Il DUOMO DI MOLFETTA: UN CAPOLAVORO DELLO STILE ROMANICO-PUGLIESE

 

 

 

CENNI STORICI

 

Sull'estremo lembo settentriona­le della città di Molfetta, a diretto contatto con il mare, sorge in tutta la sua maestosità il Duomo (Domus Dei), bellissimo esempio di edificio romanico, un tempo avente funzio­ne di cattedrale, oggi relegato a ruolo di semplice parrocchia.

In virtù della scarsità delle fonti storiche risulta estremamente ar­duo risalire alla sua prima data di costruzione, benché dall'esame di alcuni documenti relativi all'origine del vescovado a Molfetta e dalla perfetta somiglianza che il Duomo ha con altre chiese della provincia di Bari (Ognissanti a Valenzano, S. Francesco a Trani e S. Benedetto a Conversano si possa tentare di sta­bilire un periodo relativo alla sua nascita.

Francesco Rubeo, analizzando un'antica bolla trascritta in greco e custodita presso gli archivi eccle­siali di Bari, fa risalire il primo ve­scovo di Molfetta al 1008. Notizie a riguardo provengono anche da una bolla di papa Giovanni XIX (1024-1032), al secolo Romano dei Conti di Tuscolo (e non XX come F. Lombardi, G. De Luca, M. Romano e A. Salvemini asseriscono), colloca­ta cronologicamente tra il 1025 ed il 1028, dove si cita il vescovo di Molfetta tra quelli suffraganei all' ar­civescovado di Bari.

E', comunque, accertato che la costruzione della chiesa sia avvenu­ta in due periodi diversi,

 presumi­bilmente tra la prima metà del XII secolo e la fine del XIII secolo. Ciò risulta, ampiamente, dalla differenza architettonica esistente tra la campata orientale e le altre due, ma anche dall'analisi di antichi docu­menti.

Risale, infatti, al 1185 un testa­mento attraverso cui Griso di Sifan­do donava alla fabbrica della chie­sa, forse già in avanzata fase di co­struzione, almeno per quanto riguarda la parte absidale, un calice d'oro e un turibolo d'argento (Ar­chivio di Cava dei Tirreni = ACT). Successivamente, il 3 agosto 1236, tale Gaildegrima faceva dono testa­mentario al vescovo di Molfetta, mons. Risandus ( 1222-1271 ), di una vigna da destinarsi alla fabbrica del­la chiesa (Archivio Capitolare di Terlizzi). II 25 settembre 1256, poi, mastro Simone di Molfetta lasciava alla fabbrica dell'Episcopio mezza oncia d'oro (ACT). Infine, il 29 apri­le 1285 frate Stefano del monaste­ro di S. Margherita (secondo il Fon­tana nei pressi dell'attuale cimite­ro), donava alla fabbrica della chie­sa tre once d'oro (Archivio di sta­to di Napoli).

 

 

L' ESTERNO

 

La facciata principale del Duomo (avente probabilmente un tempo funzione secondaria) non offre par­ticolari motivi di interesse artistico, se non per il suo insieme con le due cupole ottagonali. Dotata di un modesto portale di fabbricazione moderna, si innalza su una parete li­scia fino ad incontrare una finestra circolare disposta a croce con altre più piccole la quale, più che ad un rosone, somiglia ad un occhio mes­so lì per catturare la luce esterna e filtrarla nell' edificio.

La facciata è tronca alla sommità, orfana di cuspide, e in ciò si diffe­renzia notevolmente da altre chie­se romaniche del tempo. completa­mente spoglia di decorazioni, trova il suo unico elemento ornamentale in una cornice con mensola su cui poggia la cupola a forma ottagona­le più bassa.

II troncamento della facciata è da alcuni studiosi visto come fatto vo­luto per appoggiare la cupola in so­stituzione della cuspide. E' probabi­le che all'estremità occidentale del­la chiesa fosse stato pensato un nar­tèce che, grazie al suo portico, avrebbe forse giustificato una soluzione più armoniosa al troncamen­to della facciata.

Addossati alla facciata principale ci sono due apparenti bastioni sco­perchiati, un tempo coperti da vol­te a crociera. Si tratta di due cap­pelle, ben individuate dalle absidi. Esse furono successivamente colle­gate da un muro di difesa e da que­st' ultimo corpo di fabbrica fu rica­vata la cappella di S. Corrado, oggi non più esistente.

