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L’indulgenza

 

Il Giubileo porta con sé il dono dell’Indulgenza. Di cosa si tratta? Essa è il dono che Dio fa, attraverso la Chiesa, a chi ha compiuto, con il Pellegrinaggio, un vero cammino di penitenza: “Con l'indulgenza al peccatore pentito è condonata la pena temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa”[1].

Cosa vuol dire tutto questo? Innanzi tutto che l’Indulgenza non assolve dalla colpa del peccato, ma libera dalla pena temporale che ogni peccato porta con sé e che dovrebbe essere espiata con la penitenza. In questo modo l’Indulgenza è uno degli aiuti che la Chiesa offre al peccatore affinché possa attuare seriamente la penitenza senza la quale non c’è superamento della pena.

 

Detto in questo modo probabilmente non è molto più  chiaro di prima; cercheremo pertanto di dare alcune delucidazioni facendo un passo alla volta. Daremo alcune brevi note circa il concetto di peccato, di perdono della colpa, di penitenza e di pena temporale dei peccati e cercheremo di precisare in modo molto sintetico cosa è l’Indulgenza.

 

 

Cosa è il peccato?

Per parlare del peccato si sono usati nella storia tanti termini: offesa, caduta, errore, frattura, disubbidienza, trasgressione, impoverimento, fallimento, morte… Ciascuno di essi dice qualcosa del peccato ed è legato ad un particolare modo di vedere Dio, l’uomo e la vita. Senza impegnarci ora su nessuna di queste espressioni è importante notare come esse fanno emergere una duplice natura del peccato: esso è sempre qualcosa che rovina la relazione con un altro, ma che fa del male anche a chi lo compie.

Le due cose non devono essere separate e solo se tenute insieme permettono di comprendere la realtà del peccato. Esso è un atto che comporta contemporaneamente la perdita di Dio, degli altri e di se stesso. Il peccato – in termini cristiani - è infatti l’agire nei confronti degli altri e della storia in un modo che non custodisce e non esprime, ma anzi nega quell’amore di Dio che la fede riconosce come l’unica possibilità di vita buona (= vera) per tutti gli uomini. Per questo il peccato produce qualcosa che è più grave di un difetto o di una svista, qualcosa che non può essere accettato (perché sarebbe come accettare il propro fallimento) e neppure corretto (perché non è più in potere di chi l’ha compiuto). Nel linguaggio più classico si parlava di peccato mortale per indicare che esso compromette tutto dell’uomo, ciò che chiamiamo salvezza. Infatti il peccato rompe quell’alleanza con Dio che la fede pone alla base della possbilità della vita per l’uomo e determina una situazione di fallimento della persona che come tale non può più essere recuperata da chi l’ha provocata, ma solo restituita in modo gratuito da chi, pur rifiutato, ha continuato a credere in ciò che il peccatore aveva negato. Il perdono della colpa è esattamente lo sguardo di Dio che chiede al peccatore di tornare a vivere, gli chiede di credere che il suo peccato può essere perdonato, gli chiede di riconoscere che esiste un amore nel quale anche l’atto più grande di egoismo e sfiducia può essere già stato accolto e superato. E’ questo l’amore di Dio in Cristo Gesù, un amore così grande che è giunto a dare la vita per gli “ingiusti”[2].

Questo amore, che si fa perdono, è ciò che permette al peccatore di tornare a guardare alla vita come ad una reale possibilità; è quel dono assolutamente gratuito che permette al peccatore di proclamare che la fonte della sua vita e del suo futuro è l’amore di Dio.

Chiedendo perdono per i propri peccati allora i cristiani esprimono la consapevolezza della propria impotenza di fronte al peccato e proclamano che solo in Gesù Cristo c’è la salvezza per ogni peccato e per ogni peccatore.

