LA FAMIGLIA E IL PAZIENTE ANSIOSO

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Perché è importante il ruolo la famiglia nella gestione del paziente con Disturbo di Panico?
Il paziente che sperimenta l’improvvisa insorgenza di attacchi di panico si trova a dover affrontare un problema che non conosce e che per sua stessa natura appare un grave problema medico. Conseguentemente agli attacchi di panico spontanei il paziente può sviluppare delle condotte di evitamento, cioè evitamento di situazioni reputate come “pericolose”, in cui pensa di avere un maggior rischio di sperimentare di nuovo l’attacco stesso. L’ansia e la paura che assalgono il paziente allorché si ritrova in queste situazioni “a rischio” spesso lo costringono a un continuo slalom tra un pericolo e l’altro, rinunciando a una svariata quantità di attività tra cui spostamenti (potrebbe sopraggiungere la paura di viaggiare, sia per lavoro che per vacanza) e divertimenti. Di esempi se ne potrebbero fare molti e anche se l’esperienza di ogni persona che ha avuto a che fare con il disturbo di panico è diversa, si può trovare un denominatore comune in questa problematica. Questo fattore comune è una limitazione della libertà che coinvolge sia il paziente sia chi gli vive accanto. Non sono rari i casi in cui la tendenza all’evitamento si spinge fino al punto di impedire al soggetto con disturbo di panico di badare a se stesso, e ai propri bisogni fino all’estrema incapacità di uscire di casa. Proprio questo quadro variegato e eterogeneo rende ragione di un’adeguata formazione dei familiari: parenti e amici del soggetto devono essere in grado di affrontare assieme al paziente il timore del ripetersi delle crisi e di fornire un appoggio sia al paziente che al medico curante con l’obiettivo di un miglior successo terapeutico.

Che problemi ha il paziente nei rapporti familiari?
La famiglia è un sistema di relazioni sia interne che aperte al mondo esterno: scuola, ambiente di lavoro, etc.. Ogni membro della famiglia è quindi fulcro di scambi comunicativi di vario genere. La stretta interdipendenza di ogni membro della famiglia si mette in evidenza soprattutto nel caso di disordini di salute. In questo caso, relazioni di aiuto vengono poste in atto. Nel caso di sisturbi del comportamento o mentali, tuttavia, dopo una prima fase in cuivanamente viene ricercata la natura organica dei sintomi, si instaurano modalità di relazione basate talvolta sull'eccessiva protezione (per esempiuo nei casi in cui venga attribuita l'etichetta di "malato psichico") o colpevolizzazione (per esempio nei casi in cui si ritenga che non avere un problema internistico significhi non avere problemi e quindi crearseli sulla base di una debolezza di carattere). Tipicamente questi tipi di relazione non aiutano il paziente se non in modo aspecifico. Il paziente con disturbo di panico si sente inadeguato e spesso avverte gli “altri” come esageratamente forti e oppressivi. E’ comprensibile che questo squilibrio e questa disistima portino a difficoltà nei rapporti interpersonali, che quindi raramente si sviluppano in modo equilibrato. La famiglia del paziente con attacchi di panico viene spesso coinvolta nella terapia. L'atteggiamento più giusto nei confronti del paziente è il chiedersi in che modo ogni singolo membro della famiglia possa aiutarlo.
Non esiste una formula "salvifica" per tutti. Ogni famiglia rappresenta un caso a sè, con i propri stili comunicativi, i propri disordini relazionali incentrati più o meno sul sintomo. I consigli che si possono dare ai familiari del soggetto con panico sono quindi di ordine generale. Fondamentale è comunque l'approccio al problema in ambito specialistico, per permettere al terapeuta di inquadrare il "sintomo panico" in una complessità di concause.

Cosa fare e non fare
Come già suggerito in precedenza non ci sono delle regole generali che possano essere utili per tutte le famiglie. Questi che riporteremo in seguito sono perciò delle indicazioni di massima, da discutere caso per caso. In generale, non si dovrà colpevolizzare il paziente se ci si rende conto che il sintomo persiste senza miglioramenti. Si possono
riconoscere e sottolineare i piccoli miglioramenti del paziente.
E’ meglio aspettare che sia il soggetto con panico a chiedere aiuto. La comprensione e la capacità di ascolto sono doti fondamentali per chi convive o vuole stare al fianco di un paziente che soffre di attacchi di panico.
Famiglia e soggetto con panico dovrebbero cooperare e convincersi che rivolgersi a un esperto del settore non significa essere "pazzi". Spesso la figura dello specialista è vista in modo denigratorio e con molti pregiudizi per cui recarsi dallo psichiatra è spesso recepito come un segno di grave insanità mentale.
Importante è che il paziente, spesso restio, visiti uno specialista in tempi brevi dopo il primo attacco, quando ancora non si sono presentate le condotte di evitamento. Utile potrebbe essere parlare con persone che hanno avuto lo stesso problema, o leggere riviste sull'argomento (anche siti internet gestiti da pazienti) che focalizzano l’importanza di un corretto inquadramento del problema. Ogni famiglia deve riflettere in modo specifico sulle proprie difficoltà, sulle proprie relazioni, approfondendo lo studio delle dinamiche sottese ai comportamenti del soggetto. Ogni paziente con panico dovrebbe quindi essere visto come parte di un ampio sistema. Anche dal riassetto dell'equilibrio nel sistema di appartenenza dipenderà la salute del soggetto.


a cura della Dr.ssa G.Vanni e del Dr. G.Migliarese

 

 

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