I quadri e gli affreschi

                                                                                                                                                                

ARGOMENTI della PAGINA - I QUADRI E GLI AFFRESCHI :                                                

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La pala di S. Filippo Neri

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La pala di S. Francesco di Paola

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Il retablo dell'altare maggiore

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Le tele di Jean Calogero

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Gli affreschi del presbiterio

                                                           La pala di San Filippo Neri                  

      Situata originariamente sull'altare della parete sinistra, la tela di San Filippo Neri venne collocata nel posto attuale nel primo decennio di questo secolo per far posto alla nicchia che doveva accogliere la statua del Sacro Cuore e di Santa Margherita, commissionata da una veggente mistica del paese che sosteneva d'aver visto più volte Gesù. Anche questa tela è stata restaurata da Mons. Sinatra ed è l'unica di cui sappiamo qualcosa di certo: la data di esecuzione 1753 e il nome dell'offerente: "De Lucy Maximini", cioè Don Lucio Massimino. personaggio che abbiamo ritrovato in un documento del 1752 nell'archivio parrocchiale con il titolo di "Capitano del Castello". Anche questa tela può essere attribuita alla cerchia di Olivio Sozzi, perché la sua gemella, proveniente dalla chiesa dell'Ogninella e attualmente collocata nella parete nord della sacrestia della cattedrale di Catania, tradizionalmente attribuita al pittore catanese ma sicuramente opera del figlio Francesco, ne è più che un indizio, come non lo è meno, per l'affinità degli stilemi, la tela della Sacra Famiglia con Santa Elisabetta, S. Zaccaria e Giovannino della chiesa di Santa Maria Maggiore di Ispica che Francesco completò dopo la morte improvvisa del padre.
    La nostra tela presenta uno schema iconografico alquanto sbilanciato. forse perché in un primo momento prevedeva l'effigie dell'offerente. Don Lucio Massimino, e che, in seguito ad un suo improvviso ripensamento, nel tentativo di ristabilire l'equilibrio nella disposizione dei personaggi, l'artista eseguì l'angelo della purità che indica il simbolo della morte, che avrebbe dovuto essere rappresentato in posizione centrale. come appare nella sua gemello catanese.

 

La pala di San Francesco di Paola  

    Sicuramente commissionata dai pescatori del paese, la tela rappresentante S. Francesco di Paola in estasi che implora la salvezza per dei naufraghi, è stata restaurata dal compianto Mons. Salvatore Sinatra verso la metà degli anni 70.
    Il  Maestro Cristaudo, cui venne affidata, si limitò al restauro conservativo, senza cioè integrare le numerose lacune che la tela presentava, attenendosi così ai criteri del restauro divulgati da Cesare Brandi.
    La tela, rimasta cosi lacunosa, è senz'altro la più bella tra le consorelle settecentesche che ospita la chiesa. Essa, come l'affresco della volta dell'abside, è attribuibile alla cerchia di Olivo Sozzi, pittore catanese attivo a Palermo e in tutta la Sicilia orientale durante la ricostruzione post­terremoto del 1693. Tramite quest'artista, formatosi alla scuola del Sebastiano Conca e Corrado Giaquinto, erano pervenuti in Sicilia i clichès iconografici della scuola meridionale, dei quali le nature morte con pesci di ascendenza napoletana, e in particolare dei fratelli Recco, ne sono un esplicito riferimento. Questa tela, permeata ormai da raffinatezze di gusto rocaille, dovette non poco suggestionare il catanese Giuseppe Guarnaccia che la replicò, con leggere modifiche, per la cattedrale di Catania intorno al 1760.
    La tela era stata concepita come pala d'altare e situata nel '700" nel posto occupato ora dalla statua della Madonna Ausiliatrice.
    San Francesco di Paola, come dimostra l'edicola votiva di via Fornace, era il veneratissimo patrono dei pescatori di Acicastello, il cui culto era stato favorito anche dalla decisione di Re Carlo III di Borbone di elevarlo a patrono del Regno di Sicilia e di Napoli nel 1738.  

Il retablo dell'altare maggiore

 

   

    Le tre tele dell'altare maggiore furono concepite nella loro collocazione originale come un Retablo dilatato, con la pala centrale della Sacra Famiglia e le tele laterali dello Sposalizio della Vergine e della Natività che facevano "pendant" .
    Le tre tele, attribuibili a Matteo Ragonese, e in ogni caso all'ambiente acese della prima metà del '700 sono state restaurate rispettivamente nel 1975 da A. Cristaudo e nel 1996 da A. Cavallaro.
    La Sacra Famiglia, rettangolare, è una pala d'altare di discrete dimensioni. Molto più piccole le tele a doppia céntina dello Sposalizio e della Natività. Si tratta di opere di modesta fattura dove tuttavia non manca qualche particolare interessante. Le due tele minori avevano subito un precedente intervento di restauro poco ortodosso che le danneggiava sia da un punto di vista strutturale ma soprattutto dal punto di vista estetico. Erano state ritoccate in modo errato alterando le proporzioni anatomiche di alcuni soggetti.  Inoltre sui dipinti non era stata eseguita una corretta pulitura per cui erano ricoperti da una patina di sporco e di vernici ossidate.  Col restauro del  '96 i dipinti sono stati accuratamente puliti e i colori originali sono tornati alla luce. Gli errori anatomici sono stati eliminati, i quadri hanno acquistato luminosità e sono divenuti perfettamente leggibili.

