Alan Parsons Project:
il perfezionista

(dicembre 1980)

 

Alan Parsons: perfezionista al punto che esiste anche una sua "Audio guida", un doppio album "ragionato" sulle sue maggiori produzioni discografiche, dai Beatles ad I Robot.

CON "THE TURN OF A FRIENDLY CARD" IL PROGETTO DI PARSONS E SOCI E' ARRIVATO ALLA QUINTA FASE. SI TRATTA DI UN ALBUM COLORITO ALL'INSEGNA DI UN SOUND TECNOLOGICAMENTE QUASI PERFETTO.

Il disco

"The turn of a friendly card" ovvero Alan Parsons Project atto quinto. Un disco come c'era da aspettarselo: lucido, pulito, lineare, forse un tantino freddo. Un intreccio sapiente di sonorità passate, di riminiscenze beatlesiane, qualche effetto alla Pink Floyd. O alla Alan Parsons, se preferite. E ciò significa quindi precisione esasperata, pignoleria, professionalità.

Il lato A si compone di quattro brani, tutti scritti da Alan Parsons ed Eric Woolfson, dove appare evidente un certo richiamo al sound degli anni '70: "May be a price to pay", "Games people play", "Time" e "I don't wanna go home", interpretati il primo da Elmer Gantry, il terzo dall'autore Woolfson, e gli altri due da Lenny Zakatek, "Time" è una bella canzone d'amore, una ballata soffice dal gusto abbastanza intenso, che richiama alla mente certe atmosfere caratteristiche di Paul Mc Cartney mentre "I don't wanna go home" è un brano molto movimentato, con un buon ritmo e venature blues nell'ambientazione. Sicuramente la cosa più interessante della prima facciata.

La seconda è interamente dedicata alla suite che da il titolo all'album. I testi affrontano il tema del gioco d'azzardo, con le carte e con i dadi, ma, almeno nelle intenzioni degli autori e soprattutto di Eric che si occupa prevalentemente dei testi, vuole essere una sorta di metafora sull'azzardo e sull'imprevisto possibile in ogni momento della vita di tutti i giorni. I brani che compongono il lato B sono sei: apre "The gold bug", brano interamente strumentale, molto raffinato; poi è la volta della suite, divisa in cinque parti, "The tum of a friendly card" parte uno, "Snake eyes", "The ace of swords", "Nothing left to lose" e "The turn of a friendly card" parte due. Il motivo portante è abbastanza accatttvante, un lento orecchiabile che riporta a certe sfumature del pop inglese. Un po' di ritmo in più in "Snake eyes" che rende l'idea dei gioco dei dadi, mentre "The ace of swords", ancora un brano strumentale, risente della mano sapiente dell'arrangiatore Andrew PoweIl.

Tra i musicisti che hanno collaborato al disco troviamo David Paton al basso, Stuart Elliott alla batteria e alle percussioni, lan Bairnson alle chitarre e Eric Woolfson alle tastiere. Alan Parsons appare raramente, giusto qualche tastiera di accompagnamento, anche perché il suo ruolo all'interno del progetto è quello di ricercatore principe, di miscelatore di suoni sempre alla ricerca della perfezione estetica.

L'intervista

Come Brian Eno, come Giorgio Moroder, Alan Parsons è uno di quei produttori che, non contento di starsene dietro a una consolle, si è piano piano spostato verso la luce dei riflettori, eliminando la figura dell'artista come quella di un fastidioso intermediario, e diventando lui stesso la star. La progressiva, e non sempre positiva, identificazione tra produttore e star e infatti una realtà che, già preparata fin dagli Cinquanta e Sessanta da personaggi del calibro di un Phil Spector, si è avviata a diventare una vera e propria tendenza a sé stante del pop-rock della fine degli anni Settanta e dell'inizio degli anni Ottanta.

Alan Parsons inizia la sua carriera nel 1967 nei leggendari studi Abbey Road londinesi. Il suo compito è quello, piuttosto umile, di avvolgere e svolgere i nastri sui quali i Beatles stanno incidendo il loro capolavoro "Sergeant Pepper's Lonely Hearts Club Band".
Velocemente emancipatosi, Parsons collabora come sound-engineer al LP Abbey Road sempre dei Beatles, e poi a varie cosette di Paul McCartney da solo o con i Wings. La sua prima esperienza di produttore avviene con il gruppo degli Hollies. In seguito, come tecnico del suono, collabora strettamente con i Pink Floyd di "Dark side of the moon", ed è proprio questa esperienza a lanciarlo definitivamente.

