Walter Pedullà, Come curare la “vergogna” di produrre letteratura (“L'Avanti”, 29 agosto 1971)

 

(...) L'attuale è un momento di riflessione anche per la poesia, che però rispetto alla narrativa ha più tempo, visto che nessuno l'aspetta e se arriva nessuno se ne accorge: forse ora come mai (anche se quest'anno è di moda un elegante gusto per i risultati, che minaccia un inverno neo-classico) letteratura per produttori di letteratura, genere per ricerche ed esperimenti che serviranno domani ai prosatori in uno scambio che sa di mutua assistenza. In tale direzione non c'è molto di nuovo e quello che c'è vive e procede sulla spinta dei propellenti linguistici e ideologici degli Anni Sessanta. Qualche chiarimento è venuto dalla contestazione, che però ha messo in crisi la stessa tentazione di raccontarla dopo i primi "servizi" in prosa o in versi dal fronte.

Uno dei pochissimi che ha risposto alla "vergogna" è Giancarlo Majorino, il quale già nei precedenti volumi (La capitale del Nord e Lotte secondarie) ha mostrato talento e strumenti per seguire, sentire e capire le cose della realtà contemporanea: doti che ora con Equilibrio in pezzi (Mondadori) conferma, per abile e persino un po' virtuosistico impiego di lessico e metri, che manifestano una cauta certezza di poter legittimare l'attività poetica pur nel premere di ben maggiori problemi. Alcune poesie del volume funzionano a tutti i livelli, e più d'una è "bella".

Mentre dispone l'uno accanto all'altro per tagli svelti ed energici i dettagli che una città neocapitalistica gli butta sotto gli occhi -ce n'è un'abbondanza che escluderebbe la selezione, la quale c'è lo stesso e si capisce che non è indispensabile in una struttura che drammatizza l'insignificante- Majorino accumula rancore e indignazione o sarcasmo, limitando sino alla frustrazione l'impiego o seppellendoli sotto la fremente trafila di immagini oggettive. La vocazione più prepotente sarebbe l'urlo o l'aggressione moralistica ma al poeta chi darà la certezza di averne il diritto? In che rapporto stanno le proprie reazioni in mezzo a tutti gli oggetti, eventi, idee, sentimenti che gli stanno intorno? Solo di là in effetti il giudizio o il risentimento ricevono un nullaosta che elimini o attenui il sospetto dell'<interesse> personale secondo vecchia o nuova ideologia. In tale situazione mettere tra parentesi il giudizio e dar la parola alle cose non è neutralità ma premessa di una migliore conoscenza di sé e degli altri. Registrando fatti della cronaca quotidiana e il parlato tecnico-aziendale, il gergo di derivazione giornalistico-televisivo o persino le pronunce variamente alterate, malgrado il galleggiante di un'ironia, nutrimento assiduo di rime e di grottesche deformazioni lessicali, il poeta sprofonda in una realtà dove il suo fare poesia, attività comunque "aristocratica", autoritaria o paternalistica, denuncia un ridicolo che lampeggia in rossore. Non è certo la prima volta che si sente la "vergogna" di fare o interessarsi di letteratura, ma Majorino, confrontandosi con le degradazioni di una parte della realtà e con le sorprendenti proposte di "sublime" che vengono dalla gioventù contestatrice, ne dà una versione di efficace ambivalenza: l'abbassamento del poeta "solleva" un po' la realtà, almeno di quel tanto che legittima l'impressione e la speranza che non si è conclusa la lotta per sottrarsi alla brutalità dell'alienazione. A quel punto il ridicolo è di chi crede di salvarsi individualmente nel lamento del perdente, come ora pare abitudine assai diffusa nella letteratura progressista; la realtà non stritola o deride il combattente consapevole dell'umiltà della condizione ma il filisteo che vuole conservare il potere aumentando i complici della propria piagnona impotenza a capire e a fare.

Piuttosto che la storia della perdita della grandezza, il volume di Majorino racconta quella, confortata dagli eventi inattesi di un'epoca frettolosamente condannata, del recupero di una sia pur modesta ma realistica possibilità di alternativa senza retorica. "Equilibrio in pezzi" significa che è saltato il vecchio equilibrio, sociale, culturale e politico; ma significa anche (lo dicono i versi sintatticamente più compatti e razionalmente -ideologicamente- meglio "alleati" della seconda sezione del volume, la contestativa "Scuola pubblica", rispetto alla frantumazione meno articolata della prima, "Le trattative") paradossalmente che un certo equilibrio si è insinuato tra i "pezzi", e su esso è possibile fondare il furore e lo spietato sarcasmo contro coloro che, nella prospettiva di una radicale alternativa socialista, appaiono nemici segreti o palesi. La lotta è a un livello più "basso", ma in questo momento la cosa più importante era confermarne la necessità e la concretezza nella generale rinuncia o nello stanco professionismo dell'opposizione. Così si può anche non sentire "vergogna" di fare letteratura.

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SEZIONE: critica   STATUS: completo   TEMPI DI LAVORAZIONE: 11/2002 - 4/2003

 

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