Gabriela Fantato, Punti precisi che ci mirano ("L'immaginazione", marzo 2000)

 

Nel corso del 1999 sono usciti in libreria due libri di poesia di Giancarlo Majorino che riuniscono -seppur con criteri e modalità differenti- testi scritti dal poeta nel corso degli anni e che oggi sono dati ai lettori in una nuova unità. La breve, preziosa raccolta, Le trascurate, con prefazione di Maurizio Cucchi, presenta alcune poesie che l'autore aveva lasciato nel cassetto: "trascurate", appunto, non inserite nelle opere precedenti e che integrano il quadro del lavoro di Majorino anche con alcuni inediti. L'Autoantologia è invece una scelta fatta dall'autore stesso all'interno di tutta la sua produzione, a partire dagli Anni Cinquanta, via via attraverso le opere, sino ad un assaggio di inediti, segno evidente di una nuova prossima raccolta.

Se ci soffermiamo sui titoli notiamo che -com'è accaduto per tutte le raccolte di questo autore- non solo sono parte integrante della poesia ma esprimono in estrema sintesi e per ellissi la specialissima poetica o lo spirito -se preferiamo- di Majorino. Il primo titolo va inteso non solo nel senso evidente del trascurare ma anche come esplicitazione di un preciso atteggiamento interiore che suggerisce, allude ad una sorta di "trascuranza" o "noncuranza" e che, pur cogliendo il tragico del reale, invita all'ironizzare e anche all'autoironizzare che è un "non aderire" e saper sorridere degli affanni consueti, dei codici letterari, dei ruoli e delle imposizioni del sociale. Spostandosi un po' di lato rispetto al noto per trovare un "luogo" (poetico) da dove svelare trappole, strettoie dello stesso. La poesia di Majorino è quindi fusione d'intensità e leggerezza, spostamento del punto di vista, understatement interiore (e di scrittura) nell'intenzione di cogliere ciò che da troppo vicino si rischia di non vedere. Il titolo della seconda opera, Autoantologia, propone un termine che può passare inosservato, ma se lo rileggiamo fa venire alla mente un altro vocabolo di ambito visivo: autoritratto. E così è: poesia dopo poesia ci si rende conto che Majorino ha realizzato in questo libro non solo "una campionatura" dei testi -come egli stesso scrive- ma ha dato forma ad un particolare autoritratto. I testi infatti ci restituiscono lo sguardo, il passo dell'andare e un ritmo interno che è respiro del poeta, eppure i tratti di questo complessivo "autoritratto" di Majorino disegnano un paradosso: la parola poetica è singola/singolare ma insieme lingua del molteplice e parola dei molti. L'Autoantologia è un organismo (vitalissimo) che guarda-ascolta e che ci guarda e agisce. Organismo irridente-sorridente, ma anche tremante o inquieto: il "corpus poetico" è corpo vivo, individuale e collettivo insieme, infatti la scrittura chiama a sé la complessità del rapporto tra individuo e mondo, tra il singolo e i molti. Il tono complessivo dell'opera è dell'ossimoro e del paradosso che sovverte le aspettative di chi cerca di indicare "uno stile" (unico-unitario) per il poeta, in tal senso è una "varietà unitaria": corposa continuità e instancabile cambiamento di lingua e ritmo. Cuore pulsante di questo organismo (poetico) è senza dubbio il rapporto tra poesia e realtà, ma al di là di ogni realismo, mimetismo o descrittivismo. Ogni testo vive del/nel rapporto con il contesto, con l'extra-testo, ma un rapporto non certo meccanicistico-causale, né psicologico bensì intreccio tra dentro e fuori, tra l'uno e i tutti, tra scrittura e vita reale, così che ogni testo è in sé chiamo e la lingua di Majorino "atto di suono". La poesia si fa movimento e azione, conservando però in sé la matericità, la grumosità e l'entropismo del mondo da cui proviene e a cui si rivolge. Ogni testo è immagine/suono -direbbe Deleuze- poiché il poeta non si isola, non si separa dal contesto in cui è ma sta proprio nel "mezzo", in relazione con il mondo, in quel nesso mobile in cui la scrittura è "carne del mondo" -direbbe Merleau Ponty. E' il movimento dei corpi che si dà nel linguaggio, ma anche la tensione che li agita, quella pulsione carnale-biologica che è radice