Mirando intorno alla chiesa si possono ammirare altre cappelle ri­tenute più importanti dal punto di vista storico, ripartite in ugual mi­sura a nord e a sud del Duomo. Sulla facciata laterale sud è ben visibile il secondo ingresso. II por­tale è sormontato da una deliziosa lunetta orlata con bugnato a punta di diamante, il cui fondo è diviso in due piani distinti: sul più basso è rappresentata una croce gigliata, ac­compagnata agli estremi da due piccoli rosoni di pietra, sull' altro è raffigurato l'agnello divino.

Sopra la lunetta, nelle due nicchie laterali, sono sistemate due statue cinquecentesche raffiguranti S. Cor­rado e S. Nicola, entrambe divise al centro da una nicchia rettangolare più grande. II posto attualmente ri­servato alle tre nicchie era un tem­po occupato da tre finestre fatte costruire nel XVII secolo dal vesco­vo mons. G. Petronio (1622-1647), perché filtrasse nella chiesa una maggiore quantità di luce, il cui passaggio era probabilmente impedito dall'austera fortificazione delle tre cappelle di ponente.

Sopra la nicchia più grande tro­neggia ancora oggi 10 stemma pon­tificio di Innocenzo VIII, al secolo Giovanni Battista Cibo, che fu ve­scovo di Molfetta dal 1472 al 1484, data in cui lasciò tale incarico per sedere sul trono di Pietro. Ai Iati si possono facilmente rilevare le armi di altri due illustri vescovi molfet­tesi: il blasone del cardinale Ferdi­nando Ponzetti, vescovo della città dal 1517 al 1518, e quello di Ange­lo De Lacertis, unico mitrato di accertate origini molfettesi dal 1484 al 1508. Più in basso, 10 stemma del domenicano Giacinto Petronio, vescovo della città e fondatore della chiesa di S. Domenico.

Sulla destra del portale è ricava­ta la sacrestia la cui facciata, pur ri­chiamando una tipologia urbanisti­ca diversa rispetto alla chiesa, non manifesta motivi di particolare in­teresse.

Tra I' ingresso e la sacrestia si pos­sono ammirare tre fenomeni carat­teristici: in alto una deliziosa meri­diana e l'Agnus Dei a chiusura del­le arcate cieche e lungo il muro la frattura che testimonia i diversi pe­riodi di costruzione della chiesa.

Il perimetro dell’ intera chiesa termina con la faccia­ta absidale, senza dubbio la più ricca e la più bella.

E' visibile sul lato orienta­le della chiesa e rappresen­ta, insieme alla cupola a tamburo quadro, alle torri, al soccorso ed alla campa­ta orientale, il primo corpo di fabbrica dell'edificio.

Percorsa da un bellissimo motivo di arcate cieche di gusto moresco, fino ai limi­ti del transetto, è caratteriz­zata al centro da una fine­stra ai Iati della quale due felini, di cui uno di fabbrica­zione moderna, sorreggono altrettante colonnine sui cui capitelli sostano i resti di due leo­ni più piccoli che sostengono, a loro volta, un arco a tutto sesto mi­rabilmente ornato nell’ intradosso. Sotto la finestra è situata una fal­sa porta, sormontata da un duplice arco, la cui parte centrale poggia su un peduccio. Sulla sua destra è ben visibile un mascherone, probabil­mente avente un tempo funzione di doccione.

Alla base della facciata, invece, tre porticine a livello di piano sono ri­maste a testimoniare le antiche fi­nestre della cripta.

Ai margini della facciata absidale svettano le due torri gemelle. En­trambe sono perforate da belle fi­nestre bifore e monofore aggrazia­te da motivi geometrici alla sommi­tà.

Ultima attenzione per la visita all’esterno va riservata alle tre cupo­le. A tamburo quadro quella orien­tale ed ottagonali le altre, costitui­scono uno dei pochi esempi di ter­na di cupole in asse di altezza irre­golare in tutta la regione e forse in Italia in un' architettura di tipo ro­manico.

Coperte dalle particolari chiancarelle, rappresentano con le torri il fulcro centrale della bellezza archi­tettonica dell'intera chiesa.

