Biagio Cepollaro (“Varianti” n°8, inverno 1988-1989)

 

La scarsa utilità euristica di una definizione come "linea lombarda" in poesia, è palese nel caso di Giancarlo Majorino, che con il nuovo volume di poesie Testi sparsi precisa il senso di un lavoro ormai trentennale. Dalla partecipazione al Menabò di Vittorini al gruppo dei Quaderni piacentini, dalla direzione della rivista Il Corpo (1965-1968) alla stesura dell'antologia Poesie e realtà (Savelli, 1977), il lavoro del poeta milanese si è diretto ben oltre i confini della "linea lombarda", le cui peculiarità andrebbero riferite ad una certa preferenza per lo stile colloquiale, per la diaristica, per la dimensione gnomica. La prospettiva, a nostro parere, più adeguata per leggere Majorino è quella che situa l'elaborazione del milanese accanto a Pagliarani, cioè alla convergenza di sperimentazione e problematica realistica.

Testi sparsi, scritti tra il 1981 e il 1987, sono quasi coevi ai testi raccolti in Provvisorio (Milano,1984) e ne rappresentano come un cambiamento di prospettiva. La sperimentazione è incessante: come per Pagliarani, il discorso del "realismo" in letteratura non può non coinvolgere le strutture retoriche, ma ciò in Pagliarani tende alla costruzione inglobante dei diversi linguaggi in modelli narrativi; in Majorino la narrazione viene continuamente posta e negata, offerta e cancellata, costretta a coagulare in ripetizioni e reticenze, senza mai dispiegarsi, senza mai mimare ma alludendo tenacemente all'extraletterario.

Come in Provvisorio, nell'ultimo libro, la folla è uno dei temi privilegiati: la folla urbana, anonima e insieme comunicante, groviglio inestricabile di solitudine e solidarietà. Quando il tema si fa più esplicito, emergono frammenti di vicende di donne e di giovani o folle della memoria riapparse dalla guerra. La folla degli "sfollati milanesi" viene ricostruita per sequenze veloci, nel caos dell'esperienza concreta e "corporale" di un giovane: "rivedendo là, se chiudo gli occhi/ la via che scende, il serpente/ delle ragazze in bici, sottane un po' levate,/ la sera dell'antiaerea,/ i bombardieri veleggianti, intatti,/ la cittadina dentro il coprifuoco/ come dentro una grassa museruola di cenere/ moltiplicati cittadini, ilari sfollati/ le famiglie folte dei milanesi/ come allora tocco i muri neri/ all'interno dell'enorme camera/ concentrato a crescere avido di fiato/ senza sapere che un giorno avrei ricercato/ unghie della mente/ sono stanco, adesso, continua tu". Dove la memoria permette la distensione del dettato che, al contrario, si contrae vorticosamente quando quel "fiato" (comunicazione corporea, desiderio, massima vicinanza al di là delle differenze) diventa urgenza del presente, folla attuale, propriamente in-descrivibile: "nel e basterebbe( scendere a ritroso/ dentro il pozzo del "nel"/ soffi di parlanti/ respiri e mosse dei comunicanti". Fiato e carne sono i modi "corporei" che resistono all'anomia e alla frantumazione ai limiti dell'intellegibile: "Il prorompere e la custodia/ nelle loro oscure obbligazioni/ gli atti quotidiani corti e mossi/ sarà, penso a quanti mi hanno formato/ a quanta carne mi tocca ancora"

La chiusa, inaspettata, segue la sentenza centrale e il verbo all'infinito iniziale, a segnalare la velocità dei passaggi; atteggiamento critico e destino personale coinvolti nel montaggio dei frammenti, senza sbavature, senza esagerazioni.

La folla che "tocca" nel doppio senso, di destinazione e tattile, è ciò che informa anche Provvisorio che aveva illustrato, attraverso accumuli e reticenze, i miti e le mistificazioni di una violenza tanto più tangibile quanto più accortamente celata.

