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Opera di Pasquina Chiatti

(Diritti d’autore riservati all’autrice - vietata qualsiasi riproduzione)

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- La prima pagina del racconto -

 

 

SUONANO ALLA PORTA

 

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Suonano alla porta.

Chi può essere? Chi potrebbe mai essere? Chi viene a cercare me.

Suonano nuovamente alla porta.

Ci sono. Sarà un esattore, avrò dimenticato qualche bolletta. Ma no, un esattore alle otto di sera é impro­babile. Forse mi sono sbagliato e non sta suonando nessuno. Ecco, sì, non sta suonando nessuno.

Suonano per la terza volta alla porta

Uno scocciatore, un fottutissimo scocciatore che ha sbagliato piano. Ora ricordo é successo una volta an­che l'anno scorso; non mi ci alzo neanche.

Suonano importunamente.

Adesso vado e gliene dico quattro.... Calma, potrebbe esserci un telegramma dall'editore, magari gli é gar­bato qualcosa, figuria­moci quel fottutissimo… pub­blica robetta che fa personaggio, meglio se televisivo. E mica i telegrammi li recapitano a tutte le ore. Che sia la portiera. Qualcuno mi avrà cercato al telefono. Certamente. Dopo la mancia che sgancio, inutilmente, per una cortesia rimasta dell’ipotesi.

Bussano animosamente.

L’ipotesi è da scartare.

Magari é uno che vende libri. Non compro niente! Guarda cosa si deve sopportare: quali libertà si prende il commercio. Io me ne sto tanto bene e que­sto “qualcuno” viene a scocciarmi sul più bello, tra me e la penna.

Suonano.

Bussano.

Suonano.

Si avvia alla porta.

Se poi è un castrato di testimone di Geova… non hanno altro da fare che disturbare nel modo più subdolo: pre­sentarsi alla porta di un povero cristo, ma che dico di un ricco prosaico come me. Io stavo lavorando e non ho tempo né voglia di menarmelo per l’aria con voi al­tri.

Guarda la soglia chiusa, E’ indiscusso che dal­l’al­tra parte c’è qualcuno. Ne sente il respiro di at­tesa. Non é certamente la porti­naia in naftalina.

Niente catenacci, solo una mandata di chiave lo separa dalla carne, dalla volontà, dall’anima -ammesso che l’abbia- di un colui in posizione di do­minio.  Avvicinato il naso alla porta, palpata l’aria con gesti ampi, fiuta.

Tu sai chi sei e sai anche chi sono io, mentre io so solo di me. Chiunque tu sia, stramaledetto ladro, il tuo scampanare ha conge­lato l’idea giuntami vitale e non ancora concretizzata su carta. Nel momento più sba­gliato dovevi sventolare fracasso nell’aria come pulvi­scolo velenoso, rompendo l’incanto dell’idea ar­rivata con giorni d’attesa. Seppure svanissi ora, in questo istante, subito, sa­rebbe già troppo tardi, lo scongela­mento non me ne restituirebbe la linfa, essa cederà al­l’acqua la sostanza nel deliquio; eh? che ne dici? Ti rende pago di sufficiente intromissione?

Da sotto lo zoccolo gli arriva uno spiffero d’a­ria fresca del cortile e un propagarsi di luce. Sulla destra il suo cappotto nero sta appeso alla lignea fi­gura di gobbo virile, realizzata un tempo dall’amico G, morto di eccessi.

Picchiano.

E se non aprissi?  Ma non ha intenzione di recedere è chiaro. Apro, chi é lo vedremo. Lo liquiderò con due parole. Anzi non gli dirò quasi niente, così capirà che se ne deve andare subito. Gli lascerò giusto il tempo di dire quello che vuole, poi, chi sia sia lo mando via e torno al mio lavoro.... ora che avevo centrato il pro­blema.

Apro!

Due scarpe di donna inabissate sul pianerottolo lo puntano, sono rivolte a lui. Ci stanno dentro un paio di gambe. Un décolleté testa di moro, tacchi lar­ghi, ca­viglie scavate.

Deve  alzare gli occhi. E’ necessario. Si rende indi­spensabile che ne incontri la faccia, non può igno­rarla, ormai le ha aperto, purtroppo, è stramale­detta­mente d’obbligo che si sottoponga alla violenza, e  ne deduce irriso che quell’idea vitale per il ro­manzo, sorta e ri­masta embrione, si congelerà del tutto, per svanire sem­pre più l’eventualità di riac­ciuffarla dal labirinto delle distrazioni. Avendo dis­serrato l’in­gresso si è messo a sua disposizione, si è reso di do­minio pubblico, sottomesso, ma ora deve sapere cosa vuole da lui.

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pasquina.chiatti@tiscali.it

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