Cosa NON va nell'Accordo di Programma

PREMESSA

Da semplici Cittadini, non competenti tecnicamente né amministrativamente, già leggendo le premesse dell'Accordo di Programma, due cose ci sono balzate agli occhi facendoci sentire puzza di bruciato (e in questo, dopo tanti anni di siderurgia, ci sentiamo davvero competenti):

  1. se veramente doveva sparire la siderurgia a caldo, come mai i valori delle polveri e delle altre emissioni (SO2, Nox, CO, IPA e Benzene) erano ancora così alti?
  2. Come erano possibili tali valori in assenza di un processo di fusione e con impianti destinati soltanto ad appiattire delle lamiere?

  3. come mai venivano citati a piè sospinto termini quali "consolidamento", "sviluppo impiantistico", "contesto produttivo internazionale", "occupare una posizione stabile"?

Ma il PTC non prevedeva un superamento della siderurgia?

Non è che ci aspettava un futuro peggiore del presente?

Poi scoprivamo che il PTC era stato opportunamente modificato, assolutamente non in linea con la Legge di risanamento n. 426/98 e non a favore dei residenti, e che il PIANO di MIGLIORAMENTO della QUALITÀ dell'ARIA veniva addirittura abolito!

Tutto il resto è storia, ma vediamo nel dettaglio cosa non ci piace di questo Accordo, che noi riteniamo una resa incondizionata alle pretese di un imprenditore, la "Caporetto" della città.

Fini Ambientali, Fini Occupazionali, Fini Economici, Fini Politici, Conclusioni

FINI AMBIENTALI

La Legge citata "prevede l'attuazione di un piano di risanamento ambientale dell'area industriale e portuale di Genova", "Io sviluppo di attività produttive compatibili con la normativa di tutela ambientale e diverse dal ciclo produttivo siderurgico della laminazione a caldo" e "la chiusura delle lavorazioni siderurgiche a caldo".

Ed è la legge che determina parte del finanziamento dell'operazione.

L'Accordo al punto d) della premessa 7 cita "la corretta applicazione della legge" e poi, di fatto, lascia la porta aperta ad un Impianto fusorio quale il Forno Elettrico.

Noi pensiamo che tutti i bizantinismi di questo mondo ("da quanti gradi un impianto è da considerarsi a caldo", o "è a caldo solo in presenza di fiamme libere") non possano dare giustificazione legale ad una forzatura interpretativa tale da considerare "non caldo" un impianto fusorio che, oltretutto, necessita a valle di un laminatoio a caldo.

Ricordiamo anche che l'ILVA percepì aiuti pubblici nel 1984 per la dismissione di un laminatoio a caldo, tant'è vero che deve rispettare (e qualcuno verifica se li rispetta?) limiti alla produzione, limiti che scadranno il 31/02/2001.

La Regione Liguria aveva approvato nel 1991 il "Piano di Miglioramento della Qualità dell'Aria", per migliorare progressivamente le condizioni di vita nell'ambito della città.

Tale Piano prevedeva, in funzione del superamento della Siderurgia a caldo, parametri ambientali rigorosi, per portare la Delegazione allo stesso livello di vivibilità del resto della città e, soprattutto, non consentiva azioni di consolidamento dell'area fusoria.

L'Accordo ha determinato l'approvazione in Regione di uno stralcio della delegazione di Cornigliano da questo Piano: di fatto noi siamo considerati "cittadini di serie B", la cui salute non è da tenere nella stessa considerazione degli altri Cittadini italiani, da sacrificare in nome dell'interesse di un singolo soggetto (Riva) o dell'incapacità di certi amministratori di trovare soluzioni alternative.

I nuovi limiti introdotti elevano di circa 400 volte i livelli delle polveri totali, di circa 30 volte i livelli di ossidi di azoto e di anidride solforosa e raddoppiano il valore del Benzene (noto cancerogeno). Vedasi a questo proposito la tabella con il raffronto fra i diversi valori previsti.

Il PTC, approvato dalla Regione Liguria nel 1992, con riferimento all'area di Cornigliano ha previsto come obiettivo fondamentale e strategico la riconversione dell'industria di base e pesante ad elevato impatto ambientale verso attività manifatturiere e di servizi, vincolando dette aree a questo scopo. A seguito di questo vincolo inoltre, la produzione industriale avrebbe dovuto sottostare alle comuni regole sull'inquinamento acustico.

