Il DUOMO DI MOLFETTA: UN CAPOLAVORO DELLO STILE ROMANICO-PUGLIESE
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CENNI STORICI
Sull'estremo lembo settentrionale della città di Molfetta, a diretto contatto con il mare, sorge in tutta la sua maestosità il Duomo (Domus Dei), bellissimo esempio di edificio romanico, un tempo avente funzione di cattedrale, oggi relegato a ruolo di semplice parrocchia. In virtù della scarsità delle fonti storiche risulta estremamente arduo risalire alla sua prima data di costruzione, benché dall'esame di alcuni documenti relativi all'origine del vescovado a Molfetta e dalla perfetta somiglianza che il Duomo ha con altre chiese della provincia di Bari (Ognissanti a Valenzano, S. Francesco a Trani e S. Benedetto a Conversano si possa tentare di stabilire un periodo relativo alla sua nascita. Francesco Rubeo, analizzando un'antica bolla trascritta in greco e custodita presso gli archivi ecclesiali di Bari, fa risalire il primo vescovo di Molfetta al 1008. Notizie a riguardo provengono anche da una bolla di papa Giovanni XIX (1024-1032), al secolo Romano dei Conti di Tuscolo (e non XX come F. Lombardi, G. De Luca, M. Romano e A. Salvemini asseriscono), collocata cronologicamente tra il 1025 ed il 1028, dove si cita il vescovo di Molfetta tra quelli suffraganei all' arcivescovado di Bari. E', comunque, accertato che la costruzione della chiesa sia avvenuta in due periodi diversi, presumibilmente tra la prima metà del XII secolo e la fine del XIII secolo. Ciò risulta, ampiamente, dalla differenza architettonica esistente tra la campata orientale e le altre due, ma anche dall'analisi di antichi documenti. Risale, infatti, al 1185 un testamento attraverso cui Griso di Sifando donava alla fabbrica della chiesa, forse già in avanzata fase di costruzione, almeno per quanto riguarda la parte absidale, un calice d'oro e un turibolo d'argento (Archivio di Cava dei Tirreni = ACT). Successivamente, il 3 agosto 1236, tale Gaildegrima faceva dono testamentario al vescovo di Molfetta, mons. Risandus ( 1222-1271 ), di una vigna da destinarsi alla fabbrica della chiesa (Archivio Capitolare di Terlizzi). II 25 settembre 1256, poi, mastro Simone di Molfetta lasciava alla fabbrica dell'Episcopio mezza oncia d'oro (ACT). Infine, il 29 aprile 1285 frate Stefano del monastero di S. Margherita (secondo il Fontana nei pressi dell'attuale cimitero), donava alla fabbrica della chiesa tre once d'oro (Archivio di stato di Napoli).
L' ESTERNO
La facciata principale del Duomo (avente probabilmente un tempo funzione secondaria) non offre particolari motivi di interesse artistico, se non per il suo insieme con le due cupole ottagonali. Dotata di un modesto portale di fabbricazione moderna, si innalza su una parete liscia fino ad incontrare una finestra circolare disposta a croce con altre più piccole la quale, più che ad un rosone, somiglia ad un occhio messo lì per catturare la luce esterna e filtrarla nell' edificio. La facciata è tronca alla sommità, orfana di cuspide, e in ciò si differenzia notevolmente da altre chiese romaniche del tempo. completamente spoglia di decorazioni, trova il suo unico elemento ornamentale in una cornice con mensola su cui poggia la cupola a forma ottagonale più bassa. II troncamento della facciata è da alcuni studiosi visto come fatto voluto per appoggiare la cupola in sostituzione della cuspide. E' probabile che all'estremità occidentale della chiesa fosse stato pensato un nartèce che, grazie al suo portico, avrebbe forse giustificato una soluzione più armoniosa al troncamento della facciata. Addossati alla facciata principale ci sono due apparenti bastioni scoperchiati, un tempo coperti da volte a crociera. Si tratta di due cappelle, ben individuate dalle absidi. Esse furono successivamente collegate da un muro di difesa e