Poesie e realtà
1945-2000

 

Poesie e realta' 1945-2000 di Giancarlo Majorino - Marco Tropea Editore 2000

Poesie e realtà 1945-2000 di Giancarlo Majorino - Marco Tropea Editore 2000

"Uno dei prestigiosi poeti contemporanei scrive ciò che pensa, ciò che sente, ciò che sa della poesia italiana dal 1945 al 2000. Un viaggio avventuroso in una terra di nessuno, dove poesie e realtà, opere e vissuti, solitudine e comunanza possano convivere, irradiando intensità, bellezza slegata da norme, conoscenza spregiudicata. Un'antologia che è un'interpretazione. Che è la scrittura di un poeta".

(testo tratto dalla quarta di copertina)

 

 

il poeta Giancarlo Majorino copyright Barbara Pietroni

 

"Poesie e realtà 1945-2000 è stato un lavoro di cinque anni, quindi un lavoro non da poco, che più che continuare Poesie e realtà 1945-1975, come forse auspicavano gli editori (coraggiosissimi, tra l'altro), è diventato quasi un altro libro, ampio e potente (da qui, gli stessi cinque anni).

Oltre ad essere un’antologia di versi dal 1945 al 2000 -devo dire che purtroppo qui si è appuntato il grosso degli interventi recensori finora, annotando chi c’era e chi non c’era (sempre queste stupidaggini!)- in effetti è anche un saggio critico generale molto impegnativo. Sia per le originali ricostruzioni storico-culturali (riferendomi appunto al titolo stesso "Poesie e realtà", ho sempre pensato che la poesia avesse un doppio valore e in sé e in rapporto ai grandi eventi condivisibili, diciamo), sia per l'accertamento dei valori testuali.

Quindi questa... chiamiamola pure "antologia" -ma si può chiamarla in vari modi, perché è un po' più di un’antologia, diversamente dalle quelle che solitamente si definiscono come tali- ha almeno quattro grosse intenzioni -che poi siano rispettate o no, non lo so!

La prima, è una drammatica presa di coscienza della mortificazione culturale che subiamo. A mio giudizio c’è un clima orrendo. Lo stesso titolo dell’anno di estetica che sto facendo è "La dittatura dell’ignoranza e le possibilità dell’arte". Un’altra versione poteva essere: "La dittatura dell’ignoranza e i piaceri dell’arte". La dittatura, insomma, dell’ignoranza è terribile e grava su tutto. E naturalmente grava anche sulle poesie e sui poeti, lo sappiano o no.

Il secondo punto, che ha a che fare con una questione su cui si interroga il grosso della critica letteraria e della critica poetica in particolare, è che, della doppia valenza dell’opera d’arte (doppia valenza che ogni opera d’arte davvero tale dovrebbe avere), viene accentuata oggi smisuratamente solo l’opera in sé, il valore puro dell’arte. Invece occorre riequilibrare il tutto, sottolineando anche  il valore, il rapporto che ogni opera d’arte ha con l’esterno da sé. Ecco, il riequilibrio di questa doppia valenza è un'altra delle intenzioni e delle idee che fanno da perno, che fanno la forza, l’attrezzatura, la struttura di questo libro.

Naturalmente, parlare di realtà in rapporto alle opere d’arte, in questo caso la poesia, implica una serie d’interventi sia laterali, che generali. Basta citare qualche titolo dell’Apertura. Uno è "la giornata faticosa". Cioè si entra subito in un’armonizzazione, che dice che razza di peso abbia oggi vivere. Oppure "le gioie del cervello". Ecco, questo è un altro paragrafo contro le tendenze generali, che dice delle meraviglie dell’intelligenza, del cervello, delle facoltà della persona, diciamo. "La danza dei libri" è un altro titoletto che dice che razza di via e vai, per lo più assuefatto al mercato, continua a circolare.

