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Enrico Albrici
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E. Albrici, Elemosina di San
Lorenzo (1772) |
Stando al biografo contemporaneo Francesco Maria
Tassi, Enrico Albrici, nato a Vilminore in Val di Scalve il 19 novembre
1714, già in età giovanissima: "altro non faceva che schíccherar
fantocci col carbone". Il padre perciò lo avviò ben presto alla
pittura nello studio di Ferdinando Del Cairo, originario di Casale
Monferrato, ma attivo a Brescia, dove l'Albrici stette per tre anni (dal
1730 al 1733). Fatto
ritorno precocemente in patria, l'artista sembra aver tralasciato il
disegno per disperdersi in attività meno nobili, fino al 1740, anno in
cui, secondo il Tassi, riprese a disegnare.
Le scoperte documentarie di Maria Adelaide Baroncelli hanno
recentemente permesso di ridelineare l'attività del pittore, alla luce
di dati certi. Nel 1741
egli sposò Maddalena Albrici di Vilininore e l'8 agosto del 1742 nacque
il primogenito Giacomo Maria. Dal
1743 al 1745 la famiglia non è più censita in Val di Scalve, a questi
anni risile infatti il secondo soggiorno bresciano dell'Albrici. A Brescia nel 1744 il pittore ricevette pagamenti per opere
nella chiesa della Carità. L’anno successivo l'artista datò gli
affreschi della chiesa di Berzo in Valcamonica, in collaborazione con il
noto pittore bresciano, Pietro Scalvini.
Alla fine del 1745 fece ritorno a Vilminore per dipingere la Crocifissione di San
Pietro nella controfacciata della parrocchiale. Nel 1746 e 1747 il
pittore è impegnato a Brescia dove affresca alcuni
monocromi nel santuario di Santa Maria dei Miracoli.
Nella città l'Albricí lavorò anche per il cardinale Querini
eseguendo alcuni monocromi con Ritratti di Uomini illustri per la biblioteca del prelato,
successivamente donata alla città (opere oggi coperte dalle
scaffalature della biblioteca stessa).
Economicamente i dipinti fruttarono assai poco al pittore,
malpagato dal cardinale che però dovette rimanere soddisfatto della sua
opera, dal momento che gli affidò nuove commissioni.
Nel 1753, sempre nella biblioteca, l'Albrici eseguiva per conto
dei Deputati della città nuovi monocromi lungo lo scalone, e la stessa
volta in onore del Querini, Tra il 1747 e il 1753 Enrico svolse
un’alacre attività tra le chiese di Brescia e quelle della
Valcamonica, mentre la famiglia restava in Val di Scalve, Fra le
commissioni più prestigiose ricordiamo il ciclo di tele per il
santuario bresciano di S. Maria dei Miracoli, parzialmente distrutte nei
bombardamenti dell'ultima guerra, impresa che tenne impegnato il pittore
fino al 1754. A questa data
risalgono anche i quattro affreschi delle pareti laterali della navata
della parrocchiale di Vilminore. Contemporaneamente
l'Albrici eseguì le lunette con i Profeti
in S. Alessandro a Brescia. Amico
del conte Giorgio Duranti, anch'egli pittore, stando al Tassi, l'Albrici
si vide aprire le porte dei palazzi della nobiltà bresciana e
bergamasca. Probabilmente a
Brescia, sotto l'influsso dell'opera di Faustino Bocchi, il pittore
prese a dedicarsi alla pittura di genere e soprattutto alle
Bambocciate di nani, molto
apprezzate da illustri collezionisti bergamaschi, quali il conte Giacomo
Carrara e Ludovico Ferronati. Permasero
comunque costanti e numerose le commissioni di affreschi e pale d'altare
che impegnarono il pittore sullo scorcio del sesto decennio e al
principio del settimo in varie chiese nelle
valli bresciane e bergamasche. Nonostante
il lavoro non gli mancasse, tanto che il Tassi afferma che Enrico
trascorreva notti intere a disegnare, nel 1763, l'Albrici decise
di trasferirsi a Bergamo con la famiglia, approfittando dei
desiderio del secondogenito Giovanni, che diverrà fisico e matematico
eccellente, di recarsi in città per attendere agli studi ecclesiastici.
Giunto a Bergamo l'Albrici ottenne grande successo tra la nobiltà
locale come autore di Bambocciate che raffigurano scene ispirate ai
Viaggi di Gulliver, riprese satiriche delle opere del Parini,
rappresentazioni delle Maschere della commedia dell'arte.
Il pittore non abbandonò tuttavia del tutto le commissioni
sacre. Nel 1768 eseguì ancora opere per la parrocchiale di
Vilminore e al 1770 risale una delle commissioni più importanti per
l'artista: il ciclo degli affreschi della parrocchiale di Capo di Ponte,
vero e proprio “resumé” di tutte le esperienze pittoriche degli
anni precedenti. Al 1772 risalgono le opere per la parrocchiale di Zogno,
documento dell'estrema attività del pittore, prima della morte avvenuta
a Bergamo nel 1773. L’Albricì
mise presto da parte la formazione di stampo emiliano trasmessagli dal
maestro Ferdinando Del Cairo, per guardare alla pittura locale, della
quale seppe soprattutto apprezzare l'innovazione introdotta dalle opere
di genere del Duranti e del Bocchi, che, come afferma lo stesso Tassi,
egli prese a copiare a Bergamo nella collezione Carrara per apprenderne
i segreti, raggiungendo e addirittura eguagliando gli iniziatori del
genere. L’artista rimase però sostanzialmente un autodidatta e
conobbe una scarsa evoluzione del proprio linguaggio pittorico nel
trascorrere degli anni, come ben documentano gli stessi affreschi di
Zogno, ultima opera dei pittore, per molti versi affine alla produzione
sacra degli esordi.
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