  Le tele di Jean Calogero

 

     "C 'est le portique ouvert sur les cieux inconnus"
    Già negli anni sessanta il maestro Calogero aveva espresso il desiderio di eseguire gratuitamente la decorazione pittorica per la chiesa parrocchiale che stava per essere completata e le tele mancanti della chiesa di San Giuseppe; la sua proposta dovette però scontrarsi, avendone la peggio, con le convenzioni artistiche di un ambiente provinciale e bigotto quale poteva essere quello di "Acicastello anni 60".
    Solo recentemente, mentre era in corso il restauro della chiesa, si pensò di contattare il maestro ed invitarlo a completare la decorazione.
    In un primo momento il maestro, ancora amareggiato per le vicende passate, si pronunciò in senso negativo, in seguito fece sapere che avrebbe voluto vedere le cornici in stucco delle pareti della chiesa: aveva cambiato idea, dopo oltre due secoli e mezzo d'attesa si avverava un sogno .
    L'incarico per i complicati telati con centina e controcentina angolare venne affidato a Sebastiano Grasso, completati i quali, il maestro si mise all'opera eseguendo, oltre alla "Fuga in Egitto" le tele con l'Annunciazione, San Francesco d'Assisi e San Giorgio - il tutto per una cifra simbolica, un regalo elargito ad Acicastello.
    Lo splendore cromatico di queste tele, oltre a mettere in risalto il complesso gioco decorativo delle cornici settecentesche in cui sono state inserite, fa risaltare, soprattutto, il sapiente senso della distribuzione degli elementi decorativi nell'occupare, senza saturarli, gli spazi vuoti del prospetto interno delle pareti che ebbe l'ignoto progettista del 700; in questo modo la piccola navata ha acquistato un senso di completezza che viene espressa dall'equilibrio tra gli elementi decorativi architettonici e quelli iconografici.
    Sui volti dei personaggi della Famiglia fuggiasca, dell'Arcangelo e della Vergine, di San Giorgio e San Francesco, sembra brillare la luce della imperturbabilità e della serenità di chi non ha sperimentato il male. Le figure si stagliano su prospettive che l'eccezionale padronanza degli effetti cromatici fa diventare infinite, uraniche, cosmiche. Si può dire, con i versi di Lucio Piccolo, che il pennello di Calogero "...schiarite apre azzurre, cupole, forme sognate..."; ed é in questi squarci di paesaggi onirici che si rincorrono sempre più diafani e lontani, in questo trompe-l'oeil da vertigine che arriva fino a "sfondare" lo spazio architettonico che lo ospita, che lo spettatore si perde.
    Le tele di Calogero sono, per dirla con Charles Baudelaire: "Un portico spalancato sui cieli sconosciuti".



Gli affreschi   del presbiterio

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     Danneggiati già dai terremoti del 1818 e dal 1908, gli affreschi che costituiscono la decorazione iconografica della volta e del catino absidale erano in procinto di scomparire per sempre a causa della infiltrazione dell'acqua piovana che traboccava dalla copertura a tegole ostruite dagli escrementi di migliaia di piccioni e da quella che proveniva dal terrazzo dell'attiguo oratorio.  L'operazione "Salvataggio", sollecitata presso la Soprintendenza ai Monumenti anche con una raccolta di firme, è riuscita, se non altro, a bloccarne il degrado e a rendere più leggibile tutta la superficie affrescata.
   
Con il restauro eseguito nel 1995 dal maestro Giacomo Platania sotto la direzione di Francesca Maria Migneco, sono state consolidate le sacche di rigonfiamento dell'intonaco per cementarle alla fragile struttura di copertura in canne della volta e le numerose linee di fessurazione con iniezioni di caseato di calce,
nella chiesa abbaziale di San Nicolò l'Arena di Catania, per cui con molta probabilità questo artista palermitano, richiamato come il Sozzi e la sua cerchia nella Sicilia orientale dalle numerose commesse per le decorazioni delle chiese durante la ricostruzione post-terremoto, è l'autore anche dell'affresco del catino. Un altro indizio che potrebbe essere probante di questa ipotesi è rappresentato dall'affresco con la "Gloria dell'Ordine Benedettino", eseguito per il refettorio della stessa abbazia - attuale  aula magna della facoltà di lettere - nel quale la maniera di trattare i panneggi dei personaggi  è praticamente identica. L'attribuzione, naturalmente, rimane dubbia, anche perché com'è ben noto, all'esecuzione degli affreschi si lavorava in équipe perché le operazioni dovevano eseguirsi velocemente sull'intonaco ancora umido, ed anche perché si utilizzavano, senza porsi scrupoli, i cartoni a spolvero di altri artisti o eseguiti dall'artista per il quale si lavorava come aiuto: il riutilizzo dei cartoni del Sozzi in alcune chiese di Acireale non fu certamente un caso isolato!
    Un ultimo indizio a favore dell'attribuzione al Piparo dei nostri affreschi, ci è fornito dalla somiglianza sorprendente con il nostro, dell'Eterno Padre eseguito dall'artista palermitano nel cupolino dell'abside della chiesa dell'ex  Badia di San Placido a Catania negli anni 60 del XVIII secolo.
    La presenza dei Piparo a Catania è documentata dal 1757 al  1773, anno in cui partecipò alla gara d'appalto per gli affreschi del palazzo Universitario: anche la cronologia è, quindi, a favore della nostra ipotesi.

(  Santo Castorina - Arte e fede nelle Chiese di Acicastello  -   Opuscolo fatto stampare dalla  Congregazione "S. Mauro Abate"  nel gennaio del 1999 )


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