Poi c’è "spostarsi", la terza idea, dopo quella della mortificazione culturale che subiamo e dopo quella del riequilibrio delle due valenze dell’opera d’arte. La necessità di togliersi dalle due grandi ideologie che hanno dominato e che continuano a dominare questo 1900 e anche l'inizio del 2000. La prima, la più forte, che ha impregnato per secoli, diciamo, la mentalità e anche le opere, concerne un fatto in fondo abbastanza accertabile, cioè che l’individuo è alla base di tutto e che, quindi, ciascuno, quando vuole misurare qualche cosa, parte da sé, come fosse un’entità fissa. Per contro e proprio in antitesi, si è invece sviluppata un’ideologia, altrettanto potente o forse adesso un po’ meno, che presuppone che uno sia semplicemente la particella di un tutto. Ecco, questo primo "sì" e questo secondo "no", che è un "no" di quel "sì" là e quindi ne dipende, sono due posizioni, due modi, che a mio giudizio andrebbero completamente contrastati, entrambi. Tant’è che se è vero che il comunismo con tutto il suo carico complessivamente errato è semicaduto, crollato, per lo meno in Occidente, continua ad esserci l’altro mostro, cioè il capitalismo, il mercato, il potere dei ricchi, ecc. "Spostarsi" vuole dunque essere un’indicazione anche per chi scrive, per chi fa opere culturali o interventi. Vuol dire riuscire via via a trovare un punto molto diverso da cui muoversi.

A questo punto entra in scena la quarta idea, che è quella che ciascuno di noi, a me pare, sia un singolo di molti, un corpo di corpi, cioè che non sia né un’entità scissa, né una semplice particella di un insieme. Siamo davvero individui, però individui che si sono formati e che si formano ininterrottamente attraverso gli altri. Secondo me questo punto di vista può dare esiti importanti, in tutti gli ambiti, persino in poesia.

Questo "grosso" libro, secondo me, pochissimi recensori  l'hanno letto. Solo adesso cominciano a venire le recensioni, quelle serie di chi se l’è letto davvero.

All’inizio, però, c’era stata una bellissima intervista di Cinzia Fiori sul Corriere della Sera.

 

 

Anche se i  titolisti poi sono riusciti a sbagliare un punto, inserendo nel titolo con grande rilievo la frase (che mi hanno attribuito): "Questa non è una stagione di geni". Invece io ho detto qualcosa di diverso, cioè che è difficile trovare geni giovanili, perché ci vuole tanto tempo per entrare nella complessità del presente.

Poesie e realtà 1945-2000 è diviso in tre grandi parti e ciascuna di queste ha, torno a dire, sia una scelta di versi, cioè di poesie uscite in quegli anni, sia l'intera costituzione di un periodo. Non bisogna dimenticare che quando si critica la storia, e lo si fa a volte frequentemente, in realtà si criticano delle approssimazioni storiche.La storia sul serio è ancora da fare. La storia sul serio vuol dire entrare nei vissuti reali delle persone, cosa che quasi nessuno ha fatto e fa. Ed è un compito stupendo. Per i giovani per esempio. Invece stanno tutti lì, a scrivere poesie. Ce ne sono milioni! Se cominciassero a fare un lavoro di conoscenza, sarebbe una meraviglia, per loro e per tutti!

Allora, stavo dicendo, l’ho diviso in tre periodi. Il primo è intitolato: "L’evidenza della realtà". Nel ’45, cioè, con gran forza, ma anche qualche anno dopo, c’era questa grande realtà, come dire, oggettiva, condivisibile, che sembrava fosse lì davanti, con evidenza indiscutibile. Erano poi appena finiti due orrori, quello della guerra e quello del nazifascismo, e quindi c’era un grande ottimismo. Questo non vuol dire che il valore della poesia dipenda in esclusiva da questo. Ho già detto che è doppio, vale anche in sé. Per cui ci può essere anche il poeta che non riconosce questa evidenza della realtà e che è bravissimo.

