Pasquina Chiatti                    indietro.

Il Giardino dell'abbandono

A.Mondatori Editore 

copertina
© 1995 – Mondatori

Dopo il suo viaggio a Parigi, Claudine, la bella figlia del conte Vagelen, non è più la stessa: l'adolescente ingenua ha lasciato il posto a una donna innamorata, persa nel ricordo di un giovane rivoluzionario di cui ignora persino il nome.

Ma il sogno di Claudine è senza speranza: il suo destino è stato deciso molti anni prima da un uomo senza scrupoli, disposto a tutto per averla.

Disperata, la fanciulla si oppone con tutte le sue forze all'infelicità che la attende con l'aiuto di un generoso, insospettabile alleato.

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 La posta del cuore.

                       

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Opera di Pasquina Chiatti

(Diritti d’autore riservati all’autrice - vietata qualsiasi riproduzione)

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Il Giardino dell'abbandono

 

Non c’é travestimento che possa alla lunga nascondere l’amore dov’è, né fingerlo dove non è.(La Rochefoucauld)

 

Parte Prima

1

Nelle campagne intorno a Dreux, una cittadina di provincia a qualche ora di carrozza da Parigi, viveva la famiglia Vegalen, in una proprietà formata da campi fertili, vigneti e boschi che si stendevano fino oltre alla collina che si vedeva all’orizzonte.

Ferdinand Vegalen, Annette e il figlioletto Pierre abitavano una villa di tre piani, illuminata dal sole, ai margini del latifondo. Il giardino era delineato e decorato da siepi di alloro, parallele, ben curate e potate in forma geometrica che delineavano i vialetti del parco. Uno di essi si spingeva fino in fondo al giardino, dove un ruscello sembrava, con il suo mormorio, inneggiare alla bellezza della natura: esso era bordato di alti pioppi, e al di là del suo corso iniziavano,le terre arate della tenuta. E un'altra siepe di allori fiancheggiava la larga strada d’ingresso dal cancello alla casa. A Dreux la chiamavano "La Villa degli Allori".

Il vino che producevano quei dolci colli era molto apprezzato dai palati più raffinati. Persino Luigi XVIII, assaggiatolo su consiglio dell’amico Conte Durange, pur avendo assaporato il delizioso bianco di Verona durante l’esilio, non volle più altro vino a tavola che quello della produzione Vegalen, che giudicava la migliore. Il fatto aveva dato un certo lustro alla famiglia e alla piccola tenuta.

I possedimenti del ricco proprietario terriero Conte Jean-Paul Durange, un elegante uomo di affari, cinquantenne, di bella presenza, confinavano con quelli della famiglia Vegalen. Egli viveva nell’antico castello rinascimentale dei suoi avi, dominato da quattro torri merlate. Vi si accedeva dalla strada pubblica, attraverso un lussureggiante viale di abeti secolari lungo cinque miglia. Il conte possedeva inoltre una pregiata collezione di quadri, iniziata dal bisnonno, che era stato nominato sovrintendente alle opere artistiche sotto il reggente Luigi XIV. Da allora la collezione si era via via incrementata di lasciti e doni dovuti a onorificenze, ma anche di acquisti ai quali suoi avi avevano fatto in nome dell’amore per l’arte. Al contrario dei suoi antenati il conte non possedeva inclinazioni artistiche. Ciononostante uno strano giorno egli aveva deciso di riordinare e catalogare il cumulo di opere che per anni aveva lasciato marcire in cantina. Diceva di volerne ornare una galleria in un’ala inutilizzata del castello. Parlava di invitare ospiti per ammirarla non appena i lavori fossero compiuti. Diceva inoltre che avrebbe speso il necessario per rimettere a posto i danni causati dai topi e dalla muffa. Il conte era in buona amicizia con i Vegalen, che non appartenevano al suo rango, e frequentava spesso la casa e si considerava di famiglia. Desiderava affidare il delicato compito di dirigere i lavori per la galleria ad Annette Vegalen, che era una appassionata estimatrice di arte.

Nella villa Vegalen c’era aria di attesa. Il barboncino Giscard, solitamente vivacissimo, se ne stava accoccolato davanti alla porta chiusa della camera da letto della padrona in attesa di una passeggiata che non arrivava da giorni. Il privilegiato micio Ozio, invece, dormiva acciambellato sulle morbide coperte ai piedi del letto, miagolando ogni tanto per reclamare l’attenzione della signora che si affrettava ad accarezzarlo.

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