elementare dell'esistenza. E la realtà in esso si dà svelandosi in dettagli, per frammenti o nei lapsus, poiché intenzione del poeta è non fermarsi all'acquisito ma denudarlo, guardando nelle fessure della superficie per scorgere ciò che è sotto, nella profondità. La poesia di Majorino mira alla verità ma vuol restare "nel mezzo", in quel luogo di relazione dove l'io non è mai separabile dal reale, né questo può essere colto in sé, isolato: "La carta che conosco dovrebbe stare in mezzo" -si legge in un testo- e oltre: "Conoscevo una carta che stava nel centro/ tra lo scrivere e il fare, dal mare/ riportava alla camera, dal silenzio/ nelle voci tornava..." E' "nel mezzo", in quel luogo non noto, non codificato e rischioso che l'autore cerca il senso, spostandosi di lato, in zone da ri-sperimentare, in un "equilibrio in pezzi". Majorino è anche poeta civile, politico e morale insieme, aldilà di ogni retorica e ideologia, in quanto agisce con la lingua nella direzione della demistificazione a tutto-campo, non solo dei falsi perbenismi borghesi ma anche dei luoghi comuni del pensare. Il poeta ci mostra un'umanità non astratta-ideale ma corporea, spinta da pulsioni elementari e in balia della vita stessa e della morte che attende tutti. Si legge ne Le trascurate: "sotto il rumore sta un silenzio/ che i corpi stanche frusciando rivelano". La poesia di Majorino quindi non accetta lo statuto di "letteratura", non vuole essere "povera carta" (bidimensionale e liscia), ma "carica carne", altrimenti sarebbero solo "segni che illudono; fessure" -scrive il poeta- scrittura inerte, righe di superficie senza profondità e pur sapendo che la poesia è "seminulla", l'autore vuole che sia "come una ruga" o "come un tatuaggio", segno incorporante il tuttodenso che è la realtà, corpo e parola. Tolte le maschere rassicuranti (anche quelle letterarie!), Majorino aderisce al mondo (magmatico, frenetico violento ed entropico) forse perché sa che "Più comprendi prendi con te più mangi/ con l'intero corpo/ che in fondo in fondo le Voglie non sono l'opposto/ della Ragione.../". Contrario con ironia e talvolta con sdegno e rabbia ai "giochi fatti", egli vuole rischiare di... giocare sino in fondo: rifiuta le regole della lingua, non per sperimentalismo artificioso bensì per tornare allo "stato puro" della lingua, in quel luogo chiasmatico dove è lingua di nessun parlante reale eppure di tutti. Il poeta è come "irretito", sedotto, affascinato dal reale, dalla città, dalle persone, dalle cose attorno a sé e il linguaggio le coglie e le accoglie nel loro darsi e mutare: in tutta l'Autoantologia e ne Le trascurate si dà vita ad un linguaggio "erotico", ad una poesia che è "amorosa pratica del mondo", un dire che è "gesto" e suono. Si può parlare di un realismo assolutamente speciale di Majorino, il quale stando alla superficie, in contatto con la realtà, apre la profondità. Nell'Autoantologia, è possibile scorgere, oltre ad alcune continuità, ciò che nel corso del tempo e nelle diverse raccolte è cambiato, meglio si è spostato. Ne La capitale del Nord (del 1959, ristampato nel 1994 e che qui compare per intero) si trova una Milano vista nella "storia bassa" e il poeta dice di un mondo dove il singolo si sentiva parte del sociale. La poesia è "lingua della coralità" o quasi "canto", come scrive Mario Santagostini nel saggio critico che -con molti autorevoli altri- costituisce l'ampia sezione di chiusura dell'antologia.

Soprattutto in Lotte secondarie e Equilibrio in pezzi emerge invece una "lingua lacerata/lacerante", come il conflitto che permeava in quegli anni il sociale, la vita in famiglia, la scuola e anche l'amore, la coppia. Ricorrente nei testi l'immagine dei denti, della fame e del cibo: "Apre nuovamente il corpo/ doloroso/ goloso/ ora mi mastica ghiotto lentamente...". La lingua poetica è tagliata in pezzi di frasi che si aprono un varco nel magma, le parole sono aggrumate e le domande ricorrenti. E' poesia attraversata dalla rabbia e dalla violenza, dove il senso diviene gesto che lacera: "...devi ficcarti nel corpo (carne ossa pensieri) che sei/ l'eroe di niente..."

