La capitale del nord

 

La capitale del nord di Giancarlo Majorino - Edizioni dell'Arco, Milano, 1994

La capitale del nord di Giancarlo Majorino - Edizioni dell'Arco, Milano, 1994; prima edizione Schwarz, 1959.

"E' lo stesso Majorino a definire "storia in versi" questo suo ampio componimento. Ma a ben vedere, più che una vera e propria "storia", La capitale del nord è un grande contenitore, nel quale entrano, ordinati secondo equilibri e ritmi precisi, situazioni molteplici e volti di personaggi diversi, riflessioni o stacchi lirici, nella fluidità di un tempo narrativo. (...) Ciò che conta non è un evolversi di fatti, uno snodarsi di vicende, quanto l'incrociarsi continuo di impulsi vitali e guasti già vistosi, nel corpo di una società che è ancora giovane, uscita com'è dalla guerra da poco più di un decennio. (...) Un libro in cui l'autore con tanto coraggio si è saputo esporre oltre la "bella" gabbia dell'io lirico, nutrendosi delle cose umane nella varietà luminosa e opaca dell'esperienza, e raccontandola da un punto di vista non esterno, ma interno e coinvolto, intrecciato, rispetto alla realtà del tempo"

Maurizio Cucchi

(testo tratto dalla quarta di copertina)

 

il poeta Giancarlo Majorino copyright Barbara Pietroni

 

"Nel ’59 esce questa mia prima opera, La capitale del nord, che adesso vedo con piacere discussa, valutata in profondità. 

La pago io un tanto al foglio e dato che costava abbastanza, taglio molti pezzi. Quando poi mi hanno chiesto di ripubblicarla, cosa che avrei potuto fare in vari modi, ho visto che nelle parti scartate avevo tagliato benissimo.

E' una storia in versi che ha in sè molti elementi giovanili . E’ trasparente della banca (dove sono andato a lavorare nel '56), è trasparente di quel clima e quindi è molto legata alla realtà, come ho sempre fatto, una realtà trasfigurata formalmente, trasfigurata esteticamente, ma vita vera insomma. A questo proposito mi ricordo che una delle cose che scriveva mia madre per guadagnare soldi era "Vite vissute", una specie di rubrica, in cui inventavamo insieme dei fatti, partendo appunto dalla vita vera.

La capitale del nord all’inizio ha un insuccesso clamoroso. Tra i pochissimi che ne parlano, uno del Borghese (che era un giornale fascista), un certo Maghinardo da Baviera, il quale gli dedica un certo numero di righe dicendo: "Filastrocche idiote e stantie da mentecatto in vena di furberie (...) che tuttavia troverà pure una dozzina di recensori più imbecilli di lui disposti a prenderle sul serio". Naturalmente ne La capitale del nord ci sono diverse prese di posizione antifasciste. Mio padre voleva addirittura denunciarlo ed io gli ho detto: "Ma sei matto? Provocare è il loro mestire!"

Nello stesso periodo conosco Fortini, il quale invece era rimasto molto colpito da La capitale del nord. Senza conoscermi mi aveva telefonato e aveva mandato a Pasolini - che in quel periodo aveva cominciato questo suo grande viaggio di successo, facendo una rivista, "Officina", che era subito diventata molto importante - un biglietto (che è venuto fuori proprio adesso - nemmeno sapevo che esistesse - in un libro Einaudi, intitolato "Attraverso Pasolini", 1993) in cui diceva: "Ti segnalo vivamente un libro di Schwarz, La capitale del nord, di tale Giancarlo Majorino, racconto neopopulista neofuturista in versi, genere Pagliarani ma forse superiore (...) Dagli un'occhiata. Mi ha colpito". Pasolini risponde: "Ho qui sul tavolo la Capitale; ti prometto che la guarderò...". Poi in realtà "Officina" finisce e quindi... non succede più nulla.

La capitale del nord era un poema, un poemetto. Non volevo che il mio primo libro fosse costituito da poesie "staccate", diciamo. Il sogno era un poema, un sogno in cui sono ricaduto, visto che sto scrivendo un poema da 32 anni, dal 1969.

Ma perché qualcosa di poematico?

Perché da un lato mi ha sempre affascinato l'idea di un'opera che restituisse una totalità, dall'altro sento il vantaggio di costituire una simbiosi tra il romanzo e la poesia. Più che una simbiosi, spero di raccogliere il meglio dei due generi e non escludo nemmeno una presenza della criticità. Questo sogno mi è sempre piaciuto enormemente. E qui, ne La capitale del nord, entrano momenti poetici forti di giudizio . Laddove per esempio dico: "quello che vuoi tu abbracci/ (...) non quel che sono/ a te non resteran che pochi stracci". E’ forte no? Nasce da tutta un’esperienza. Non so quando ho iniziato a scrivere La capitale del nord. La stretta finale gliela ho data dal ’53 al ’59, però ci sono dentro robe molto antiche...

Per me La capitale del nord continua a rappresentare un buon primo libro. A volte è un po’ troppo penalizzato, rispetto alle rotture sperimentali che faccio adesso, però continuo a considerarlo un buon libro, interessante. 

Ecco, per quanto riguarda le recensioni - ti ho già detto dell’intervento di Fortini- tra i critici di adesso sono molti quelli che dicono che La capitale del nord è importante , soprattutto come primo libro. Ti consiglierei di vedere per esempio lo studio di Santagostini, che su questo primo libro passa idee molto agguerrite. Su tutta la prima parte della mia scrittura in generale e in particolare, dice molto bene Raboni. Raboni l'ho conosciuto nel '64, quando non era ancora così noto, naturalmente. Diventiamo veri amici e reciproci estimatori. Da parte sua vi fu subito una grande attenzione che si concretizzò in alcuni saggi importanti (che ti consiglio di vedere nell’Autoantologia). 

Raboni scrive: "Succede, cioè, che gli interessi, le attenzioni di Majorino siano sempre in circolo, sempre vivi e capaci di ricambio attraverso i vari tempi della sua evoluzione: che nella fase "realistica" sia già presente,, già pienamente attiva, per esempio, quella che Contini ha chiamato la «funzione Gadda»"

Quindi, grande sperimentalismo, grandi cambiamenti...

"e che, per converso, nei momenti di più violenta accensione sperimentale, di più rischiosa tensione lingua-gergo-dialetto ecc., di decollo astratto-verticale della compagine sintattica, torni a scaricarsi benefica l'urgenza del discorso diretto, di concrete e irrinunciabili formulazioni di contenuto (...)"

Cioè lui ha detto - e secondo me ha azzeccato pienamente - che da una parte c’è sempre stato questo sperimentalismo e invenzione e dall’altra, però, anche un’aderenza enorme alla realtà. Una sola delle due componenti per me non sarebbe stata sufficiente.

Un altro elemento che mi preme dire di quest'opera è che, sebbene gravata a tratti da una certa retorica, comincia a mettere in scena vicende e trame, svolgimenti di carattere dei personaggi e, addirittura, prove di collegamento fra individualità e coralità".

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