 

L' AULA

 

Entrando nella chiesa da uno dei due ingressi ci si imbatte nella gran­de aula basilicale. Dominata dalle quattro colonne, su cui poggia la gran parte del peso delle cupole, mette in evidenza tre navate di cui la centrale è la più grande. Accan­to all' entrata secondaria si nota la bellissima acquasantiera del "sarace­no". Risalente all'incirca al secolo XII, è considerata la più antica tra tutte le acquasantiere della chiesa. Il suo nome proviene probabilmen­te dalla testa moresca della figura umana accovacciata sulle cui ginoc­chia è appoggiata la vasca che serve, appunto, da acquasantiera. Par­ticolare curioso richiamante l' ico­nografia del tempo: all'interno del­la vasca è scolpito un pesce a bas­so rilievo.

Al confine con il presbiterio si in­contrano due enormi zoccoli di tipo cruciforme che sorreggono i due pilastri su cui poggia una par­te del peso della cupola centrale e di quella orientale. La differenza strutturale tra questo tipo di basa­mento e le colonne disposte al cen­tro aula fa intravedere la possibili­tà di modifiche in atto sulla parte relativa al transetto durante la co­struzione della chiesa o in tempi successivi. Anche il pavimento, al­meno in parte, ha seguito la stessa sorte; è stato, infatti, leggermente alzato, forse per equilibrare l' abbas­samento della zona relativa al pre­sbiterio o per preservare il pavi­mento originale dal calpestio dei fedeli o da eventuali allagamenti. Diversamente dall'attuale, compo­sto da comuni lastre di pietra loca­le, l'antico pavimento era costitui­to da una miriade di tessere musi­ve di cui si conserva una parte tra inizio aula e presbiterio, custodita gelosamente da una grata di ferro. A questo punto non rimane che volgere gli occhi al cielo ed ammi­rare in tutta la loro bellezza ed imponenza le tre cupole.

Semisferica all'interno, la cupola orientale si presenta più bassa e so­stanzialmente diversa dalle altre. Si trova perfettamente in asse sul pre­sbiterio ed è sostenuta da quattro imponenti arcate, guardata a vista dai soffitti a semibotte delle nava­telle laterali. E' l'unica delle tre a poggiare su pennacchi ed è ornata da un cornicione circolare su cui trova posto una serie di peducci di differente figura che gira intorno alla cupola, quasi a farle compa­gnia.

Le due cupole più grandi, disu­guali in altezza, rispetto alla prima sono disadorne di cornicione e poggiano su voltine a trom­ba. Il loro peso si distribui­sce in parte sulle quattro colonne centrali ed in par­te sulle paraste del muro di ponente e sui soffitti a semi­botte delle navate laterali che agiscono, a loro volta, da contrafforte. Nei muri dei tamburi delle cupole sono situate piccole finestre che, facendo filtrare la luce esterna nelle navate, forma­no giochi di luce ed ombre che a loro volta si insinua­no nelle bellissime sculture dei capitelli delle colonne destinate a sorreggere le ar­cate e su cui poggiano le cupole medesime. Scendendo giù per i pilastri di centro aula si riesce a notare che la loro base è praticamente man­cante di zoccolatura. Questa diffor­mità architettonica, rispetto alle co­lonne a ridosso del presbiterio, è fa­cilmente ricavabile dal fatto che su questo tipo di basamento non sa­rebbe avvenuta nel tempo alcuna modifica strutturale. Più che di vere colonne, si tratta di paraste addos­sate ai quattro lati di un pilastro cruciforme.

Un'attenzione particolare va con­ferita, infine, alle sculture dei capi­telli. I temi che sono argomentati sono di grande varietà e vengono fuori, probabilmente, dalla fantasia del lapicida o da fatti ed avveni­menti realmente accaduti.

Ci sono foglie di acanto, di palma, intrecciate, a spirale, lanceolate. Sono evidenziati gigli, volatili, ce­spugli, germogli, forme angeliche, paurosi mascheroni, volti umani. In questi ultimi alcuni intravedono i volti del conte Amico, antico feuda­tario di Molfetta, e della sua consor­te; altri, invece, semplici commit­tenti o benefattori.