La seconda parte, che ha un titolo per me abbastanza glorioso, perché inventato (bene, credo), è "Il sogno critico e l’arrivo delle cose". Si basa soprattutto sul fatto che nella seconda metà degli anni ’50 e poi negli anni ’60, si è avuta quest’enorme entrata del mercato degli oggetti. In Italia, per esempio, la televisione, grande incremento della vendita delle automobili, dei frigoriferi, cioè tutte cose importanti e utili, ma che pian piano hanno recato con sé una tremenda ideologia che ci ha impaniato. Il "sogno critico" perché? Perché in alcuni poeti c’era un sogno invece di una conoscenza e di una criticità diffusa. Pasolini, Fortini, Pagliarani, io stesso, che però non mi sono messo. Cioè c’è tutto un gruppo che io chiamo “poeti critici”, a cui dedico una certa attenzione. Naturalmente, non esiste né nei manuali letterari, né nelle antologie questa distinzione che faccio. E quest’arrivo delle cose, diciamo così, avrà poi il suo esponente principale nella neoavanguardia, la quale metterà al centro una modernizzazione, che però, lo si sappia o no, ha profondamente a che fare con questo arrivo delle cose.

La terza parte -che purtroppo è quella un po’ più affrettata, perché devo dire che io, con disperazione degli editori, sarei andato avanti anche vent’anni!- anche questa ha un bel titolo: "L’epoca del gremito". Raccoglie addirittura trent’anni. Quindi soprattutto i poeti più giovani sono spesso un po’ sacrificati, contrariamente a quello che faccio poi praticamente di organizzazione, di interesse. Ma proprio per limiti, se vogliamo, di tempo, ma anche di spazi. L’epoca del gremito è caratterizzata, io penso, non a caso, dal gremito stesso, cioè da questa enorme moltitudine di messaggi, di rapporti, di andirivieni, per cui sembra che addirittura non esistano più significati. Invece, esistono. Solo che non sempre sono quelli che la gente ha in mente da prima, ma sono quelli che la televisione le rifila. Questo è il punto.

Ecco, quindi, un’opera molto ambiziosa, che adesso, torno a dire, comincia ad avere un po’ di riscontri critici potenti. Tra l’altro c’è quello, bellissimo, di Antonio Prete. Poi ce n’è anche qualche altro ben riuscito... Insomma,  dopo una prima fioritura di cose immediate, spesso insignificanti, è arrivato anche qualcosa di intenso.

Dimenticavo di dire che naturalmente questo è un librone "gremito" a sua volta. E' diviso in tre parti. L’Apertura, dove tratto ipotesi generali, una seconda, non intitolata a caso: "Opere e vissuti" e la terza, che è una Chiusura.

Quello che ha di caratteristico la Chiusura, penso siano due punti. Il primo è che, dovendo alla fine tirare dei fili (mi sembravano talmente tirati da tutte le parti che non osavo più farlo!), li ho tirati però in una maniera, come dire, da poeta, cioè ricavando delle frasi, dei sintagmi, quasi degli slogan che mi sembravano estremamente belli, pregnanti, intensi. "Maschi caschi", "Uscire delle donne dalle caverne casalinghe, lento moto lungo, ostacolato", "(la poesia) è da una persona e dal suo esserci che si muove, e verso altre persone e il loro esserci", "una zona nella zona che agisce", "l’unica vita di ogni essere umano: la pedana di tutto", "giorno dopo giorno esseri non sepolti", "si ha sempre meno tempo di diventare intelligenti". Sembrano slogan. Forse lo sono. Ci sono delle immagini poetiche un po’ in tutto il libro. Nel bene e nel male. Una cosa, di cui sono orgoglioso e che nessuno fa, è che il libro finisce con le "ombre", cioè con quelli sotto, che sono muti, che non sanno parlare: "e le ombre qui che fanno? parlano le ombre? pensano le ombre? la massa matassa dei muti e dei semimuti, dei senza cibo, degli accoltellatori per forza, quattro quinti del mondo, cosa fanno? (...)". Naturalmente non esiste un libro saggistico, un’antologia, che parla di questo. Qui se ne parla continuamente e, alla fine, con particolare rilievo".  

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