Anche questo scoglio al consolidamento della siderurgia e alla riconversione dall'attuale ciclo integrato a quello, realizzato mediante Forno Elettrico è stato superato con una nuova votazione che abolisce i precedenti vincoli.

E Cornigliano, invece dei 45 dB notturni e 55 dB diurni, come previsto dal Decreto Ronchi per le aree prevalentemente residenziali ), si ritrova con 65 dB costanti.

Anche ammesso che i temuti nuovi impianti di Riva rispettassero i limiti imposti (e qui, se non si trattasse di problemi di salute, partirebbe una sonora risata da parte di tutti gli Abitanti che in tutti questi anni hanno sentito quotidianamente la fola dei limiti imposti dalle Pubbliche Amministrazioni), non si è tenuto conto che Cornigliano ha altri grossi problemi ambientali: via Cornigliano è praticamente l'unica arteria atta a congiungere il Ponente con il Centro cittadino, ed è una delle vie più inquinate d'Italia (fonte Legambiente), e Cornigliano è la delegazione in cui è situato l'aeroporto cittadino.

Quindi gli alti tassi di emissioni, specie in fatto di IPA e Benzene, concesse al Gruppo Riva, sommati al traffico veicolare e allo scarico degli aerei sotto lo sforzo del decollo, come influiranno sulla salute dei Cittadini?

E a quali limiti di decibel in fatto di rumore si potrebbe arrivare con le componenti: Acciaierie, traffico veicolare e aeroporto?

Come esposto nei precedenti punti, la nuova normativa introdotta con questo Accordo ridurrebbe, non in maniera sostanziale, l'inquinamento atmosferico, ma aumenterebbe l'inquinamento acustico e, cosa ben più grave, introdurrebbe nuovi fattori di rischio:

  • Rischio da emissioni

Trattando rottame ferroso il pericolo di carichi contaminati da materiale radioattivo è nell'ordine dell'1% sul totale dei carichi (fonte Legambiente e Noe, dati del 1999).

Inoltre nell'Accordo è prevista una produzione concorrenziale a bassi costi e non riferita ad acciai speciali e di qualità: a queste condizioni, dato il basso prezzo delle produzioni provenienti dal terzo mondo (o meglio dal resto del terzo mondo, perché Genova vuole essere inserita di diritto in questo contesto) è gioco forza utilizzare rottame di bassa qualità, quello a maggiore rischio di contaminazione radioattiva.

Vedasi la pagina con le ipotesi sul Forno Elettrico, quella sul traffico di rottame contaminato radioattivamente e quella sugli incidenti da Forno Elettrico.

La Regione Liguria non dispone di ordinanze attuative della Legge 230/95 (art. 137 sulla protezione di cittadini e lavoratori dalle radiazioni ionizzanti), la cui adozione, come avvenuto per la Regione Lombardia e per l'Autorità Portuale di Venezia, attenuerebbe il rischio. Resta il problema della qualità e dell'intensità dei controlli. Se guardiamo il passato, il panorama è ben triste.

  • Rischio da onde elettromagnetiche

Sono ben note le polemiche riguardanti il pericolo derivante da onde elettromagnetiche prodotte dai telefoni cellulari: nell'Accordo non si prende nemmeno in considerazione quello causato da un forno elettrico capace di produrre 2,4 milioni di tonnellate di acciaio all'anno, che per funzionare produce un arco voltaico della durata di circa mezz'ora e di una potenza tale da fondere l’acciaio.

  • Centrale elettrica

In sede di dibattito consigliare in Comune, tra le altre cose è stata ventilata la possibilità che avrebbe Riva, a seguito della liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica, di produrre in proprio l'energia necessaria al funzionamento del costruendo Forno Elettrico.

Questo gli porterebbe risparmi in termini di costi rispetto ad approvvigionamenti che fanno capo a centrali elettriche poste a grandi distanze, tanto più che egli già possiede una piccola centrale interna a scopo di produzione di emergenza.

Comunque le sorti di Cornigliano non cambierebbero davvero, in quanto verrebbero sostituiti un altoforno con uno o due forni elettrici di potenza doppia ed una cokeria con una centrale a carbone: davvero un risanamento ambientale.

La presenza stessa dell'impianto determina inevitabilmente un aggravarsi dell'inquinamento da traffico veicolare: con una parziale diversa utilizzazione dell'area si potrebbe trovare lo spazio per una viabilità alternativa.

L'Accordo di Programma è inconcludente anche sotto questo aspetto: ci sono le premesse per una strada alternativa a Via Cornigliano, ma di fatto le aree non sono definite nel dettaglio e, soprattutto, non c'è nessun impegno da parte del Gruppo Riva a rilasciarle.