Alzando lo sguardo sul muro interno della facciata principale, si nota che esso non offre motivi di particolare interesse ed è completamente disadorno, se non fosse per le finestre e per alcuni resti di sacelli collocati sulla sua base. Si tratta dei monumenti tombali di an­tichi vescovi della diocesi molfette­se: Simone Alopa (1386-1401), Pie­tro Picci (1421-1427), Gentile del Monte (1427-1433) e Giovanni de­gli Effetti (1701-1711).

Altre lapidi, armi e riferimenti no­biliari si trovano sparsi dappertut­to per l'intera chiesa. Vanno ricor­dati una pietra sepolcrale che evo­ca l'antico episcopato di monsi­gnor Risandus sul muro del presbi­terio, un lastra tombale con la pre­sumibile effigie dei fratelli Chirleo­ni sullo zoccolo di uno dei pilastri, due epigrafi murali che ricordano altri due vescovi molfettesi, mons. Giovanni Antonio llovio ( 1607 ­1622) e mons. Giovanni Tommaso Pinelli (1648-1666), ed altri epitaffi di tipo commemorativo.

A completare il quadro generale dell'aula contribuiscono una acqua­santiera a conchiglia e piccole de­corazioni a chiusura delle arcate che fanno da sostegno alle volte a semibotte delle navatelle laterali.

 

IL TRANSETTO

 

Superati alcuni gradini, si accede nella zona riservata al transetto, dove al centro è collocato il presbiterio. Ai lati del transetto, sulla par­te absidale, trovano posto due nic­chie in cui sono sistemate le statue di S. Leonardo e di S. Paolo. Nel pri­mo caso il santo è rappresentato con la veste monacale. S. Paolo, in­vece, è raffigurato con la spada che, attualmente, è sprovvista di lama. Sui muri delle navate laterali sono evidenti alcune arcate cieche che terminano nel punto in cui due fratture indicano, con tutta proba­bilità, i due diversi periodi di co­struzione dell' antica cattedrale mol­fettese. Tali arcate si incontrano su semplici colonne rettangolari moz­zate nel loro tratto inferiore, a te­stimonianza delle modifiche esegui­te in occasione dell'abbassamento della zona riservata al transetto. Alcuni gradini, disposti poco più avanti alle nicchie citate, danno l'accesso al soccorpo nel quale do­veva trovar posto la cripta.

La visita al suo interno, così come doveva essere riportato nell'antico progetto, non è più possibile in quanto la cripta risulta oggi inesi­stente. E' probabile che tra il XV ed il XVI secolo, e successivi, in con­seguenza dei lavori eseguiti sulla zona riservata al transetto, la crip­ta sia stata abbattuta.

Nella parte centrale del transetto trova posto il presbiterio. Quasi appoggiato alla parete absidale è situato l'altare maggiore in marmo, risalente alla seconda metà del XVII secolo. Non si tratta, ovviamente, dell'altare originario. Quest'ultimo infatti sembra sia andato perduto durante i lavori di abbassamento del presbiterio.

La zona attualmente occupata dal Cristo in bronzo doveva essere un tempo destinata ad un'antica pala di scuola senese deI XVI secolo da molti identificata con il quadro del Transito della Madonna, oggi espo­sto nella nuova cattedrale. Il suo posto fu occupato dalla pala del­l' Assunta di Corrado Giaquinto, suc­cessivamente trasferita nell’ 'attuale cattedrale di Molfetta nel cappello­ne dedicato.

Trattando del presbiterio è interessante ricordare un ciborio a bal­dacchino deI XV secolo. Benché depositato per molto tempo nel­l' atrio del Santuario della Madonna dei Martiri e, in seguito, in quello del Seminario Regionale, è ipotizza­bile una sua collocazione sul piano del presbiterio dell' antica cattedra­le.

Essendo certa la sua data di co­struzione, testimoniata da una del­le quattro iscrizioni sugli architra­vi, appare impensabile una sua di­versa destinazione, considerate le piccole proporzioni interne delle altre chiese dell'epoca.

Grazie ai non pochi sacrifici del parroco, don Ignazio Pansini, e al mirabile restauro sul manufatto, il ciborio ha ritrovato, dopo anni di abbandono, il suo antico splendore ed oggi campeggia maestoso nella più vecchia delle cappelle del Duo­mo, quella dedicata a S. Maria della Neve. Le quattro iscrizioni sugli ar­chitravi, secondo la traduzione di alcuni studiosi locali, dovrebbero recitare nel seguente modo: Il co­mite Giovanni Trapasso di Molfetta - questo fece fare per il reveren­dissimo signore vescovo - allo stes­so anno donò al Signore - 1429, giorno 4 agosto".