da quest' ultimo corpo di fabbrica fu ricavata la cappella di S. Corrado, oggi non più esistente. Mirando intorno alla chiesa si possono ammirare altre cappelle ritenute più importanti dal punto di vista storico, ripartite in ugual misura a nord e a sud del Duomo. Sulla facciata laterale sud è ben visibile il secondo ingresso. II portale è sormontato da una deliziosa lunetta orlata con bugnato a punta di diamante, il cui fondo è diviso in due piani distinti: sul più basso è rappresentata una croce gigliata, accompagnata agli estremi da due piccoli rosoni di pietra, sull' altro è raffigurato l'agnello divino. Sopra la lunetta, nelle due nicchie laterali, sono sistemate due statue cinquecentesche raffiguranti S. Corrado e S. Nicola, entrambe divise al centro da una nicchia rettangolare più grande. II posto attualmente riservato alle tre nicchie era un tempo occupato da tre finestre fatte costruire nel XVII secolo dal vescovo mons. G. Petronio (1622-1647), perché filtrasse nella chiesa una maggiore quantità di luce, il cui passaggio era probabilmente impedito dall'austera fortificazione delle tre cappelle di ponente. Sopra la nicchia più grande troneggia ancora oggi 10 stemma pontificio di Innocenzo VIII, al secolo Giovanni Battista Cibo, che fu vescovo di Molfetta dal 1472 al 1484, data in cui lasciò tale incarico per sedere sul trono di Pietro. Ai Iati si possono facilmente rilevare le armi di altri due illustri vescovi molfettesi: il blasone del cardinale Ferdinando Ponzetti, vescovo della città dal 1517 al 1518, e quello di Angelo De Lacertis, unico mitrato di accertate origini molfettesi dal 1484 al 1508. Più in basso, 10 stemma del domenicano Giacinto Petronio, vescovo della città e fondatore della chiesa di S. Domenico. Sulla destra del portale è ricavata la sacrestia la cui facciata, pur richiamando una tipologia urbanistica diversa rispetto alla chiesa, non manifesta motivi di particolare interesse. Tra I' ingresso e la sacrestia si possono ammirare tre fenomeni caratteristici: in alto una deliziosa meridiana e l'Agnus Dei a chiusura delle arcate cieche e lungo il muro la frattura che testimonia i diversi periodi di costruzione della chiesa. Il perimetro dell’ intera chiesa termina con la facciata absidale, senza dubbio la più ricca e la più bella. E' visibile sul lato orientale della chiesa e rappresenta, insieme alla cupola a tamburo quadro, alle torri, al soccorso ed alla campata orientale, il primo corpo di fabbrica dell'edificio. Percorsa da un bellissimo motivo di arcate cieche di gusto moresco, fino ai limiti del transetto, è caratterizzata al centro da una finestra ai Iati della quale due felini, di cui uno di fabbricazione moderna, sorreggono altrettante colonnine sui cui capitelli sostano i resti di due leoni più piccoli che sostengono, a loro volta, un arco a tutto sesto mirabilmente ornato nell’ intradosso. Sotto la finestra è situata una falsa porta, sormontata da un duplice arco, la cui parte centrale poggia su un peduccio. Sulla sua destra è ben visibile un mascherone, probabilmente avente un tempo funzione di doccione. Alla base della facciata, invece, tre porticine a livello di piano sono rimaste a testimoniare le antiche finestre della cripta. Ai margini della facciata absidale svettano le due torri gemelle. Entrambe sono perforate da belle finestre bifore e monofore aggraziate da motivi geometrici alla sommità. Ultima attenzione per la visita all’esterno va riservata alle tre cupole. A tamburo quadro quella orientale ed ottagonali le altre, costituiscono uno dei pochi esempi di terna di cupole in asse di altezza irregolare in tutta la regione e forse in Italia in un' architettura di tipo romanico. Coperte dalle particolari chiancarelle, rappresentano con le torri il fulcro centrale della bellezza architettonica dell'intera chiesa.