Oltre a ciò, non è nemmeno chiaro se questa ipotetica strada dovrebbe servire al traffico cittadino o sarebbe soltanto una strada di snellimento del traffico portuale: in questo ultimo caso si tratterebbe dell'ennesimo tentativo di scaricare su Cornigliano il traffico pesante che oggi gravita sul varco di S.Benigno e su Sampierdarena.

La presunzione che la V.I.A. sia positiva è così radicata che:

Riva ha già costruito alcuni impianti senza chiedere i relativi permessi, solo perché "previsti dall'Accordo";

gli Enti Locali non hanno mai cercato alternative al Forno Elettrico per tutelare l'attuale occupazione.

Come Associazione chiediamo invece una valutazione più ampia, che non si limiti ad aridi e limitativi dati tecnici, ma che tenga conto dei fattori sociali, economici e politici, in particolare:

  • del costo sociale (danni alla salute, danni economici e perdita di valore delle abitazioni, perdita di avviamento delle attività commerciali del quartiere);
  • del rapporto fra aree occupate e manodopera impiegata;
  • dei capitali investiti dall'Impresa rispetto ai benefici derivanti alla città;
  • del confronto con dati derivanti da scenari di attività alternative;
  • dei costi futuri di bonifica per le aree date in concessione.

 

FINI OCCUPAZIONALI

La Legge in oggetto prevede che "i successivi strumenti attuativi devono altresì prevedere la tutela dei livelli occupazionali e il reimpiego della manodopera occupata al 14 luglio1998", mentre sull'Accordo (Art. 13) si fa riferimento al "personale iscritto a libro matricola alla data di sottoscrizione dell'Accordo".

Nel frattempo, in questi due anni di differenza, Riva senza colpo ferire ha snellito il suo personale, e l'occupazione genovese ha perso tutti i posti di lavoro corrispondenti ai pensionamenti, ai trasferimenti ad altri stabilimenti o ottenuti spostando divisioni in altra sede: stimati complessivamente in circa 400 unità.

Il Gruppo Riva ha il vincolo, sempre il base all'Art.13 dell'Accordo, di non effettuare licenziamenti o trasferimenti per soli 36 mesi. Successivamente, anche se gli sono state praticamente consegnate le chiavi della città per i prossimi 50 anni, potrà fare come sempre ciò che vorrà e le Pubbliche Amministrazioni non avranno alcuno strumento coercitivo.

Tutte le riconversioni industriali della nostra epoca si basano sull'automazione dei cicli produttivi, e questa, che di fatto è una riconversione industriale (nonostante il diverso titolo che i politici coinvolti ne possano dare), non seguirà percorsi diversi.

La produzione concorrenziale di paesi emergenti non può che spingere il Gruppo Riva verso una riduzione di personale.

Fra risparmi dovuti a diversa interpretazione della legge 426/98 e Accordo (circa 400 unità), 350 prepensionamenti previsti dall'Accordo, 150 unità in mobilità presso la Ponente Sviluppo (per cui non è previsto il rientro in ILVA), si arriva ad ottenere circa 2000 occupati ripartiti su 170 ettari. Una media di circa 11,7 occupati ad ettaro contro i circa 100 occupati ad ettaro presenti nella zona di Sestri Ponente, dove sono presenti aziende di elettronica, telecomunicazioni, biomedicale e informatica; contro i 114 occupati per ettaro della zona di Campi e contro i ………… occupati per ettaro che mediamente sono presenti in zone dove è prevista una attività di "Distripark".

Visto l'alto tasso di disoccupazione che contraddistingue la nostra Regione, accomunandola alle infelici regioni del sud-Italia, sarebbe stato auspicabile che questo accordo fosse una occasione per promuovere nuovi posti di lavoro, oltre che per tutelare gli esistenti (che sono circa 2000 e non 2800),.

Non ci si può arroccare a difendere alla meno peggio quello che abbiamo, ma occorre avere il coraggio di ricercare qualcosa di nuovo.

Come già esposto precedentemente, Riva, modificando opportunamente il dettato della legge 426, ha ridotto il suo organico di circa 400 addetti.

Nell'agosto 2000, in contrasto con l'Accordo di Programma, ha deciso il trasferimento del reparto commerciale a Milano, privando Genova di altri 30 posti.

