Giovanni Raboni (“Aut aut”, marzo 1966; ora in Poesia degli anni sessanta, Editori Riuniti, Roma, 1976; presente inoltre, insieme ad altri testi critici, nell’Autoantologia di Giancarlo Majorino, Garzanti 1999)

 

Può non essere il caso, una volta tanto, di aspettare il “libro” - cruna dell’ago o cammello, o tutt’e due insieme, di un’ordinata carriera letteraria - per riconoscere e valutare l’esistenza di un poeta. Da due o tre anni in qua i lettori delle riviste hanno avuto modo di seguire il lavoro di Giancarlo Majorino (noto in precedenza, immagino, solo agli specialisti per un volume - La capitale del Nord – apparso nel 1959 nelle edizioni non sempre attendibili e fra l’altro semiclandestine di Schwarz) grazie alla pubblicazione di cinque gruppi di testi notevolmente nutriti e rappresentativi: nell’ordine, La miopia (“Il menabò” 6, 1963), Famiglia (“Quaderni piacentini” 1964, n.17-18), Ricerche erotiche (“Il corpo”, 1965, n.1), Lotte secondarie (“Paragone”, 1965, n.186), Storia interrotta (“Il corpo”, 1966, n.3). Si tratta, in sostanza, di vere e proprie raccolte o, se si preferisce, di altrettanti capitoli o parti di un libro in formazione, già sufficientemente intuibile nella sua struttura e accertabile nella sua incidenza e probabilità; anche a voler prescindere, per chiarezza, da altri, meno organici frammenti del suo lavoro che Majorino ha fatto uscire nel frattempo sulle stesse o su altre riviste.

In sede di primissimo avvicinamento direi che le caratteristiche più notevoli e più evidenti della poesia di Majorino sono, da una parte la frontalità e la franchezza del suo rapporto-scontro con la materia, con l’oggetto, insomma con la realtà di cui si interessa e sui cui aspetti non rinuncia in nessun caso a formulare rilievi, previsioni o giudizi; dall’altra parte la precisione (in senso qualitativo) e la tempestività con le quali ha mostrato e mostra di saper attraversare via via – cogliendone vivacemente possibilità e significati, ma evitando di restarne condizionata in modo eccessivo e comunque deformante – le diverse zone e quote della “attualità” linguistica.

Quanto al primo punto, si tratta probabilmente di quello che contribuisce in maggior misura a fare del lavoro di Majorino un caso singolare (per non dire unico; ma forse un altro esempio potrebbe essergli accostato, quello di Nelo Risi) nel panorama della poesia italiana di questi anni. Non mancano, in un certo quadro di riferimenti, altri poeti la cui attività configura nell’insieme, in modo prevalente e caratterizzante, una vicenda di discussione o confronto con la realtà pubblica del loro tempo: anche senza rifarci alle figure complesse, e parzialmente provenienti da altri luoghi, di Sereni o dell’ultimo Luzi, basterebbe pensare all’opera di Pasolini e di Fortini o – fra gli scrittori di qualche anno più giovani – a quella di Roversi, Giudici, Leonetti, Pagliarani, Cesarano, ecc. Ma non è difficile accertare come, ciascuno a suo modo e secondo le sue forze, tutti i poeti citati tendano più o meno volontariamente ad avvolgere, a imbozzolare le emergenze obiettive delle loro indagini, i richiami variamente puntuali della loro coscienza storica, culturale, sociologica, dentro le secrezioni di una qualche particolare e personale violenza, ambiguità o nevrosi, sottoponendone i reperti a processi di riduzione e restituzione al privato con l’uso di diversi acidi e secondo diversi tassi di alleggerimento, corrosione, deformazione, ecc. Processi non riscontrabili, a mio parere, o riscontrabili solo in misura marginale e comunque non decisiva, nel lavoro di Majorino, il cui modo di individuare e descrivere i problemi di una determinata realtà (problemi e reazioni di un individuo messo a vivere dentro gli schemi della società capitalistica nell’ambito di un grande agglomerato urbano) è, come s’è accennato, e vuole essere, estremamente secco e diretto, con punte d’intonazione d’intenzione addirittura didascaliche o manualistiche.

Ciò che rende poeticamente concreta – vale a dire percepibile e rilevante come poesia e non come enunciazione programmatica o propagandistica o comunque astratta – una siffatta volontà di discorso, è proprio, a mio parere, l’acuta sensibilità linguistica di Majorino, cioè la sua capacità (e qui siamo al secondo dei due punti preannunciati) di identificare e strumentalizzare, con distacco ironico e insieme con notevole forza di penetrazione e reinvenzione espressiva, i campi, gli strati del linguaggio (letterario e parlato) nei quali si condensa, a un certo punto, una carica particolarmente intensa di “possibilità” e novità lessicali, sintattiche, metriche e così via. In questo senso, come suggerivo all’inizio, si può dire che il lavoro di Majorino attraversi davvero in verticale gli ultimo otto o nove anni di movimento della poesia italiana, arricchendosi, all’altezza di ogni fase, degli strumenti più adatti allo sviluppo del suo progetto-base di comunicazione. Dall’intelligente recupero – in chiave di rigoroso controllo filologico e di irrobustimento critico-satirico – di alcune istanze narrative d’origine fra populista, neorealista e neovociana, compiuto con il romanzo o racconto in versi La capitale del Nord (la cui pubblicazione precede di pochi mesi quella di un altro testo, fondamentale appunto in questo senso, come La ragazza Carla di Pagliarani), agli straordinari “ingrandimenti” della Miopia che illuminano volta a volta, sul nero di ogni singola lastra, vividi e minuziosi grovigli ideologico-viscerali, e ai rischiosi (mai compiaciuti o gratuiti) esperimenti di scomposizione e sovrapposizione prosa-poesia e di plurilinguismo accortamente non pittoresco tentati in Famiglia e nelle Ricerche erotiche, la storia conosciuta della poesia di Majorino finisce quasi col costituire, anche, una specie di percorso interno, una proposta di “interessata” decifrazione di diverse e successive ipotesi intorno alle quali si è mossa da ultimo la poesia italiana nell’ambito, si capisce, di un preciso impegno politico. Insomma, una presenza singolare, quella di Majorino, che risulta tuttavia in qualche modo complementare e indispensabile a una condizione e a una progettazione più estese; una vicenda perfettamente autosufficiente che rappresenta insieme, fra l’altro (e proprio nella misura in cui è autosufficiente, cioè viva nei suoi propri modi e attributi di qualità e di spessore), un’esemplare provocazione.

vai alle ALTRE CRITICHE su "La capitale del nord"  

vai alle POESIE de "La capitale del nord"

 

(torna alla critica generale)

 

 

SEZIONE: critica   STATUS: completo   TEMPI DI LAVORAZIONE: 11/2002 - 4/2003

 

intervista - biografia - bibliografia - bio-bibliografia - poesie - lettere - cosa dice chi lo conosce  

home page - link - email  

Le poesie, pubblicate all'interno di questo sito hanno l'approvazione dei relativi autori. Le fotografie, il disegno in apertura e i testi  delle interviste sono sotto il ©copyright del sito "paroladipoeta": qualsiasi riproduzione, totale o parziale, è vietata senza autorizzazione. Il sito è disponibile a correggere o eliminare in toto o in parte i testi presenti.