Il discorso del "realismo", che in Lotte secondarie (Mondadori, 1967) aveva avuto una prima completa formulazione e che si era alimentato della crisi del '68 sul ruolo dello scrittore e sul nesso tra letteratura e vita (sociale) in Equilibrio in pezzi (Mondadori, 1971), trova in Provvisorio la sua "adeguata formalizzazione", come in sede teorico-critica Majorino auspicava in Passaggi critici (Bergamo, 1984).

In Testi sparsi questa tensione alla frantumazione e all'accumulo diminuisce sensibilmente, i testi spesso appaiono ricomposti, come ridimensionati nella misura dell'appunto, nella nota riflessiva, costruiti su assonanze e paronomasie, su agili calembours, su inversioni ed ellissi, ma non è assente, all'interno di tali strutture, quella componente gnomica che attraversa tutta l'opera del poeta milanese, coinvolgendo e stravolgendo continuamente gli assetti retorici del testo.

In Majorino la consapevolezza di operare all'interno della "riproduzione simbolica" è sempre stata viva: con lucidità ha sempre registrato i molti condizionamenti della corporazione letteraria, le ambigue alleanze. Da "che fare della letteratura" apparso sul n.52 dei Quaderni piacentini nel 1974 al convegno leccese nell'ambito della manifestazione "Salentopoesia" nel 1987 (L'incantiere n.4, dicembre 1987) il poeta milanese non ha mai cessato di denunciare i criteri corporativi degli apparati culturali, in termini nella sostanza non dissimili da Ferretti o da Perniola, in termini, cioè, di analisi del fatto letterario a partire dai modi di produzione letteraria: in tal senso la polemica contro la Neo-avanguardia nelle sue impostazioni formaliste, punta alla denuncia del rinnovamento solo apparente delle tradizionali logiche corporative.

In Testi sparsi la folla può anche assumere il volto dei recensori, dei membri della corporazione letteraria, insieme a quelli più clowneschi dei prodotti tipici delle realtà metropolitane: " (...) oh i mercanti e i recensori a incrocio e i tarli tardi/ della corporazione i due prezzemoli/ quelli della moglie-botte e i tre comprati/ e tic fric, fa il funzionario/ e dindin, il neo-ragazzo/ giambokid, la fusperanza/ goligluc, il professore/ martignac, il direttore".

Il gioco sarcastico è parte integrante del progetto: il fare letterario nasce già come un avvenimento autoreferentesi, una questione che si sviluppa nell'ambito di pochi addetti ai lavori, decorativa e inutile, mafiosa e irresponsabile. Tutto ciò sul piano della poetica stabilisce due fuochi che governano il viaggio creativo segnandone i limiti estremi: da un lato la necessità di tener viva la tensione testuale e l'intensità del dettato, dall'altro la necessità di non venir meno alla comunicabilità della poesia, al suo essere esperienza umana e formalizzazione del vissuto.

Il testo in tal senso programmatico suona: "c'era sempre qualcosa/ nelle poesie/ non solo nelle mie/ che non andava/ qualcosa d'inadeguato/ o di troppo adeguato/ che calzava/ tanto perfettamente/ così scappava tutto/ restava quasi niente/ sceneggiature/ un mucchio/ di preparazioni/ d'accontentature/ un'altra mente?"

La lotta che sostiene la scrittura, insomma, è dentro e fuori la pagina: gli autocondizionamenti, le autocensure non sono meno pesanti di quelli provenienti dall'esterno, per questo la responsabilità della scrittura s'identifica sempre più con il tener presente il "per chi" si scrive oltre al perché...