Con l'Accordo si libera di:

  • 150 operai trasferiti alla Ponente Sviluppo per la bonifica che non ritorneranno in fabbrica;
  • 350 operai accompagnati alla pensione.
  • Per 36 mesi 600 operai verranno impiegati nel progetto sperimentale degli Enti Locali.

Quindi, a conti fatti, Riva grazie all'Accordo sembra ottenere una riduzione di personale di circa 1000 addetti: altri mille posti persi per la città.

Riva dichiara che nella fase di transizione dall'attuale ciclo a caldo alle nuove attività produttive necessita di 36 mesi di cassa integrazione per 1100 dipendenti. Al contempo però esige la contestualità fra chiusura dell'altoforno e avvio del forno elettrico, anzi ultimamente ha chiesto di poter tenere in funzione entrambi gli impianti per un certo periodo di tempo.

Non essendoci interruzione del ciclo produttivo, ci chiediamo come possa essere giustificata la sua richiesta di cassa integrazione.

 

FINI ECONOMICI

Quanto vale realmente sul libero mercato l'area oggi destinata alla Siderurgia a Cornigliano?

1.400 lire all'anno al metro quadro sono un prezzo credibile?

Sfruttando opportunamente il fattore equivoco sulle concessioni, vedasi nostra pagina, facendo leva sull'impatto ambientale di uno stabilimento all'interno di un contesto urbano, forzando la mano su proposte alternative, quanto avrebbe potuto strappare all'imprenditore una Amministrazione realmente capace e attenta alla cosa pubblica per un'area fra le più appetibili del bacino del mediterraneo?

Nell'Accordo non si fa cenno alla destinazione d'uso degli Impianti del ciclo a Caldo ancora utilizzabili (acciaieria OBM) che, se rivenduti a paesi del terzo mondo, possono portare un discreto utile a Riva di cui sembra non si sia tenuto conto nella valutazione economica dell'intera operazione.

Né si menziona quale sarà la destinazione, il prezzo di vendita e il destinatario del ricavo di tutto il rottame, ed è veramente tanto, ricavato dalla demolizione degli attuali Impianti a caldo. Anche questo non avrebbe dovuto essere oggetto di contrattazione nell'Accordo?

Con l'Accordo viene vincolata per 50 anni l'unica area utilizzabile a fini industriali e marittimi del territorio genovese, in un'epoca in cui i vincoli ambientali rendono praticamente impossibili nuovi riempimenti a mare e sbancamenti sulle colline, in cui l'economia si evolve e modifica il "core business" nel giro di pochi anni, in una Regione priva di spazi in cui si deve tendere ad attività con dimensione spaziale ridotta.

Tutto questo a vantaggio della siderurgia, di una attività vecchia e a basso valore aggiunto, che movimenta masse enormi su aree gigantesche con un piccolo margine di valore aggiunto per quantità di prodotto, con poca necessità di manovalanza.

La Legge 426/98 prevede che "l'Autorità portuale di Genova è incaricata di realizzare programmi di razionalizzazione e valorizzazione delle aree che rientrano nella sua disponibilità a seguito della cessazione del rapporto di concessione derivante dalla chiusura delle lavorazioni siderurgiche a caldo".

A noi risulta che la parte a caldo occupa attualmente circa 783.000 metri quadri, mentre l'Accordo prevede la restituzione di 329.000 metri quadri.

Nel nostro calcolo mancano 45 ettari, ma nessuno vuole spiegarci dove sono finiti.

Riva lascia le aree, che sono a detta di tecnici le più inquinate di tutto lo stabilimento, consegnandole "con i fondi costituenti residuo aventi uno spessore non superiore a 0,50 metri rispetto alla lastricatura dei parchi stessi", ovvero in linguaggio non politichese con 50 cm. di "rumenta": spetterà alla Regione Liguria pulire e bonificare il tutto.

A pagare come sempre sarà la Collettività, ed essendo le più inquinate il conto sarà salato.

Quindi il semplice Cittadino paga per tutte le proprie esigenze quotidiane (tassa smaltimento rifiuti, tassa smaltimento acque bianche e nere, carbon tax e quant'altro), mentre Riva può sfruttare un'area, per di più a fine di lucro, e poi restituirla, indisturbato ospite, lasciando il conto ai Cittadini che per tanti anni lo hanno subito.

Anzi, si è pure tutelato (art. 18 punto 6): se durante le operazioni di bonifica la Regione avesse bisogno ad es. di acqua, dovrebbe pagargliela.

L'Accordo di Programma condona tutti "i canoni nella misura attualmente corrisposta" e supera "i procedimenti contenziosi per la determinazione dei canoni"(Art. 4 punti 6 e 8).