In Provvisorio, qui solo campionato, si delinea con forza una lingua permeata dalla vitalità (quasi erotica), da un desiderio di aderire alle cose, alla vita, poesia segnata dall'inquietudine. E si legge: "proseguono, implacabili, coatti/ raserba/ mentecatti, che siamo, circondati/ da flussi di petrolio, urlandoci ti amo..." quindi compare la collettività ma ben diversa rispetto a La capitale del Nord, infatti è detta "vorticoso gruppo dei gruppi dei gruppi dei singoli tutti/ o quasi tutti".

Nelle raccolte degli anni successivi -La solitudine e gli altri, Cangiante, Sosia che nell'Autoantologia sono presenti in versione integrale- troviamo la figura (nuova) del "sosia", alter-ego ricorrente in vari testi: "solo una parte di me lavora e scrive/ tra i muri e nella camera/ l'altra parte si dibatte e spera/ avvinghiata a circolanti nel dato...". E si delinea anche la figura dei somiglianti: "Ma chi sei tu? persona somigliante/ estranea insieme, chiedo un po' pedante...". Proprio con La solitudine e gli altri inizia un nuovo percorso di Majorino: la poesia diviene quasi aforismatica, asciutta e anti-lirica, segno di una perdita di corpo del mondo: è in atto una "cosalizzazione" della realtà e le relazioni svaniscono. I viventi hanno il corpo mutilato, annichilito e sono tutti simili entro il generale processo di anomia della modernità. Ciascuno è senza un nome-volto: "fatturato". Ma è anche vero che, scrive Majorino, questa è "l'unica vita" e la poesia si rivolge al lettore invitando "a starci", ad esserci nel presente. Con Tetrallegro -raccolta del 1995 di cui abbiamo nell'Autoantologia solo alcuni testi- la trasformazione dell'umanità in massa che spinge e urta si fa evidente, crudamente detta con versi che talvolta paiono quasi "slogan". Tutti sono "stracchi morti fregati succhiati" e il vivere sociale è ridotto a puro e semplice "covivere". La collettività c'è, ma senza valori e identità condivisi; lo spazio è poco e diminuente, il tempo di ciascuno poco e raccorciatosi. Se è in atto nell'extratesto un moto di condensazione, di addensamento e banalizzazione ("nella bambinopoli si transita") e anche di globalizzazione, la lingua poetica assume dentro di sé la mancanza, facendosi linguaggio mozzato/ smozzicato, perdendo pezzi: cadono le finali delle parole, si raggrumano i vocaboli in torsione, si accorcia il respiro eppure si coglie una tensione intima quasi poematica. I versi svelano l'intimo senso del vivere, quella lotta (necessaria a sopravvivere) che spinge e tira tutti, mentre gli umani hanno sempre di più volti "sgrumati" che sembrano musi. Entrano le bestie che -allo stato puro, senza maschere e mistificazioni- rivelano ciò che sta sotto. E sono felini, rinoceronti, insetti... e la giraffa, l'orca marina, il leone... non cani o gatti, animali domestici, addomesticati come gli esseri umani! Le bestie ci guardano e il poeta ci guarda: incrocio muto di sguardi senza parole, ma forse solo "spostandosi di lato", tra gli animali è possibile vedere, svelare ciò che sta accadendo nella realtà attorno.

Questo processo si fa ancora deciso nel gruppo di inediti che compaiono sia in fondo a Le trascurate che nell'ultima zona dell'Autoantologia. Tutti ormai uniti e confusi: animali e umani che vanno, avanzano in massa come infilati dentro ad un imbuto, come richiamati dal "pifferaio magico" e il clima generale dei vari testi è cupo, visionario, quasi barocco, da giorno del "diluvio universale" e il destino è nel movimento a testa bassa. Il tragico si sta compiendo nel reale e la lingua si fa epica, plurale e lenta proprio come la pesante massa che mostra in un generale migrare senza meta. Questi testi aprono una nuova interessantissima direzione che mette in atto la lingua di una collettività assiepata, schiacciata, animalizzata, restituendoci in immagini-movimento-suono la trasformazione: quel divenire tutti somiglianti, prede/predoni insieme. La capacità che ancora caratterizza questa poesia di Majorino è lo "spostarsi di lato", cambiare ancora in un instancabile lavoro di ascolto del presente.

 

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SEZIONE: critica   STATUS: completo   TEMPI DI LAVORAZIONE: 11/2002 - 4/2003

 

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