L' AULA
Entrando nella chiesa da uno dei due ingressi ci si imbatte nella grande aula basilicale. Dominata dalle quattro colonne, su cui poggia la gran parte del peso delle cupole, mette in evidenza tre navate di cui la centrale è la più grande. Accanto all' entrata secondaria si nota la bellissima acquasantiera del "saraceno". Risalente all'incirca al secolo XII, è considerata la più antica tra tutte le acquasantiere della chiesa. Il suo nome proviene probabilmente dalla testa moresca della figura umana accovacciata sulle cui ginocchia è appoggiata la vasca che serve, appunto, da acquasantiera. Particolare curioso richiamante l' iconografia del tempo: all'interno della vasca è scolpito un pesce a basso rilievo. Al confine con il presbiterio si incontrano due enormi zoccoli di tipo cruciforme che sorreggono i due pilastri su cui poggia una parte del peso della cupola centrale e di quella orientale. La differenza strutturale tra questo tipo di basamento e le colonne disposte al centro aula fa intravedere la possibilità di modifiche in atto sulla parte relativa al transetto durante la costruzione della chiesa o in tempi successivi. Anche il pavimento, almeno in parte, ha seguito la stessa sorte; è stato, infatti, leggermente alzato, forse per equilibrare l' abbassamento della zona relativa al presbiterio o per preservare il pavimento originale dal calpestio dei fedeli o da eventuali allagamenti. Diversamente dall'attuale, composto da comuni lastre di pietra locale, l'antico pavimento era costituito da una miriade di tessere musive di cui si conserva una parte tra inizio aula e presbiterio, custodita gelosamente da una grata di ferro. A questo punto non rimane che volgere gli occhi al cielo ed ammirare in tutta la loro bellezza ed imponenza le tre cupole. Semisferica all'interno, la cupola orientale si presenta più bassa e sostanzialmente diversa dalle altre. Si trova perfettamente in asse sul presbiterio ed è sostenuta da quattro imponenti arcate, guardata a vista dai soffitti a semibotte delle navatelle laterali. E' l'unica delle tre a poggiare su pennacchi ed è ornata da un cornicione circolare su cui trova posto una serie di peducci di differente figura che gira intorno alla cupola, quasi a farle compagnia. Le due cupole più grandi, disuguali in altezza, rispetto alla prima sono disadorne di cornicione e poggiano su voltine a tromba. Il loro peso si distribuisce in parte sulle quattro colonne centrali ed in parte sulle paraste del muro di ponente e sui soffitti a semibotte delle navate laterali che agiscono, a loro volta, da contrafforte. Nei muri dei tamburi delle cupole sono situate piccole finestre che, facendo filtrare la luce esterna nelle navate, formano giochi di luce ed ombre che a loro volta si insinuano nelle bellissime sculture dei capitelli delle colonne destinate a sorreggere le arcate e su cui poggiano le cupole medesime. Scendendo giù per i pilastri di centro aula si riesce a notare che la loro base è praticamente mancante di zoccolatura. Questa difformità architettonica, rispetto alle colonne a ridosso del presbiterio, è facilmente ricavabile dal fatto che su questo tipo di basamento non sarebbe avvenuta nel tempo alcuna modifica strutturale. Più che di vere colonne, si tratta di paraste addossate ai quattro lati di un pilastro cruciforme. Un'attenzione particolare va conferita, infine, alle sculture dei capitelli. I temi che sono argomentati sono di grande varietà e vengono fuori, probabilmente, dalla fantasia del lapicida o da fatti ed avvenimenti realmente accaduti. Ci sono foglie di acanto, di palma, intrecciate, a spirale, lanceolate. Sono evidenziati gigli, volatili, cespugli, germogli, forme angeliche, paurosi mascheroni, volti umani. In questi ultimi alcuni intravedono i volti del conte Amico, antico feudatario di Molfetta, e della sua consorte; altri, invece, semplici committenti o benefattori. Alzando lo sguardo sul muro interno della facciata principale, si nota che esso non offre motivi di particolare interesse ed è completamente disadorno, se non fosse per le finestre e per alcuni resti di sacelli collocati sulla sua base. Si tratta dei monumenti tombali di antichi vescovi della diocesi molfettese: Simone Alopa (1386-1401), Pietro Picci (1421-1427), Gentile del Monte (1427-1433) e Giovanni degli Effetti (1701-1711). Altre lapidi, armi e riferimenti nobiliari si trovano sparsi dappertutto per l'intera chiesa. Vanno ricordati una pietra sepolcrale che evoca l'antico episcopato di monsignor Risandus sul muro del presbiterio, un lastra tombale con la presumibile effigie dei fratelli Chirleoni sullo zoccolo di uno dei pilastri, due epigrafi murali che ricordano altri due vescovi molfettesi, mons. Giovanni Antonio llovio ( 1607 1622) e mons. Giovanni Tommaso Pinelli (1648-1666), ed altri epitaffi di tipo commemorativo. A completare il quadro generale dell'aula contribuiscono una acquasantiera a conchiglia e piccole decorazioni a chiusura delle arcate che fanno da sostegno alle volte a semibotte delle navatelle laterali.