Anche se non esiste alcuna docu­mentazione a riguardo, è possibile ritenere che il ciborio trovasse originariamente posto al centro del transetto, esattamente nella zona ri­servata oggi al nuovo altare, sulla cui base è collocato un antico al­torilievo meglio conosciuto come "del Redentore", in cui è raffigura­to Cristo benedicente, seduto sotto un 'arcata trilobata poggiante su due colonnine disuguali provviste di capitelli e ai cui lati, in sommità, giacciono due angeli incensatori. Questo altorilievo è ricordato come elemento ornamentale addossato ad un muro perimetrale interno della chiesa.

Sulla sinistra del presbiterio, usa­to come leggio, campeggia il fusto dell'antica acquasantiera a calice, una volta addossata ad un pilastro della chiesa, di cui purtroppo si è perduta la ricca vasca, secondo quanto dichiarato dallo studioso d'arte Vincenzo M. Valente.

La zona del presbiterio doveva essere in origine più alta e delimi­tata da un pluteo, lunga lastra di pietra riccamente scolpita ad alto­rilievo. Fortunatamente si conserva nella cappella di S. Maria della Neve una considerevole traccia del plu­teo. Gli attuali resti ritraggono 13 fi­gure umane, raffiguranti presumi­bilmente i partecipanti ad un con­cilio, indetto da papa Urbano II e tenutosi a Bari il 1° ottobre 1098 (A. Fontana - M.S. La Chiesa vec­chia di Molfetta).

Prima di lasciare definitivamente il presbiterio, è giusto ricordare un coro di legno fatto edificare da monsignor Andrea della Rocca (1433-1472), vescovo di Molfetta nel secolo XV, e collocato presumi­bilmente ai lati del transetto, i cui resti sono attualmente depositati presso il museo diocesano.

 

LE CAPPELLE

 

Sui lati interni della chiesa, altre arcate sfondano i muri, offrendo li­bero accesso alle cappelle, oggi adi­bite ad uso religioso dell'intera co­munità.

A partire dal muro di destra, ac­canto all'ingresso secondario, trova posto la più antica delle cappelle, quella dedicata a S. Maria della Neve, in cui risaltano la bella volta a crociera e i peducci che sorreg­gono i relativi costoloni. Sul muro destro, in alto, è sistemata un 'origi­nale finestra con transenna in pie­tra che richiama motivi arabeschi. Come si è detto, la cappella ospita attualmente il ciborio del Trapasso. Esternamente, la cappella si confonde con l'abitato circostan­te ad eccezione del suo muro orientale, situato in Corte S. Corra­do. Al centro del muro è ben visi­bile una finestra rientrante, sovra­stata da una serie di archetti trilobati, su cui poggia un delizioso in­treccio di rami con foglie di acan­to, a sua volta sormontato da una cornice con motivo a palmetta. Accanto, è situata la cappella di S. Michele Arcangelo, oggi adibita al culto di S. Lucia. Conosciuta anche con i nomi di S. Maria degli Angeli e Corpus Cristi, ha una pianta diver­sa dalle altre, quasi romboidale. La cupola è semisferica e poggia su pennacchi. L'ingresso di questa cap­pella, ad arco a tutto sesto, mette in rilievo due paraste dalla probabile funzione ornamentale. Sul suo muro centrale risaltano due statue: la "Fortezza " e la "Giusti­zia". Sul muro laterale sinistro, invece, è siste­mata una lapide com­memorativa. Esternamente, non è possibile individuarla in quanto si confonde totalmente con l' abitato circostan­te.

Esattamente di fronte è situata la cappella de­dicata a S. Caterina da Alessandria. Anche in questo caso, come per S. Maria della Neve, l'in­gresso è ad arco ogiva­le. Di rilievo è la gran­de vasca del battistero, sulla cui circonferenza un' iscrizione in lingua latina così recita: "Qualunque cosa derivata dall'antica origine, la purgheranno queste acque, se sol­tanto credi in esse ". Anche in que­sto caso la volta della cappella è rappresentata da una cupola semi­sferica poggiante su pennacchi. Eretta intorno al 1405, trova nella struttura della mole esterna una vera e propria fortificazione. A ve­derla somiglia ad una torre difensi­va a protezione del lato nord-ovest della chiesa. In questo caso è l'ab­side a mettere in risalto la sua vera funzione.