Il Cittadino si chiede se ci siano pendenze arretrate, canoni non aggiornati, eventualmente a quanto ammontino e perché anche questi debbano essere oggetto di regalia.

La valorizzazione dell'area di circa 29 ettari restituita da Riva per attività portuali non si concretizzerà in quanto l'area è interamente racchiusa nello stabilimento ILVA, non ha attualmente accesso né alle banchine né a strade né a ferrovia.

Quale Imprenditore si ficcherebbe in una tale "cul de sac"? Anche in questo caso perderemmo migliori possibilità di sviluppo.

Inoltre dette aree saranno disponibili solamente dopo lunghe procedure di bonifica, perché sono le più inquinate per la presenza degli Impianti peggiori sotto il punto di vista ambientale: cokeria, altoforno, e parco minerali.

 

Con l’attuazione dell’Accordo di Programma si determinano i danni di cui appresso, che ricadono direttamente sulla sfera individuale (danni al patrimonio, alla salute, alla produzione di reddito) e sulla più ampia sfera economico - ambientale - sociale della città e territori contigui.

Danni Individuali:

  • un danno di 150.000.000 (centocinquanta milioni) di lire circa per nucleo familiare per mancato adeguamento del valore della proprietà immobiliare: permanenza del prezzo attuale di circa 1,5 milioni per mq contro 3 milioni per mq. nel caso di smantellamento di tutte le attività siderurgiche, rapportato alla superficie media di circa 100 mq. per alloggio;
  • un danno similare per chi possiede un negozio nel quartiere con superficie di 70 - 80 mq., cui si aggiunge il danno della mancata crescita del fatturato: circa il 50% per il proseguire del fenomeno di insediamento di cittadini a basso reddito nei quartieri più inquinati della città;

Danni Sociali

  • perdita di un differenziale di 17.500 posti di lavoro nelle attività "pulite" derivante da: 20.000 posti di lavoro diretti e indotti nella alternativa di uso a DistriPark del territorio demaniale contro 2500 tra diretti e indotti prodotti dall'Accordo (2000 tra "caldo e freddo" e 500 nei servizi ai trasporti sui 30 ettari riconsegnati da Riva alla città).
    Il danno per l'economia e la società cittadina è enorme, sia in termini di sostenibilità sociale da disoccupazione giovanile, sia per il rilevante danno alle finanze pubbliche: circa 42.500 miliardi di lire di stipendi, contributi e tasse perduti nel cinquantennio di effetti dell'Accordo.
  • Aumento delle Patologie derivanti da inquinamento: malattie pneumologiche, malattie derivanti dall'esposizione a Benzene e Benzo(a)pirene, malattie dovute a inquinamento acustico. Tali patologie, tra l'altro, si riflettono in maggiori e mai quantificati costi per la Sanità Pubblica e perdite economiche derivanti dal fenomeno dell’assenteismo dai luoghi di lavoro.

Come affermato da Riva nell'intervista del 6/11/2000, le Acciaierie di Cornigliano non sono soggette a limiti di produzione in quanto non beneficiano di "aiuti di stato".

Secondo la nozione comunitaria, per "aiuti di Stato" si intende non solo la sovvenzione diretta alle aziende ma, più generalmente, ogni intervento che in qualsiasi forma alleggerisca gli oneri che normalmente gravano sull’esercizio dell’impresa.

È, quindi, una definizione molto ampia, che comprende tutti gli aiuti, diretti e indiretti, dello Stato (e degli organismi direttamente o indirettamente controllati) ad alcuni imprenditori a svantaggio di altri.

Un canone basso previsto per le aree, una bonifica a spese dei contribuenti, una sanatoria con abbuono di vecchi canoni sulle aree, una cassa integrazione non giustificata visto che di fatto si è arrivati alla contestualità fra vecchi e nuovi impianti, un prepensionamento finalizzato ad un superamento ed un risanamento ambientale che di fatto si è tramutato in una riconversione industriale: tutti aspetti che la Comunità Europea potrebbe giudicare come aiuto all'impresa e contrari alla libera concorrenza.

 

FINI POLITICI

Il primo errore politico è aver stilato un documento con tali contenuti che anche il semplice Cittadino (come noi) può facilmente demolirlo in ogni sua parte.