IL TRANSETTO
Superati alcuni gradini, si accede nella zona riservata al transetto, dove al centro è collocato il presbiterio. Ai lati del transetto, sulla parte absidale, trovano posto due nicchie in cui sono sistemate le statue di S. Leonardo e di S. Paolo. Nel primo caso il santo è rappresentato con la veste monacale. S. Paolo, invece, è raffigurato con la spada che, attualmente, è sprovvista di lama. Sui muri delle navate laterali sono evidenti alcune arcate cieche che terminano nel punto in cui due fratture indicano, con tutta probabilità, i due diversi periodi di costruzione dell' antica cattedrale molfettese. Tali arcate si incontrano su semplici colonne rettangolari mozzate nel loro tratto inferiore, a testimonianza delle modifiche eseguite in occasione dell'abbassamento della zona riservata al transetto. Alcuni gradini, disposti poco più avanti alle nicchie citate, danno l'accesso al soccorpo nel quale doveva trovar posto la cripta. La visita al suo interno, così come doveva essere riportato nell'antico progetto, non è più possibile in quanto la cripta risulta oggi inesistente. E' probabile che tra il XV ed il XVI secolo, e successivi, in conseguenza dei lavori eseguiti sulla zona riservata al transetto, la cripta sia stata abbattuta. Nella parte centrale del transetto trova posto il presbiterio. Quasi appoggiato alla parete absidale è situato l'altare maggiore in marmo, risalente alla seconda metà del XVII secolo. Non si tratta, ovviamente, dell'altare originario. Quest'ultimo infatti sembra sia andato perduto durante i lavori di abbassamento del presbiterio. La zona attualmente occupata dal Cristo in bronzo doveva essere un tempo destinata ad un'antica pala di scuola senese deI XVI secolo da molti identificata con il quadro del Transito della Madonna, oggi esposto nella nuova cattedrale. Il suo posto fu occupato dalla pala dell' Assunta di Corrado Giaquinto, successivamente trasferita nell’ 'attuale cattedrale di Molfetta nel cappellone dedicato. Trattando del presbiterio è interessante ricordare un ciborio a baldacchino deI XV secolo. Benché depositato per molto tempo nell' atrio del Santuario della Madonna dei Martiri e, in seguito, in quello del Seminario Regionale, è ipotizzabile una sua collocazione sul piano del presbiterio dell' antica cattedrale. Essendo certa la sua data di costruzione, testimoniata da una delle quattro iscrizioni sugli architravi, appare impensabile una sua diversa destinazione, considerate le piccole proporzioni interne delle altre chiese dell'epoca. Grazie ai non pochi sacrifici del parroco, don Ignazio Pansini, e al mirabile restauro sul manufatto, il ciborio ha ritrovato, dopo anni di abbandono, il suo antico splendore ed oggi campeggia maestoso nella più vecchia delle cappelle del Duomo, quella dedicata a S. Maria della Neve. Le quattro iscrizioni sugli architravi, secondo la traduzione di alcuni studiosi locali, dovrebbero recitare nel seguente modo: Il comite Giovanni Trapasso di Molfetta - questo fece fare per il reverendissimo signore vescovo - allo stesso anno donò al Signore - 1429, giorno 4 agosto". Anche se non esiste alcuna documentazione a riguardo, è possibile ritenere che il ciborio trovasse originariamente posto al centro del transetto, esattamente nella zona riservata oggi al nuovo altare, sulla cui base è collocato un antico altorilievo meglio conosciuto come "del Redentore", in cui è raffigurato Cristo benedicente, seduto sotto un 'arcata trilobata poggiante su due colonnine disuguali provviste di capitelli e ai cui lati, in sommità, giacciono due angeli incensatori. Questo altorilievo è ricordato come elemento