In Testi sparsi la presenza del corpo funge da luogo da cui si diparte ogni prospettiva responsabile: il corpo è il tramite di quel movimento bipolare che congiunge la solitudine alla comunicazione, l'isolamento alla solidarietà, la memoria storica a quella personale, il passato al presente. Il corpo è anche sede di ironia quando nel suo nome si scontrano le ambizioni con la realtà, i desideri con le manifestazioni nobilitanti, le mistificazioni: "io so che sotto quel puro di pelle/ una crapa simile aduna e spande e sogna?/ e che la luna non è satellite di terra?/ oltre la voragine delle quisquilie sa/ o si è trattato solo di crapaggine/ e ci muoviamo da diversi espansi/ il mio di coricarla ardotremante/ il suo? nebbiosa toglie mette i guanti".

Sulla quotidianità investigata con spietata ironia, Majorino ha scritto pagine di poesia/prosa sin dai tempi della sua partecipazione con Elvio Fachinelli e Luciano Amodio a Il Corpo pagine poi raccolte recentemente in Ricerche erotiche (Garzanti, 1986). La folla qui è vista da vicino, centellinata in incontri, nel guizzo di una battuta, d'un disvelamento d'intenzioni, nell'equivoco.

Le folle delle nuove donne sono quasi ritratte epicamente, nel tratteggio didascalico: "sciolte ma molteplici/ le linee di bandiera/ del donnismo/ navi nelle case/ una per una/ fiera la testa all'alba/ cose da riordinare/ pensano, il circuito/ stando insieme respirando insieme/ batte spesso uguale/ guizza sotto le assi/ il tutto mosso/ delle lotte locali".

Stesso tono per le folle di giovani ritratte sul finire dei Settanta, nell'involuzione politica di quegli anni e nelle diverse condizioni di degrado: "Tornano masse di giovani dentro casa/ battendo i denti nel vento anonimo esterno/ eterne mamme stringono i bimbi al cuore/ brillano nel buio le siringhe/ collo piegato occhi chiusi non più sogni politici/ sono risposte/ o code a numerose/ vicende erranti, a giri senza voce, a certe scie di freddo/ sono domande/ intimamente poste".

Qui il tasso di figuralità si abbassa precipitosamente nella denuncia scoperta a segnalare diversa urgenza. Ma anche qui la chiusa che veicola la sentenza, segue la costruzione per frammento-sequenza, non tollerando che questa modalità tormentata di narrazione. Ancora sulle donne: "Le nuove donne, già, piccole voci/ saldezza non roboante/ un'insistita passione per la politica/ misurata sul proprio corpo a abito/ non le più veloci, le più profonde/ pensano sottotono udendosi a specchio/ dal treno in corsa? un passo laterale?/ quale treno in corsa? un'area parziale?/ non le più profonde, le più colpite".

In Testi sparsi come in Provvisorio si evidenziano in massimo grado quelle caratteristiche che all'inizio s'indicavano come peculiarità del lavoro di Majorino: il realismo viene formalizzato a partire dall'incontro/scontro con le innovazioni formali seguite al massiccio lavoro in senso sperimentale degli anni '60 e '70; vi è un attraversamento critico di tali strumenti e un utilizzo in senso non formalistico degli stessi.

In tal senso il raffronto con Pagliarani è d'obbligo e, seguiti i diversi itinerari, considerate le differenze anche profonde, tale riferimento potrà anche fornire una chiave di lettura per comprendere la proposta di "formalizzazione" del reale espressa da Giancarlo Majorino.

Per concludere questa breve disamina di Testi sparsi, si riporta uno dei testi più intensi della raccolta che, elaborando il lutto attraverso la riproduzione del lavoro onirico, conserva nella sua struttura e nel suo montaggio il pathos, appunto, del sogno: "s'è tuffata, nel buio, all'indietro;/ l'ha raggiunta mio padre;/ coricati, s'allontanano chiari/ nella cupa, incerta, prolungata sera;/ altre volte sembra nuotino in piscina/ coperta, in una nera, calda serra/ toccano una sponda l'altra toccano/ scalati/ è notte vera/ e pare madreperla/ cadenzati battono/ ma, sono arrivati?".

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SEZIONE: critica   STATUS: completo   TEMPI DI LAVORAZIONE: 11/2002 - 4/2003

 

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