Mario Santagostini, “La capitale del Nord” ristampato dopo 35 anni (“La Repubblica”, 16 maggio 1994)

 

Il 2 aprile 1959 era probabilmente una bella giornata. Tra le altre cose non memorabili accadute, comparve sul periodico Il Borghese la recensione a un poemetto fresco di stampa.

La recensione era firmata da tale Maghinardo da Baviera (non mancava di teutonica fantasia dell'attribuirsi il nom de plume) che scriveva questo definitivo e luminosissimo parere: "Filastrocche idiote e stantie da mentecatto in vena di furberie (...) che tuttavia troverà pure una dozzina di recensori più imbecilli di lui disposti a prenderlo sul serio".

Dato che il mondo è bello perché è (o era) vario, proprio in quegli stessi giorni, Franco Fortini aveva scritto a Pasolini a proposito di quel libro: "Ti segnalo vivamente La capitale del nord di Giancarlo Majorino, racconto neopopulista neofuturista in versi. Il tipo in questione ha trent'anni, impiegato di banca. Mi ha colpito".

Il tipo (o il mentecatto, a seconda dei punti di vista) ora non fa più da un pezzo l'impiegato di banca, ha scritto altri libri di versi, ha passato la sessantina essendo nato nel 1928. Ha pure trovato un bel numero di imbecilli disposti a prendere molto, molto sul serio La capitale del nord e altro di suo (quorum ego).

E il suo libro, dopo 35 anni di sonno editoriale e di irreperibilità fisica, adesso viene finalmente ristampato. Ne vale la pena, perché è uno dei migliori esempi di poesia urbana usciti in Italia: poesia materica, forte, tanto personalmente cifrata da restare equidistante rispetto alle tendenze di quegli anni.

Ancora oggi, classificarlo non è facile: volutamente schiacciato sulla realtà di quel tempo, continua a mostrare margini di eccentricità. Agisce nelle pagine di La capitale del nord un disegno complesso, teso a rompere i confini rigidi dei generi letterari, e dunque il poema sembra indirizzarsi verso una narrazione continuamente spezzata, interrotta e ripresa.

Era un libro centrale, moralistico (caratteristica eminentemente lombarda), critico, spesso polemicamente caustico verso la Milano del boom economico, con le nevrosi che oggi in fondo riescono perfino a intenerire. Ma si trattava di un'opera in fondo ottimistica, attraversata da una pacata adesione alla vita e alle sue contraddizioni.

Mostrava come Milano, allora, possedesse una voce unitaria, ascoltabile e riconoscibile, composta da innumerevoli toni anonimi e in grado di amalgamarsi in una coralità.

Ecco: quello che forse oggi è davvero scomparso e che era ben presente negli anni in cui venivano comporsi versi e l'unità polifonica capace di tenere insieme tutte le voci che affiorano e si inseguono in un'appartenenza reciproca.

Voci che, probabilmente, sono rimaste le stesse. Manca però il quadro d'insieme: lo spirito della città. Non è cosa da poco.

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SEZIONE: critica   STATUS: completo   TEMPI DI LAVORAZIONE: 11/2002 - 4/2003

 

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