ornamentale addossato ad un muro perimetrale interno della chiesa. Sulla sinistra del presbiterio, usato come leggio, campeggia il fusto dell'antica acquasantiera a calice, una volta addossata ad un pilastro della chiesa, di cui purtroppo si è perduta la ricca vasca, secondo quanto dichiarato dallo studioso d'arte Vincenzo M. Valente. La zona del presbiterio doveva essere in origine più alta e delimitata da un pluteo, lunga lastra di pietra riccamente scolpita ad altorilievo. Fortunatamente si conserva nella cappella di S. Maria della Neve una considerevole traccia del pluteo. Gli attuali resti ritraggono 13 figure umane, raffiguranti presumibilmente i partecipanti ad un concilio, indetto da papa Urbano II e tenutosi a Bari il 1° ottobre 1098 (A. Fontana - M.S. La Chiesa vecchia di Molfetta). Prima di lasciare definitivamente il presbiterio, è giusto ricordare un coro di legno fatto edificare da monsignor Andrea della Rocca (1433-1472), vescovo di Molfetta nel secolo XV, e collocato presumibilmente ai lati del transetto, i cui resti sono attualmente depositati presso il museo diocesano.
LE CAPPELLE
Sui lati interni della chiesa, altre arcate sfondano i muri, offrendo libero accesso alle cappelle, oggi adibite ad uso religioso dell'intera comunità. A partire dal muro di destra, accanto all'ingresso secondario, trova posto la più antica delle cappelle, quella dedicata a S. Maria della Neve, in cui risaltano la bella volta a crociera e i peducci che sorreggono i relativi costoloni. Sul muro destro, in alto, è sistemata un 'originale finestra con transenna in pietra che richiama motivi arabeschi. Come si è detto, la cappella ospita attualmente il ciborio del Trapasso. Esternamente, la cappella si confonde con l'abitato circostante ad eccezione del suo muro orientale, situato in Corte S. Corrado. Al centro del muro è ben visibile una finestra rientrante, sovrastata da una serie di archetti trilobati, su cui poggia un delizioso intreccio di rami con foglie di acanto, a sua volta sormontato da una cornice con motivo a palmetta. Accanto, è situata la cappella di S. Michele Arcangelo, oggi adibita al culto di S. Lucia. Conosciuta anche con i nomi di S. Maria degli Angeli e Corpus Cristi, ha una pianta diversa dalle altre, quasi romboidale. La cupola è semisferica e poggia su pennacchi. L'ingresso di questa cappella, ad arco a tutto sesto, mette in rilievo due paraste dalla probabile funzione ornamentale. Sul suo muro centrale risaltano due statue: la "Fortezza " e la "Giustizia". Sul muro laterale sinistro, invece, è sistemata una lapide commemorativa. Esternamente, non è possibile individuarla in quanto si confonde totalmente con l' abitato circostante. Esattamente di fronte è situata la cappella dedicata a S. Caterina da Alessandria. Anche in questo caso, come per S. Maria della Neve, l'ingresso è ad arco ogivale. Di rilievo è la grande vasca del battistero, sulla cui circonferenza un' iscrizione in lingua latina così recita: "Qualunque cosa derivata dall'antica origine, la purgheranno queste acque, se soltanto credi in esse ". Anche in questo caso la volta della cappella è rappresentata da una cupola semisferica poggiante su pennacchi. Eretta intorno al 1405, trova nella struttura della mole esterna una vera e propria fortificazione. A vederla somiglia ad una torre difensiva a protezione del lato nord-ovest della chiesa. In questo caso è l'abside a mettere in risalto la sua vera funzione. Accanto alla cappella di S. Caterina è situata quella dedicata a S. Giuliano (1418), secondo la tradizione primo patrono di Molfetta. L'ingresso offre un arco a sesto ribassato. La volta è a botte