 

Proviamo a tradurre tutto questo con un esempio: io tradisco la fiducia di un amico dicendo il falso su di lui; dopo un po’ di tempo (o immediatamente) scopro di aver peccato nei suoi confronti, scopro cioè di aver contemporaneamente fatto del male a lui e alla nostra amicizia, ma anche di essere fallito io stesso come persona, di essermi perso come uomo degno di fiducia. Mi accorgo cioè che la rottura è contemporaneamente nel rapporto con lui e con me stesso, con le ragioni del mio vivere. A questo punto che fare? Questa situazione per me è inaccettabile e nello stesso tempo irrimediabile: non si tratta infatti di un difetto (che posso correggere o accettare) e neppure di un errore (al quale posso tentare di porre rimedio), ma della possibilità stessa di guardare alla vita come cosa buona per me. In pratica mi rendo conto che non servono scuse, che non posso stare in questa situazione e che però io non posso più farci nulla, posso solamente sperare che l’amico mi perdoni. Ma anche questo io non posso deciderlo, posso solamente chiederglielo.

Questa è la situazione del peccato: non quella di un semplice sbaglio o difetto che resta esterno a me, ma il male radicale che deriva dalla rottura di un’alleanza che era fondamentale (cioè a fondamento) della mia stessa vita. In questo senso il peccato è ciò che porta in eredità la morte ed è ciò può essere solamente perdonato. Chiedere perdono significa innanzi tutto riconoscere che si è come morti a se stessi e che solo un altro ti più salvare, può farti tornare a vivere.

 

Cos’è la pena?

La tradizione cristiana ha sempre collegato il superamente del peccato, oltre che al perdono di Dio, anche alla pratica della “penitenza”, cioè a quella serie di opere dell’uomo che tendono in qualche modo a “porre rimedio” al male compiuto e a costruire gradualmente la vita cristiana.

Ma allora cosa è che vince veramente il peccato, il perdono di Dio o la penitenza dell’uomo? Bisogna fare molta attenzione: la colpa (quella che si chiama la dimensione teologale del peccato, la distruzione dell’alleanza con Dio, ciò che compromette la salvezza) è ciò che può solamente essere perdonato da Dio il quale, con il perdono, restituisce ai peccatori la possibilità di vivere pienamente come suoi figli, in piena comunione con Lui e con i fratelli. Tutto ciò è dono gratuito e non può mai essere “meritato” o conquistato dall’uomo.

Il perdono della colpa però non elimina le conseguenze del peccato e cioè quello che il peccato ha provocato nella storia; questo può essere superato solo dall’impegno dell’uomo attraverso quel lungo e penoso cammino di “ricostruzione” della volontà, dei rapporti interpersonali, delle strutture della vita sociale che si chiama penitenza.

E’ evidente infatti che ogni peccato, oltre che pompere l’alleanza con Dio e compromettere quindi la salvezza dell’uomo, determina anche altre conseguenze che contribuiscono a rendere più povera, triste e conflittuale la vita degli uomini. Ecco la pena temporale, ecco cioè tutta quella serie di conseguenze negative che il peccato porta con sé.

 

Per tornare all’esempio di prima è chiaro che il mio parlar male dell’amico ha provocato un male che non viene tolto dal suo perdono. Egli perdonandomi mi restituisce, con l’amicizia, anche la mia identità di persona degna di fiducia e quindi la gioia di vivere; il mio gesto però non viene annullato, il male fatto rimane e rischia addirittura di moltiplicarsi nonostante il perdono ricevuto (pensiamo cosa può succedere a partire da una maldicenza o da una falsità!). Ecco allora che mi sento chiamato a “fare qualcosa” perché quel male venga in qualche modo superato o anche solo non vada diffondendosi. Ma questo è difficile perché devo fare i conti con tante resistenze dentro e fuori di me: ciò che mi è richiesto è in qualche modo una fatica, è un compito… “penoso”.

 

La pena temporale allora non è il castigo che Dio infligge per il peccato, ma il peso che il male evidenzia sia che si tenti di porvi rimedio, sia che lo si accandoni, sia che lo si lasci vagare nella storia. La penitenza, d’altro canto, non è ciò che produce il perdono del peccato, ma è il tentativo di vivere la vita nuova da figli di Dio assumendosi tutta la responsabilità e il peso del proprio essere peccatori (sia pur perdonati).