Come produttore, lavora in seguito con i Cockney Rebel, con i Pilot, con John Miles, con gli Ambrosia, e infine, a partire da "Year Of The Cat", produce tutti gli album dei folk-singer Al Stewart, portandolo al successo internazionale dopo anni di gavetta.

A partire dal 1976, decide di far tesoro di tutte queste esperienze e di mettersi anche in proprio. Insieme al paroliere Eric Woolfson e all'arrangiatore Andrew Powell dà il via all'Alan Parsons Project. A partire da quella data, ogni anno esce un album di questa formazione, sempre ispirato a un tema unitario; così "Tales Of Mystery And Imagination" (1976, ispirato ai racconti di Edgar Allan Poe); "I Robot"(1977, ispirato all'omonimo romanzo fantascientifico-tecnologico di lsaac Asimov); "Pyramid" (1978, ispirato all'antico Egitto); "Eve" (1979, ispirato alla donna in generale); e infine "The turn of a friendly card" (1980, ispirato al tema del gioco d'azzardo), che esce in questi giorni.

Tutti questi album sono marcati da sound tecnologicamente al limite della perfezione: si tratta di un pop-rock segnato da influenze di tutti i generi; dagli impasti vocali alla Beatles agli impasti sonori alla Pink Floyd a squarci acustici al Al Stewart, il tutto con un pizzico di riferimenti classici, barocchi, e a ritmi alla moda come anche quello metronomico della disco. Di album in album, il successo dell'Alan Parsons Project è in continuo aumento; e questo benché la formazione sia stata essenzialmente concepita come una operazione di studio (dal vivo sarebbe pressoché impossibile ripetere allo stesso livello le atmosfere create sui dischi).

Insomma, Parsons ha saputo tesaurizzare tutte le sue esperienze, ed è riuscito a fornirne una sintesi tecnologicamente di tutto rispetto, il cui difetto maggiore sta semmai nella assenza di una precisa personalità del sound. Alan Parsons e il suo paroliere Eric Woolfson sono arrivati anche in Italia per promuovere l'ultimo album. Si sono dimostrati un po' professorali, specie sull'argomento dell'ispirazione.

"I Beatles e i Pink Floyd hanno contato nella mia vita" -ha detto Alan -, "noi vogliamo essere soprattutto noi stessi e non crediamo che nella nostra musica ci siano delle influenze esterne".
Dopo questa affermazione, scandita con assoluta faccia tosta, Parsons ha rincarato; "Il nostro rock è più vicino a quello degli anni Settanta che non alla attuale "new wave", che io non amo perché è troppo semplice e rozza; tra cent'anni, la nostra musica sarà considerata come la musica classica dell'epoca moderna, mentre della new wave non resterà alcuna traccia."
Parsons ha poi spiegato che lui è soprattutto l'organizzatore dell'Alan Parsons Project, mentre Eric Woolfson è l'autore dell'immagine. Più alla mano di Alan, lo stesso Woolfson ha poi detto di essere il business-man dell'impresa, oltreché il paroliere e il ricercatore delle idee tematiche generali che stanno dietro ad ogni album. Infine, Parsons ha negato di essere un produttore-dittatore, ed ha affermato di aver sempre rispettato al massimo la personalità degli artisti da lui prodotti. Le molteplici altre domande hanno finito per girare sempre sugli stessi temi, con Parsons e Woolfson completamente d'accordo nel non considerare limitativo il fatto di aver creato un progetto in grado di estrinsecarsi soltanto in studio, senza la possibilità di riprodurre dal vivo il proprio sound. Resta comunque il fatto che l'ultimo "The turn of a friendly card" è uno degli album più coloriti e fantasiosi dell'Alan Parsons Project, allo stesso livello espressivo dei primi due (e non a caso, la suite in cinque movimenti che occupa l'intera seconda facciata, fa ancora una volta riferimento all'opera di Edgar Allan Poe). E questo, unito all'indispensabile possesso di un buon Impianto HI-FI In grado dì coglierne tutte le sottiglìezze sonore, può far anche dimenticare lì troppo disinvolto eclettismo degli stili e la consueta assenza di uno stile unitario in grado di caratterizzare autonomamente l'essenza di questo fin troppo elastico progetto.

