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Al centro del bacino occidentale del Mediterraneo, l’Isola della Sardegna rappresenta, per caratteristiche ambientali, un fenomeno peculiare: gli elementi geologici, paleontologici e mineralogici, le rarità biologiche e gli endemismi, i popolamenti forestali e le zone umide, i paesaggi naturali spettacolari nella morfologia delle coste e dei rilievi interni, le cavità sotterranee e i reperti archeologici ne fanno, per varietà e rilevanza, un piccolo ma intero continente.

Tuttavia, fra tali caratteristiche, sono le emergenze geominerarie quelle che hanno più intensamente scandito la storia sociale e culturale dell’Isola, individuata quale luogo di ambite e strategiche risorse naturali che, per varietà di minerali e consistenza dei giacimenti, hanno attirato l’interesse dei popoli mediterranei, dai tempi più remoti fino agli anni più recenti.

La vocazione mineraria della Sardegna si manifesta nella ricchezza in miniere sparse su tutta la superficie dell’Isola, di diverso valore produttivo, scientifico, culturale, ma tutte indispensabili per comprendere lo straordinario evolversi degli avvenimenti che, in più di 8.000 anni di ininterrotte vicende, hanno segnato la storia dell’utilizzazione del territorio da parte dell’uomo.

La storia di tale utilizzazione si intreccia con l’evoluzione culturale dell’uomo mediterraneo, dai primi tentativi di servirsi di strumenti litici ricavati da selci e ossidiane, alla produzione dei metalli per le prime manifestazioni artistiche, al successivo sfruttamento intensivo delle risorse minerarie che hanno contribuito allo sviluppo della rivoluzione industriale europea.

L’attività mineraria della Sardegna ha coinvolto in primo luogo le comunità umane che si sono succedute nello sfruttamento delle risorse del sottosuolo; le tracce di questa industria sono ben visibili nel territorio che ha subito quelle profonde modificazioni che lo caratterizzano attualmente; le stesse vicende storiche dell’Isola ne sono state influenzate.

Le opportunità offerte da queste risorse e le spinte economiche, sociali e culturali, esterne ed interne al territorio dell’Isola, hanno portato nel tempo al determinarsi di assetti territoriali e sociali, tuttora leggibili in gran parte nelle aree minerarie.

 

I lineamenti del paesaggio naturale sono visibilmente segnati dalla cultura materiale, dalle organizzazioni sociali e dagli insediamenti sorti intorno alle attività minerarie, che hanno generato nuove ed originali forme di paesaggio e di ambiente sociale e culturale, tali da caratterizzare intere aree con una precisa identità di valore universale, unica e rappresentativa dell’intera regione geo-culturale mediterranea.

Dall’evoluzione degli assetti territoriali e delle comunità succedutesi nel tempo, è derivato un contesto particolarissimo, in cui forme suggestive ed evocative del duro lavoro dell’uomo negli scavi di superficie e nelle cavità delle miniere risultano immerse in un ambiente che ha miracolosamente conservato molti dei suoi valori, aggiungendo nuove valenze al paesaggio culturale.

L’analisi di questi aspetti può essere affrontata considerando il complesso mondo minerario della Sardegna suddiviso nelle sue grandi componenti: la regione emblematicamente più importante, il Sulcis – Iglesiente – Guspinese da un lato, e, dall’altro tutta la rete di siti e aree minerarie, disseminate nell’Isola, minori per produttività e concentrazione, ma spesso di fondamentale importanza per peculiarità scientifiche e per i particolari avvenimenti di cui sono state teatro nel corso dei secoli.

Tenendo conto di tutti questi valori, la Regione Autonoma della Sardegna, intende promuovere, con il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti, primi fra tutti gli Enti Locali interessati, la costituzione del Parco Geominerario della Sardegna che comprenda non solo i distretti minerari più rilevanti, ma anche le strutture minerarie più significative situate in altre aree dell’Isola. Tra questi, particolare significato storico assumono alcuni siti del Monte Arci in Provincia di Oristano, nei quali ha avuto origine (circa 6.000 anni a.C., Neolitico antico), l’estrazione dell’ossidiana; l’area di Orani e Sarule in Provincia di Nuoro, nella quale sono state estratte le steatiti (circa 3.000 anni a.C., Neolitico recente); l’area di Funtana Raminosa, dalla quale è stato estratto (circa 1.200 anni a.C., età nuragica) il rame, utilizzato nella metallurgia per la produzione dei bronzetti; l’area della Gallura dove sono stati estratti e lavorati i graniti in età romana; le aree dell’Argentiera in Provincia di Sassari, di Guzzurra – Sos Enattos in Provincia di Nuoro, del Sarrabus Gerrei e del Sulcis-Iglesiente-Guspinese in Provincia di Cagliari, nelle quali si è sviluppata, con alterne vicende, un’intensa attività estrattiva a partire da circa 600 anni a.C. e fino all’era industriale, per la produzione di argento, piombo, zinco, stagno, rame, ferro, carbone, fluorite e barite.

