Maurizio Cucchi (Prefazione a G. Majorino, Le trascurate, Ed. Stampa spa, Brunello, 1999; ora presente, insieme ad altri testi critici, nell’Autoantologia di Giancarlo Majorino, Garzanti 1999)

 

Questo libro è ricco di bellissime sorprese, di poesie che non costituiscono affatto un puro e semplice contorno rispetto alle opere già note di Giancarlo Majorino. Sono poesie trascurate, infatti, ma ingiustamente, e vengono ora a comporre un nuovo organismo, e dunque un insieme ben più unitario di quanto si potrebbe credere. Un elemento, ad esempio, che ha un rilievo quasi costante, è il calmo incanto che Majorino sa cogliere nella sfera del privato, naturalmente con una densità fisica del linguaggio e delle situazioni in cui lo riconosciamo benissimo.

In questo senso la prima serie di testi (Scritta negli anni Cinquanta, come ci avverte l’autore, e dunque al tempo della Capitale del nord)ha dalla sua, anche, una dolcezza che esprime ciò che di sottile e misterioso viaggia nella meraviglia dei rapporti umani e dell’amore: “Ti vengo incontro. E’ misterioso questo”. In Majorino, questa linea della quotidianità e dell’amore, delle gioiose sospensioni vitali nelle minuzie dell’esistere, ha sempre avuto una presenza centrale: ma qui la seguiamo in un lungo percorso e la vediamo sbocciare con pienezza già nei testi giovanili, che costituiscono uno degli aspetti di maggior pregio della raccolta.

Naturalmente, si manifesta anche il rovescio della medaglia, e cioè il vuoto desolante di vite cittadine oppresse all’ombra di immensi orologi, e perciò incongrue figure di “centauri/ metà umani metà scrivanie”. Personaggi e ambienti che Majorino ha dipinto con il vigore che sappiamo in un libro di grande peso e originalità come Lotte secondarie.

Ma nelle Trascurate la vitalità tempestosa di questo poeta, sempre mista a inquietudine e sana insofferenza, trova anche nuovi percorsi e nuove misure rispetto al passato. La sua energia, che forse vorrebbe essere sempre solare, è costretta, talvolta, ad essere anche notturna e cupa, come in una poesia tra le più recenti qui comprese, quella che inizia con il verso “per fortuna che ci sei tu camion della ruera”. Qui l’uomo che sta “acquattato nel letto notturno” e conta le ore, è come sommerso da una serie di visioni e ricordi che si accavallano, sorgenti dal profondo, in una fisionomia che le tenebre e il mezzo sonno rendono deforme e sinistra. E vede gli uomini come “massa d’inoltranti”, come figure che si avviano in folla “con il muso in avanti nel buio”. Questa immagine di un grande spostamento collettivo è poi sviluppata in un altro dei testi maggiori del libro, l’ultimo, dove il poeta descrive una formidabile migrazione di animali. Un testo di maestosa forza visionaria, che ci introduce già in un nuovo tempo della poesia di Giancarlo Majorino.

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SEZIONE: critica   STATUS: completo   TEMPI DI LAVORAZIONE: 11/2002 - 4/2003

 

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