ROMA

Esteta, ingegnere, artista, tecnico, musicista, regista, supervisore. Alan Parsons è tutte queste cose messe insieme ma è soprattutto un pignolo; lo ha dimostrato durante la presentazione romana del suo nuovo lp, "The turn of a friendly card", dove ha preteso impianti sofisticatissimi per un incontro che avrebbe dovuto garantire il massimo della professionalità reciproca. L'ascolto dell'album, interrotto da qualche applauso, è stato seguito da una conferenza stampa, una delle poche che Alan abbia concesso nel corso della sua carriera, coadiuvato dal fido Eric Woolfson che è ormai diventato responsabile quanto lo stesso Alan di questo "Alan Parsons Project"

TECNOLOGIA MUSICALE

2001: "Allora chi è Alan Parsons, un freddo professionista del suono arrivato ormai ai livelli ottimali o un musicista ancora alla ricerca di un quid per imporsi definitivamente?"

Eric: "Tutte e due le cose messe insieme forse o forse nessuna delle due. Alan Parsons è essenzialmente il suo progetto, che è un progetto di tecnologia musicale volto a trovare quel qualcosa di esteticamente perfetto che dovrebbe passare alla storia come la musica classica di questi anni."

2001: "Facendo un attimo il punto su quello che è il vostro progetto, il bilancio è negativo o positivo?"

Eric: "Sicuramente positivo pur prescindendo dai successi commerciali. Perfino l'album precedente, "Eve", che non ha conosciuto i successi di "Pyramid"o di "I Robot" ha un suo senso all'interno di questo Alan Parsons Project. Diciamo che era la nostra tappa di transizione per giungere a questo "The turn of a friendly card". E oggi abbiamo ancora molte cose da dire..."

Alan: "Il progetto è essenzialmente ricerca e la ricerca è tecnologia. C'è stato un tempo, molti anni fa, che era impensabile la ricerca di certe sonorità. Poi i Beatles prima e i Pink Floyd dopo hanno dato il via ad una nuova era e io, che ero accanto a loro, ho cominciato a pensare ad un mio progetto di ricerca. Con questo ultimo album il progetto va avanti."

2001: "Tu dici che il progetto va avanti eppure "The turn of a friendly card" ha già suscitato, al primo ascolto, qualche polemica circa un certo tipo di sound da voi riproposto ma che andava per la maggiore dieci anni fa..."

Alan: "La nostra è ricerca indipendente che non può tenere presente il punk o la new wave come riferimenti. Logico quindi che, essendo stato al tavolo di regia in un certo periodo, il progetto risente di un certo tipo dl sonorità di musica che poi, personalmente, mi piace molto."

Eric: "Ci hanno detto che il nostro sound è quello degli anni '70, Bene, sempre meglio di quello degli anni '60, '50 e via dicendo."

2001: "Questo album, grazie alla sua perfezione formale, ci sembra molto più accessibile. Riconosci che sia un prodotto più commerciale o solo un'impressione sbagliata?"

Alan: "Il primo album, "Tales Of Mistery And lmagination", quello nel quale cercammo di interpretare Edgar Alla Poe, fu accolto molto bene dala critica ma l'operazione commerciale non riuscì quasi per niente. Al di là dell'importanza che può avere l'operazione commerciale anche il discorso di ricerca ne veniva ridimensionato. Bisognava fare in modo che i progetti arrivassero a tutta la gente."

Eric: "E poi anche l'aspetto commerciale è importante. Io ho sempre seguito le vicende economiche di Alan ma devo dirti che adesso anche lui si interessa molto del business e forse io un po' meno e così il progetto non ne risente."

2001: "La suite, praticamente la seconda facciata dell'album, interamente dedicata ai giochi d'azzardo (considerando però questo concetto come estensibile a qualsiasi momento della vita) sembra riprendere antiche tematiche abbastanza colte. Dopo Allan Poe, Asimov, adesso è il turno di Dostojewschj?

Eric: "I testi li ho scritti io e non ho mai letto lo scrittore russo. Non siamo mai montati in cattedra per fare i professori; ci siamo limitati ad osservare certe cose che ci erano successe. Una volta avevo giocato d'azzardo ma poi mi sono reso conto che non era la prima, che avevo già rischiato altre volte..."