 

Nella storia della Chiesa la penitenza è sempre stata considerata “normale” nella vita dei credenti per la coscienza profonda che si è sempre avuta della propria identità di peccatori e per la consapevolezza della lotta che comporta la vita da figli di Dio. Inoltre la penitenza è sempre stata in qualche modo associata al perdono dei peccati: anticamente come cammino di predisposizione ad accogliere l’assoluzione (si concedeva il perdono solo a chi aveva dimostrato seriamente di cambiare), in seguito come richiesta di impegno per porre rimedio al male compiuto e come segno e “ringraziamento” per la vita nuova nata dal perdono delle colpe. Non sempre si è riusciti a tener distinti i livelli del perdono e della penitenza e alcune volte si è dato l’idea che questo impegno dell’uomo servisse in qualche modo a favorire il perdono della colpa da parte di Dio.

Ultimamente la predicazione e la catechesi hanno insistito molto, e giustamente, sulla gratuità assoluta del perdono di Dio, ma si è un po’ trascurato il discorso attorno alla necessità dell’impegno penitenziale. In realtà, se ci pensiamo un po’, ci rendiamo conto che, anche quando siamo stati perdonati, il male compiuto rimane e può anche moltiplicarsi. Sarebbe necessario quindi fare qualcosa per porvi rimedio. Inoltre il tentativo di vivere veramente la vita nuova dei figli di Dio comporta un’attenta vigilanza e la fatica del discernimento e dell’educazione della volontà.

La penitenza quindi è ciò che permette di dare giusta rilevanza e profondità a quella che è detta “la dimensione antropologica” della vita cristiana, evitando che si questa riduca a qualcosa di evanescente. In altre parole: se crediamo che l’esperienza cristiana è veramente la salvezza dell’uomo, non possiamo tralasciare quel coinvolgenìmento della corporeità, della volontà, della storicità che effettivamente permette all’amore gratuito di Dio di diventare la forma concreta accolta e praticata dagli uomini nella vita di tutti i giorni.

In questo senso la dimensione penitenziale è normale e necessaria ad una vita cristiana matura.

 

 

Cos’è l’Indulgenza?

A questo punto dovremmo aver posto alcune premesse per affrontare il discorso sull’indulgenza.

Essa è il dono che, dopo il perdono della colpa, Dio concede attraverso la Chiesa, al peccatore affinché possa effettivamente portare a compimento il cammino penitenziale, cioè il cammino del rinnovamento della sua vita da figlio di Dio.

Alla base di questo sta la convinzione che il peccato non è mai del tutto superato se, oltre alla colpa, non si vincono anche le sue conseguenze del peccato.[3] È evidente infatti che il peccatore perdonato quando cerca di assumersi con responsabilità le conseguenze del male compiuto (tentando di porvi rimedio) o che cerca comunque di rinnovare la sua vita sulla parola del Vangelo si scontra con una realtà complicata: spesso il male compiuto è irrrecuperabile (pensiamo a un omicidio), altre volte il male nel frattempo si è moltiplicato e non è più possibile arrivare a fermarlo (pensiamo a quando si dice il falso o una maldicenza, ma pensiamo anche a certe forme perverse del sistema economico). In ogni caso la vita cristiana impone sempre un forte impegno di volontà anche quando si è convinti che essa è la gioia e la pienezza della vita.

In questa situazione il penitente potrebbe scoraggiarsi, potrebbe abbandonare l’impresa e così vanificare la novità di vita che Dio aveva creato in lui con il perdono della colpa.

L’indulgenza è una delle forme con le quali la Chiesa interpreta ed evidenzia la misericordia di Dio affinchè il penitente si possa sentire sostenuto nel tentativo di rinnovare la propria vita anche quando l’impegno si fa difficile.

L’indulgenza allora non è la scorciatoia per evitare la fatica della penitenza e tantomeno per avere il perdono delle colpe, ma è l’aiuto che il penitente riceve da Dio, attraverso la solidarietà e la preghiera della Chiesa, affinché possa essere in pace e portare avanti il suo cammino penitenziale (senza il quale le conseguenze del peccato non sarebbero mai veramente essere superate).