Accanto alla cappella di S. Cate­rina è situata quella dedicata a S. Giuliano (1418), secondo la tradi­zione primo patrono di Molfetta. L'ingresso offre un arco a sesto ri­bassato. La volta è a botte acuta. La cappella annoverava tra i suoi arre­di un busto settecentesco di S. Cor­rado scolpito a tecnica mista, tutto­ra presente nella chiesa. Esternamente, ha l'aspetto di una chiesetta. La bella facciata absidale è corredata da una finestra circola­re su cui domina una serie di ar­chetti raccolti a forma geometrica che si fissa su una cuspide ben de­lineata.

Oltre a queste quattro importan­ti cappelle, ne esistono due mino­ri. I loro ingressi sono situati ai margini del muro interno della fac­ciata principale. Quella sulla destra era un tempo dedicata al SS. Salva­tore e a S. Maria della Carità, men­tre l'altra era intitolata a S. Antonio da Padova. L'interno, proprio perché in stato di abbandono, non riveste particolare importanza. La mancanza di copertura ha notevol­mente contribuito alla nascita nel­le cappelle di vegetazione sponta­nea. In esse sono sparse qua e là la­pidi e frammenti di sculture. Ester­namente addossate alla facciata principale sembrano due bastioni messi a guardia del Duomo. Quat­tro sottili pilastri collocati agli angoli di ogni cappella mettono in ri­salto antiche coperture protette a loro volta da una crociera gotica.

 

LA SAGRESTIA

 

Il locale adibito a sacrestia, seb­bene riservato alle esigenze della parrocchia, riveste una particolare importanza sia per la volta a crocie­ra gotica che per essere stato rica­vato da tre antichi corpi di fabbri­ca di cui sono stati, probabilmente, demoliti nel tempo i muri interme­di.

Anche in questo locale si posso­no scorgere elementi architettoni­ci di particolare suggestione artisti­ca tra cui una piccola transenna ed un'antica edicola.

 

I PIANI SUPERIORI

 

La sacrestia dà l' accesso ai piani superiori. Varcato un ingresso, gra­zie ad alcuni gradini, ci si immette in un corridoio a ridosso del­l' abside.Percorsi i tre quarti dell'in­tero corridoio, si arriva ad una sca­la a chiocciola, nascosta in un pic­colo vano sulla sinistra, considera­ta a buon diritto il più antico ma­nufatto della chiesa.

E' sufficiente salire la scala per un terzo di tratto per immettersi in un'area più grande a livello di due finestre. Quella che dà sulla faccia­ta absidale e l'altra a livello della grande scultura di Cristo Redento­re, da cui si può godere la bellezza dell'intera aula, dei sontuosi pila­stri, del presbiterio e della cupola orientale.

Affacciandosi sul muro absidale che dà sulla strada, si ha la possibi­lità di scrutare l' esterno grazie al mascherone che fa da doccione. Le estremità del piano sono occupate dai due vani delle torri a livello del primo piano.

Continuando per la scala a chioc­ciola, si arriva ad una porticina che dà su un piccolo terrazzo di for­ma rettangolare a livel­lo delle cupole. Trovan­dosi esso sulla parte orientale, si è pratica­mente a livello della cu­pola a tamburo quadro. Una volta sul piccolo tetto, si arriva facilmen­te a toccare con mano le chiancarelle della cu­pola orientale c ad os­servare in maniera det­tagliata il profilo delle due cupole ottagonali. Grazie a due scale di legno si arriva sul pun­to più alto della torre campanaria, pratica­mente gemella della torre di avvi­stamento. Si dice che, originaria­mente, queste scale dovevano esse­re interamente di corda.

La visita al Duomo di Molfetta ter­mina qui. Attraverso i suoi antichi arredi si è cercato di raccontare la sua storia durata quasi mille anni. Il maggior augurio è che il buon senso dei visitatori dia modo all'an­tica cattedrale di conservare la sua precaria stabilità e la sua armonia ancora per molto tempo.

 

 

Da “Visita al Duomo”, a cura di Corrado Natalicchio; Inserto accluso al numero di luglio 1999 de “L’altra Molfetta”