Il
Giardino dell'abbandono A.Mondatori
Editore |
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Opera
di Pasquina Chiatti
(Diritti dautore riservati
allautrice - vietata qualsiasi riproduzione)
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Non cé travestimento che possa
alla lunga nascondere lamore dovè, né fingerlo dove non è.
Parte Prima
1
Nelle campagne intorno a Dreux, una
cittadina di provincia a qualche ora di carrozza da Parigi, viveva la famiglia Vegalen, in
una proprietà formata da campi fertili, vigneti e boschi che si stendevano fino oltre
alla collina che si vedeva allorizzonte.
Ferdinand Vegalen, Annette e il
figlioletto Pierre abitavano una villa di tre piani, illuminata dal sole, ai margini del
latifondo. Il giardino era delineato e decorato da siepi di alloro, parallele, ben curate
e potate in forma geometrica che delineavano i vialetti del parco. Uno di essi si spingeva
fino in fondo al giardino, dove un ruscello sembrava, con il suo mormorio, inneggiare alla
bellezza della natura: esso era bordato di alti pioppi, e al di là del suo corso
iniziavano,le terre arate della tenuta. E un'altra siepe di allori fiancheggiava la larga
strada dingresso dal cancello alla casa. A Dreux la chiamavano "La Villa degli
Allori".
Il vino che producevano quei dolci
colli era molto apprezzato dai palati più raffinati. Persino Luigi XVIII, assaggiatolo su
consiglio dellamico Conte Durange, pur avendo assaporato il delizioso bianco di
Verona durante lesilio, non volle più altro vino a tavola che quello della
produzione Vegalen, che giudicava la migliore. Il fatto aveva dato un certo lustro alla
famiglia e alla piccola tenuta.
I possedimenti del ricco proprietario
terriero Conte Jean-Paul Durange, un elegante uomo di affari, cinquantenne, di bella
presenza, confinavano con quelli della famiglia Vegalen. Egli viveva nellantico
castello rinascimentale dei suoi avi, dominato da quattro torri merlate. Vi si accedeva
dalla strada pubblica, attraverso un lussureggiante viale di abeti secolari lungo cinque
miglia. Il conte possedeva inoltre una pregiata collezione di quadri, iniziata dal
bisnonno, che era stato nominato sovrintendente alle opere artistiche sotto il reggente
Luigi XIV. Da allora la collezione si era via via incrementata di lasciti e doni dovuti a
onorificenze, ma anche di acquisti ai quali suoi avi avevano fatto in nome dellamore
per larte. Al contrario dei suoi antenati il conte non possedeva inclinazioni
artistiche. Ciononostante uno strano giorno egli aveva deciso di riordinare e catalogare
il cumulo di opere che per anni aveva lasciato marcire in cantina. Diceva di volerne
ornare una galleria in unala inutilizzata del castello. Parlava di invitare ospiti
per ammirarla non appena i lavori fossero compiuti. Diceva inoltre che avrebbe speso il
necessario per rimettere a posto i danni causati dai topi e dalla muffa. Il conte era in
buona amicizia con i Vegalen, che non appartenevano al suo rango, e frequentava spesso la
casa e si considerava di famiglia. Desiderava affidare il delicato compito di dirigere i
lavori per la galleria ad Annette Vegalen, che era una appassionata estimatrice di arte.
Nella villa Vegalen cera aria
di attesa. Il barboncino Giscard, solitamente vivacissimo, se ne stava accoccolato davanti
alla porta chiusa della camera da letto della padrona in attesa di una passeggiata che non
arrivava da giorni. Il privilegiato micio Ozio, invece, dormiva acciambellato sulle
morbide coperte ai piedi del letto, miagolando ogni tanto per reclamare lattenzione
della signora che si affrettava ad accarezzarlo.
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