 

Per tornare all’esempio dell’amico tradito potremmo dire che se io voglio veramente recuperare lo slancio dell’amicizia con lui non è indifferente il fatto che egli mi rimanga ancora vicino e che mostri con gesti e parole la concretezza del suo perdono. È chiaro che basta il suo perdono perché io ritorni “a vivere”, ma può essere di grande aiuto che egli mi dia altri segni di sostegno e incoraggiamento senza i quali la ferita provocata dal mio tradimento potrebbe rimanere o rimarginarsi molto più lentamente.

 

L’indulgenza allora fa parte di tutte quelle azioni della Chiesa che permettono all’uomo di fare tutti quei “movimenti” che il cammino penitenziale richiede, ma che egli, da solo, probabilmente non riuscirebbe mai a portare avanti. In questo senso non si può separare il dono dell’indulgenza da tante altre azioni della Chiesa a sostegno della vita dei credenti. Oltre tutto l’Indulgenza, proprio perché mette in evidenza l’aiuto di Dio e la presenza della comunità accanto al penitente quando egli è più impegnato nel cammino di crescita spirituale, mostra come l’opera della salvezza non è mai un’impresa “prometeica” e solitaria, ma sempre un “agire” che dialoga con tanti doni ricevuti. Ecco perché l’Indulgenza, nella sua storia molto articolata, è sempre stata concessa a tre condizioni: che il peccatore avesse già ricevuto il perdono dei peccati (con il sacramento del perdono), che avesse compiuto qualche opera penitenziale, che vivesse in comunione con il resto della comunità.

In rapporto all’anno giubilare possiamo anche aggiungere questo: il Giubileo dice all’uomo che egli deve essere libero; la liberazione dal male e dalla corruzione non è “facoltativa”, ma appartiene a quei desideri di bene che Dio ha per i suoi figli e che, come tali, non possono essere lasciati cadere senza che l’uomo perda qualcosa di prezioso. Dire la necessità della liberazione per l’uomo significa innanzi tutto richiamare alla necessità della liberazione dal peccato e quindi anche dalle sue conseguenze. Dire la necessità della liberazione per l’uomo significa, tra le altre cose, richiamare l’importanza del cammino penitenziale. Non è a caso allora che il Giubileo concede l’Indulgenza a chi compie il cammino del Pellegrinaggio giubilare, proprio perché essa è un sostegno al compimento del cammino penitenziale (di cui il pellegrinaggio è segno) e che solo può rinnovare l’uomo a partire dal perdono di Dio.

 

 

Conclusione

A questo punto possiamo dire che:

-            l’indulgenza non perdona i peccati; per questo si deve far normalmente ricorso al sacramento della Confessione e all’Eucaristia

-            l’indulgenza riguarda il cammino di penitenza dell’uomo (che rimane anche quando i peccati sono stati perdonati)

l’indulgenza è un dono della misericordia di Dio che ancora una volta dona all’uomo un sostegno perché possa portare a compimento il suo cammino di rinnovamento

 

A questo punto possono risultare più chiare anche le disposizioni per ottenere l’indulgenza:

1.            accostarsi al sacramento della Confessione per ottenere il perdono dei peccati

2.            partecipare alla Comunione eucaristica

3.         essere in comunione con la Chiesa

4.   compiere alcuni gesti penitenziali (pellegrinaggio, atti di mortificazione, gesti di carità)

 

 

 

 

 

 

 


DISPOSIZIONI PER L'ACQUISTO
DELL'INDULGENZA GIUBILARE

 

Col presente decreto, che dà esecuzione alla volontà del Santo Padre espressa nella Bolla per l'indizione del Grande Giubileo dell'Anno 2000, e in virtù delle facoltà dallo stesso Sommo Pontefice ad essa attribuite, la Penitenzieria Apostolica determina la disciplina da osservare per l'acquisto dell'indulgenza giubilare.

Tutti i fedeli, convenientemente preparati, possono abbondantemente fruire, lungo l'arco dell'intero Giubileo, del dono dell'indulgenza, secondo le determinazioni qui di seguito specificate.