La legge 426/98 è molto chiara: fissa un obiettivo (il risanamento ambientale e la riqualificazione dell’area), fissa uno strumento per il raggiungimento dell’obiettivo (stipula di un Accordo di Programma) e un vincolo da rispettare nell’iter (vincolo occupazionale per gli attuali lavoratori ILVA ).

L’errore fatto dagli Amministratori sottoscrittori dell’Accordo è stato quello di non aver tenuto conto di questo distinguo fra le parti del testo e di aver sacrificato il vero obiettivo, cioè il risanamento ambientale, per ottenere quello che loro considerano l’obiettivo primario, la salvaguardia occupazionale (senza peraltro di fatto conseguirlo, come abbiamo dimostrato nel paragrafo precedente).

Occorre invece non perdere di vista il vero obiettivo, che dovrebbe essere la linea guida principale dell’intera operazione.

I politici sottoscrittori dell'Accordo, sottoscrivendo simili condizioni, hanno di fatto messo la testa sul ceppo e sono in attesa che, in occasione di crisi congiunturali, economiche o del singolo comparto siderurgico, cada la mannaia del ricatto occupazionale di Riva. Allora non potranno fare altro che concedere ancora, e ancora e….

Molti fattori avrebbero potuto essere usati dalle Istituzioni (l'ambiguo stato delle concessioni, l'impatto ambientale di uno stabilimento all'interno di un contesto urbano, le proposte alternative chiuse nei cassetti, la proprietà delle aree) per trattare con Riva da una posizione di forza ed ottenere un Accordo più equo.

L'Accordo di Programma ha terminato l'iter di valutazione politica nel luglio del 1999; il Piano Industriale di Riva, quale allegato, è stato presentato a fine novembre dello stesso anno.

Quindi il voto di Provincia, Comune e Regione è stato un atto di fede nei confronti dell'imprenditore: di fatto hanno approvato un qualcosa che avrebbe vincolato la città per 50 anni, ma "non sapevano" cosa.

A fronte di un impegno di concessione valido 50 anni, non c'è da parte dell'imprenditore alcun piano a lungo termine: gli impegni arrivano a 36 mesi, poi il nulla.

Se la siderurgia entrasse in crisi, come si tutela l'occupazione, cosa succede alle aree?

Il destino e lo sviluppo di Genova nei prossimi 50 anni sono lasciati in balia del fato e di Riva.

Stendiamo un velo pietoso sulla presenza o meno del Forno Elettrico nell'Accordo di Programma, che ha riempito intere pagine dei quotidiani locali per svariati mesi: per la tanta decantata trasparenza della Pubblica Amministrazione, come mai dopo un anno e mezzo le Istituzioni sono ancora a chiedersi cosa c'è nell'Accordo?

Altrettanto drammatico l'arroccamento dietro l'unica giustificazione che hanno saputo trovare: non c'erano alternative.

Cosa erano allora le proposte giacenti nei loro cassetti? ("Il Giornale" 11/06/2000 - "Il Secolo XIX" 09/05/2000)

Sempre in tema di trasparenza, le alternative avrebbero dovuto essere trovate comunque, da utilizzare nel caso di V.I.A. negativa, o si era sicuri a priori che sarebbe stata positiva, e allora questo è ancora più preoccupante.

L'Accordo di programma secondo noi ha portato alla luce un basso profilo della politica, che non solo non è stata in grado di fare scelte coraggiose e innovative, ma ha mostrato anche molti limiti nel tentativo di convincere la gente, reagendo spesso con superiorità anziché con argomenti convincenti alle domande e alle proteste della popolazione.

Altro aspetto negativo è stato il frequente tentativo di contrapporre i Cittadini agli Operai, con l'evidente scopo di scatenare una guerra fra poveri.

 

CONCLUSIONE

Che l'Accordo fosse un pasticcio è dimostrato, oltre che da tutti i motivi suddetti (di non scarsa rilevanza), dal fatto che gli stessi sottoscrittori hanno impiegato ad oggi già 11 mesi, facendo dei veri virtuosismi sul filo del "c'è ma non c'è", per discutere cosa contenesse, quali fossero i tempi e la metodologia indicati, per poi vederselo praticamente fallire al primo tentativo di porlo in attuazione.

In conclusione, volevano guadagnarsi il consenso dei Cittadini di Cornigliano offrendo loro un giardinetto e la promessa di una strada (solo una promessa da quegli stessi politici che avevano garantito anche il superamento della siderurgia), in cambio di malattie e disagio sociale ed economico per le prossime due generazioni.

E se questa carota non piace ai Cittadini, c'è sempre il bastone dei "disordini sociali".

 


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