acuta. La cappella annoverava tra i suoi arredi un busto settecentesco di S. Corrado scolpito a tecnica mista, tuttora presente nella chiesa. Esternamente, ha l'aspetto di una chiesetta. La bella facciata absidale è corredata da una finestra circolare su cui domina una serie di archetti raccolti a forma geometrica che si fissa su una cuspide ben delineata. Oltre a queste quattro importanti cappelle, ne esistono due minori. I loro ingressi sono situati ai margini del muro interno della facciata principale. Quella sulla destra era un tempo dedicata al SS. Salvatore e a S. Maria della Carità, mentre l'altra era intitolata a S. Antonio da Padova. L'interno, proprio perché in stato di abbandono, non riveste particolare importanza. La mancanza di copertura ha notevolmente contribuito alla nascita nelle cappelle di vegetazione spontanea. In esse sono sparse qua e là lapidi e frammenti di sculture. Esternamente addossate alla facciata principale sembrano due bastioni messi a guardia del Duomo. Quattro sottili pilastri collocati agli angoli di ogni cappella mettono in risalto antiche coperture protette a loro volta da una crociera gotica.
LA SAGRESTIA
Il locale adibito a sacrestia, sebbene riservato alle esigenze della parrocchia, riveste una particolare importanza sia per la volta a crociera gotica che per essere stato ricavato da tre antichi corpi di fabbrica di cui sono stati, probabilmente, demoliti nel tempo i muri intermedi. Anche in questo locale si possono scorgere elementi architettonici di particolare suggestione artistica tra cui una piccola transenna ed un'antica edicola.
I PIANI SUPERIORI
La sacrestia dà l' accesso ai piani superiori. Varcato un ingresso, grazie ad alcuni gradini, ci si immette in un corridoio a ridosso dell' abside.Percorsi i tre quarti dell'intero corridoio, si arriva ad una scala a chiocciola, nascosta in un piccolo vano sulla sinistra, considerata a buon diritto il più antico manufatto della chiesa. E' sufficiente salire la scala per un terzo di tratto per immettersi in un'area più grande a livello di due finestre. Quella che dà sulla facciata absidale e l'altra a livello della grande scultura di Cristo Redentore, da cui si può godere la bellezza dell'intera aula, dei sontuosi pilastri, del presbiterio e della cupola orientale. Affacciandosi sul muro absidale che dà sulla strada, si ha la possibilità di scrutare l' esterno grazie al mascherone che fa da doccione. Le estremità del piano sono occupate dai due vani delle torri a livello del primo piano. Continuando per la scala a chiocciola, si arriva ad una porticina che dà su un piccolo terrazzo di forma rettangolare a livello delle cupole. Trovandosi esso sulla parte orientale, si è praticamente a livello della cupola a tamburo quadro. Una volta sul piccolo tetto, si arriva facilmente a toccare con mano le chiancarelle della cupola orientale c ad osservare in maniera dettagliata il profilo delle due cupole ottagonali. Grazie a due scale di legno si arriva sul punto più alto della torre campanaria, praticamente gemella della torre di avvistamento. Si dice che, originariamente, queste scale dovevano essere interamente di corda. La visita al Duomo di Molfetta termina qui. Attraverso i suoi antichi arredi si è cercato di raccontare la sua storia durata quasi mille anni. Il maggior augurio è che il buon senso dei visitatori dia modo all'antica cattedrale di conservare la sua precaria stabilità e la sua armonia ancora per molto tempo.
Da “Visita al Duomo”, a cura di Corrado Natalicchio; Inserto accluso al numero di luglio 1999 de “L’altra Molfetta”
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