Premesso che le indulgenze concesse sia in forma generale sia per speciale rescritto restano in vigore durante il Grande Giubileo, si ricorda che l'indulgenza giubilare può essere applicata per modo di suffragio alle anime dei defunti: con tale offerta si compie un insigne esercizio di carità soprannaturale, in virtù del vincolo mediante il quale nel mistico Corpo di Cristo i fedeli ancora pellegrini sulla terra sono uniti a quelli che hanno già concluso il loro cammino terreno. Resta inoltre valida anche lungo l'anno giubilare la norma secondo cui l'indulgenza plenaria può essere acquistata soltanto una volta al giorno[4].

Culmine del Giubileo è l'incontro con Dio Padre, per mezzo di Cristo Salvatore, presente nella sua Chiesa, in modo speciale nei suoi Sacramenti. Per questo motivo, tutto il cammino giubilare, preparato dal pellegrinaggio, ha come punto di partenza e di arrivo la celebrazione del sacramento della Penitenza e di quello dell'Eucaristia, mistero pasquale di Cristo nostra pace e nostra riconciliazione: è questo l'incontro trasformante che apre al dono dell'indulgenza per sé e per altri.

Dopo aver celebrato degnamente la confessione sacramentale, che in via ordinaria, a norma del can. 960 del CIC e del can. 720 § 1 del CCEO, deve essere quella individuale ed integra, il fedele, ottemperando agli adempimenti richiesti, può ricevere o applicare, durante un congruo periodo di tempo, il dono dell'indulgenza plenaria anche quotidianamente senza dover ripetere la confessione. Conviene tuttavia che i fedeli ricevano frequentemente la grazia del sacramento della Penitenza, per crescere nella conversione e nella purezza del cuore[5]. La partecipazione all'Eucaristia — necessaria per ciascuna indulgenza — è opportuno che avvenga nello stesso giorno in cui si compiono le opere prescritte[6].

A questi due momenti culminanti deve accompagnarsi, innanzitutto, la testimonianza di comunione con la Chiesa, manifestata con la preghiera secondo le intenzioni del Romano Pontefice, e poi anche l'esercizio di atti di carità e di penitenza, secondo le indicazioni date più sotto: tali atti intendono esprimere quella vera conversione del cuore alla quale conduce la comunione con Cristo nei Sacramenti. Cristo, infatti, è l'indulgenza e la propiziazione per i nostri peccati (cfr 1 Gv 2, 2). Egli, effondendo nei cuori dei fedeli lo Spirito Santo che è la “remissione di tutti i peccati”[7], spinge ciascuno ad un filiale e fiducioso incontro con il Padre delle misericordie. Da questo incontro sgorgano gli impegni di conversione e di rinnovamento, di comunione ecclesiale e di carità verso i fratelli.

Viene confermata anche per il prossimo Giubileo la norma secondo cui i confessori possono commutare, in favore di coloro che siano legittimamente impediti, sia l'opera prescritta sia le condizioni richieste[8]. I religiosi e le religiose tenuti alla clausura, gli infermi e tutti coloro che comunque non fossero in grado di uscire dalla propria abitazione, potranno compiere, in luogo della visita di una certa chiesa, una visita nella cappella della loro casa; se neppure questo fosse loro possibile, potranno acquistare l'indulgenza unendosi spiritualmente a quanti compiono nel modo ordinario l'opera prescritta, offrendo a Dio le loro preghiere, le loro sofferenze ed i loro disagi.

 

Quanto agli adempimenti necessari, i fedeli potranno acquistare l'indulgenza giubilare:

1)    a Roma, se compiranno un pio pellegrinaggio ad una delle Basiliche patriarcali, cioè alla Basilica di San Pietro in Vaticano, o all'Arcibasilica del Ss.mo Salvatore al Laterano, o alla Basilica di Santa Maria Maggiore, o a quella di San Paolo sulla via Ostiense, e ivi parteciperanno devotamente alla Santa Messa o ad un'altra celebrazione liturgica, come le Lodi o i Vespri, o ad un esercizio di pietà (ad esempio la Via Crucis, il Rosario mariano, la recita dell'inno Akathistos in onore della Madre di Dio); inoltre, se visiteranno, in gruppo o singolarmente, una delle quattro Basiliche patriarcali, ed ivi attenderanno per un certo periodo di tempo all'adorazione eucaristica ed a pie meditazioni, concludendole col “Padre nostro”, con la professione di fede in qualsiasi legittima forma, e con l'invocazione della Beata Vergine Maria. Alle quattro Basiliche patriarcali vengono aggiunti, in questa speciale occasione del Grande Giubileo, i seguenti altri luoghi, alle medesime condizioni: la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, la Basilica di San Lorenzo al Verano, il Santuario della Madonna del Divino Amore, le Catacombe cristiane[9].

2)    In Terra Santa, se, con l'osservanza delle stesse condizioni, visiteranno la Basilica del Santo Sepolcro in Gerusalemme, o la Basilica della Natività a Betlemme o la Basilica dell'Annunciazione a Nazareth.

3)    Nelle altre circoscrizioni ecclesiastiche, se compiranno un sacro pellegrinaggio alla Chiesa cattedrale o ad altre Chiese o luoghi designati dall'Ordinario, ed ivi assisteranno devotamente ad una celebrazione liturgica, o ad altro pio esercizio, come sopra indicato per la città di Roma; inoltre, se visitando, in gruppo o singolarmente, la Chiesa cattedrale o un Santuario designato dall'Ordinario, ivi attenderanno per un certo periodo di tempo a pie meditazioni, concludendole col “Padre nostro”, con la professione di fede in qualsiasi legittima forma, e con l'invocazione della Beata Vergine Maria.

4)    In ogni luogo, se si recheranno a rendere visita per un congruo tempo ai fratelli che si trovino in necessità o difficoltà (infermi, carcerati, anziani in solitudine, handicappati, ecc.), quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro (cfr Mt 25, 34-36), ed ottemperando alle consuete condizioni spirituali, sacramentali e di preghiera. I fedeli vorranno certamente rinnovare tali visite nel corso dell'Anno Santo, potendo acquistare in ciascuna di esse l'indulgenza plenaria, ovviamente non più che una sola volta al giorno.

L'indulgenza plenaria giubilare potrà essere acquistata anche mediante iniziative che attuino in modo concreto e generoso lo spirito penitenziale che è come l'anima del Giubileo. Così astenersi almeno durante un giorno da consumi superflui (per esempio dal fumo, dalle bevande alcooliche, digiunando o praticando l'astinenza secondo le norme generali della Chiesa e le specificazioni degli Episcopati) e devolvendo una proporzionata somma in denaro ai poveri; sostenere con un significativo contributo opere di carattere religioso o sociale (in specie a favore dell'infanzia abbandonata, della gioventù in difficoltà, degli anziani bisognosi, degli stranieri nei vari Paesi in cerca di migliori condizioni di vita); dedicare una congrua parte del proprio tempo libero ad attività che rivestono interesse per la comunità, o altre simili forme di personale sacrificio.

 

Roma, dalla Penitenzieria Apostolica,

29 novembre 1998, prima domenica di Avvento.

William Wakefield card. Baum
Penitenziere Maggiore

Luigi De Magistris
Reggente


[1] Incarnationis mysterium, 9.

[2] Cfr. Rom 5, 6-8.

[3] In rapporto a questo si può comprendere anche la dottrina sul Purgatorio: essa esplicita il fatto che Dio stesso porta a compimento quel cammino di purificazione dalle conseguenze del peccato che il penitente da sé non potrebbe più portare avanti.

[4] Cfr Enchiridion indulgentiarum, Libreria Editrice Vaticana 1986, norm. 21, § 1.

[5] Cfr ibid., norm. 23, §§ 1-2.

[6] Cfr ibid., norm. 23, § 3.

[7] “Quia ipse est remissio omnium peccatorum”: Missale Romanum, Super oblata, Sabbato post Dominicam VII Paschae.

[8] Cfr Ench. indulg., norm. 27.

[9] Cfr Ench. indulg., conces. 14.

 

 

 

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