2001: "Una delle cose che vi viene rimproverata più spesso è l'assoluta mancanza di feeling a tutto vantaggio della perfezione formale, del suono curato fino all'inverosimile."

Alan: "E' una questione di scelte, uno dice " vediamo cosa succede suonando tutti insieme su una pista" io dico "scopriamo i suoni, identifìchiamo la loro provenienza, la loro struttura, analizziamo le armonie possibili. Poi utilizziamoli"

2001: "Praticamente sarà impossibile vedervi suonare dal vivo?"


Eric: "Stiamo pensando a questa possibilità ma le difficoltà sono enormi. Non siamo una band, siamo qualcosa come un gruppo di studio."

Alan: "Dovremmo essere in grado di ripetere esattamente le stesse sonorità e questo, fuori dallo studio, è quasi impossibile. Per esempio dovremmo registrare l'orchestra..."

2001: "A proposito di orchestra. Anche questa volta Andrew Powell vi ha dato una mano. Qual'è il suo ruolo all' interno dell'Alan Parsons Project?"

Alan: "Andrew è un musicista con un'esperienza a dir poco straordinaria. E' l'arrangiatore dell'intero progetto, quello che ha saputo trovare atmosfere adatte per ogni brano. E poi suona uno strumento stupendo: l'orchestra."

PRODUTTORE Dl SE STESSO

2001: "Alan Parsons produttore. E' più facile produrre se stessi o gli altri?"

Alan: "Probabilmente gli altri anche perché solitamente gli artisti sono molto gelosi del loro prodotti, non accettano molti suggerimenti, probabilmente si accontentano. Quando il prodotto è il tuo ci puoi fare tutte le modifiche che ritieni opportune e la ricerca continua anche dopo l'incisione."

2001: "L'artista più famoso che hai prodotto è stato Stewart ma probabilmente le soddisfazioni più grosse dall'altra parte del vetro sono venute in collaborazione con i Pink Floyd. Ti è piaciuto di più "The dark side of the moon" o "The wall"?"

Alan: "Nonostante che "The dark side..." sia stata una tappa importantissima nella mia vita devo riconoscere che "The wall" è più completo. Tutto sommato si respira un'aria nuova e mi piace di più."

2001: "E l'ultimo disco di Stewart?"

Alan: "Non l'ho ancora sentito ma mi hanno detto che non è male."

2001: "Ti piacciono i testi di Eric?"

Alan: "Eric è un carissimo amico e un uomo intelligente, capace di cogliere sfumature realmente poetiche. Per esempio il testo di "Time" sull'ultimo album e anche l'intera suite mi sembrano più che buoni."

2001: "Time" è una bella canzone d'amore. Allora è ancora possibile scriverne?"

Eric: "Penso di si. Tutto sta nel non commettere l'errore di staccare il testo dalla musica. Sono inscindibili e anche il modo di cantare è stato studiato accuratamente."

2001: "Insomma è difficile lavorare con Alan Parsons?"

Eric: "No. E' molto più facile che con tanti altri che hanno le idee confuse. Questa è una cosa che ad Alan non può dire nessuno."

2001: "E per il futuro?"

Alan: "Ti ho già detto che li progetto continua. Vogliamo vedere un po' quale sarà la reazione del pubblico a "The turn of a friendly card", poi chissa? Abbiamo aspettato molto prima di giocare questa carta, il disco è pronto da parecchio tempo, la copertina da un anno per esempio... speriamo che sia una carta amica."

2001: "La copertina è stata realizzata da Lol Creme e Kevin Godley, due musicisti grafici vicini a certe posizioni quasì da museo delle cere..."

Eric: "Vedi, è una questione d'atmosfera..."

2001: "Quindi anche di feeling?"

Alan: "No. Con noi è vietato usare questo termine."

Alan e Eric sì congedano con questa battuta. Resta tuttavia. un interrogativo che mi ero posto ascoltando il disco attraverso le sofisticate apparecchiature scelte da Alan. Pensavo agli impianti hi-fi buoni ma non raffinatissimi che molti di noi possiedono, pensavo a quelli che fruiscono della musica attraverso la radio. Pensavo a tutto il lavoro di Alan e soci filtrato da bizzosi transistors che finiscono per dimezzarne la portata tecnologica. Un pericolo questo che non sembra preoccupare eccessivamente Alan Parsons: dopo tutto nessuno ha mai detto che tutti i progetti si debbano realizzare.

Francesco De Vitis