un’altra delle battute. Io e lui facevamo già delle grandi discussioni teoriche e mia mamma diceva: “Ma insomma che cosa fate? Qui c’è una signora!” Noi ci guardavamo intorno e dicevamo: “Ma dov’è questa signora?"

 

per approfondire il discorso sulla famiglia e sui parenti, vedi:

1. da intervista: i parenti

 

 

 

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SEZIONE: biografia   STATUS: completo   TEMPI DI LAVORAZIONE: 9/2002 - 1/2003

 

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