Dario Bellezza (“Paese sera”, 15 ottobre 1971; ora presente, insieme ad altri testi critici, nell’Autoantologia di Giancarlo Majorino, Garzanti 1999)

 

Walter Pedullà recensendo questo Equilibrio in pezzi, sull’ <Avanti!> di Giancarlo Majorino, ha giustamente messo l’accento sull’indiscutibile, camaleontica abilità di convogliare nei versi tutta una parte della contestazione studentesca, in sermo humilis (la sezione Scuola Pubblica nel libro) senza però l’ambizione di volerne dare una cronaca viscerale, “en artiste”, o, peggio, da masochisteggiante superato dagli avvenimenti fatto fuori generazionalmente, ma in una sorta di degradazione del poeta che “sollevava” quella realtà, di ieri, dell’altro ieri: e che resta ormai consegnata tutta alla Storia, se non alla poesia di questi anni.

Diciamo che Majorino ha avuto il coraggio di mettersi ingenuamente al centro degli avvenimenti, senza velleità da prima donna, né con un “io” narciso e ipertrofico, potenzialmente angosciato di sentirsi non alla pari con la vivente storia che lo avvolgeva e pareva stritolarlo, schiacciarlo da tutte le parti. Ma come un uomo, modernamente, senza qualità, musiliano, che registra e spezza, giorno per giorno, il suo già precario equilibrio, nevroticamente inquisisce la sua nevrosi, per capire, e giudicare.

Poesia dell’ideologia: anarchico-libertaria di chi sa che lo strumento che usa, la versificazione, l’impudica poesia, è il vecchiotto, presuntuoso, certo, aristocratico, troppo smaliziato e irriverente per non deludere la poca intelligenza dei politici che si accecano per tirare avanti, e vincono perché usano l’ignoranza e la corruzione che si fa azione e di cui la poesia non sa che farsene.

Forse Majorino ha scritto il primo libro “sublime” di poesia che scruti e indaghi dal di dentro la cronaca di questi anni; e il canto-verifica che ne vien fuori è dei più atrocemente disperati perché è posseduto dalla stessa furia degradatoria e autolesionista che la stessa Storia registra. Di botto, nel processo storico in cui si è sprofondato, ha fatto fuori tutto un certo modo di fare poesia – neoermetico, neorealistico, neoavanguardistico o screpuscolareggiante – che sempre era stato in ritardo con le tangenti storiche del momento in cui viviamo o presuntuosamente si era incapricciato a snobbarle, farne una satira reazionaria, come in Montale.

L’equilibrio in pezzi è non solo quello del poeta e della “sua” Storia, con tutti i risentimenti che questo comporta, e l’accidia e la voglia di far finta che niente sia successo, che viviamo nel migliore dei mondi possibili che ancora si possono raccontare come in un’Arcadia, fuori della Storia, ma anche quello della lingua, salvata e riscattata da una servitù che la vuole sempre più collaudata e tradizionale, di tipo petrarchesco, eletto, mentre in Majorino c’è una ricerca incorreggibile e coraggiosa – da non confondere con certi conati dell’Avanguardia – che raggiunge spesso l’inedito, la novità, il traslucido della conflittualità semantica fra sostantivo e sostantivo deformato: nel segno della provocazione e dello scandalo. Anche quando Majorino si lascia andare, resiste alla novità che è in lui, tutto funziona.

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SEZIONE: critica   STATUS: completo   TEMPI DI LAVORAZIONE: 11/2002 - 4/2003

 

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