Delle aree della Sardegna, il Sulcis - Iglesiente – Guspinese rappresenta quella emblematica per eccellenza per la concentrazione delle mineralizzazioni, la varietà delle rocce incassanti, la completezza della serie geologica (dal Paleozoico Inferiore al Quaternario), la produttività delle miniere, la successione degli avvenimenti storici che l’hanno interessata e la pressoché ininterrotta continuità di sfruttamento delle sue risorse. E’ una peculiarità che rende quest’area unica nell’intero contesto mediterraneo.

In questo quadro vanno considerate le vicende delle comunità succedutesi nel corso dei secoli in Sardegna, le cui testimonianze costellano l’Isola e si concentrano dove più cospicue erano le ricchezze minerarie e più numerosi gli scali e i ripari che potevano favorire fenomeni di insediamento, dando luogo a momenti di integrazione con le comunità locali e spesso di sovrapposizione alle stesse, fino alla costituzione di una etnia che costituisce una sintesi forse senza precedenti nel Mediterraneo.

Il senso storico della regione, invece, si riferisce alle vicende che, attraverso tappe fondamentali, hanno portato ad una fase importante della storia mineraria della Sardegna: il momento attuale nel quale, conclusosi il ciclo economico che le ha attivate, hanno termine le coltivazioni minerarie metallifere, o almeno la quasi totalità delle più tradizionali di esse. E’ l’inizio della presa di coscienza di tutta la vicenda mineraria della Sardegna, del suo significato, dell’esigenza di ricerca, difesa e valorizzazione delle sue testimonianze, per poterne utilizzare i valori a fini sociali, culturali ed economici.

In questo territorio, un tempo ricco di molte risorse, la chiusura dell’attività di miniera lascia un’eredità non solo di infrastrutture, macchine, fabbricati, nel contesto di paesaggi spesso spettacolari, documenti ed archivi di indiscusso pregio, nonché di valori umani e capacità professionali, che costituiscono le radici di un’identità culturale di più generazioni, da rispettare, salvaguardare e trasmettere.

In sintesi, il momento attuale segna la transizione da una fase di sfruttamento del territorio durata quasi 8.000 anni, alla gestione dello stesso, per pianificarne l’uso a vantaggio delle generazioni a venire, attraverso il miglior utilizzo delle risorse naturali, storiche ed artistiche, e la ricerca e la sperimentazione di nuovi modelli di sviluppo economico, affinché non vada perduta una cultura plurimillenaria ed una professionalità di grande valore.

In questo quadro si inscrivono i progetti di formazione tecnica, di ricerca e di alta specializzazione, anche di portata internazionale, attualmente in corso di elaborazione. In tale prospettiva, e più in generale, si pone l’esigenza prioritaria di un progetto complessivo di salvaguardia e valorizzazione delle diverse aree minerarie, fondato sulle testimonianze scientifiche, tecnologiche, storiche e socio-culturali del lavoro minerario in Sardegna e i cui obiettivi tendano alla loro tutela ed alla creazione di nuove opportunità di sviluppo per le comunità che si identificano con tale patrimonio, ne sono eredi e tuttora parte integrante.

Le aree minerarie divenute economicamente marginali a seguito della cessazione dell’attività estrattiva devono poter trovare nel Progetto del Parco l’opportunità di costruire localmente nuove e diverse occasioni di progresso civile ed economico, attraverso il migliore utilizzo delle loro risorse naturali storiche ed artistiche.

D’altro canto, il circuito che si intende creare con l’istituzione del Parco Geominerario delle Sardegna deve essere in grado di collegare le aree costiere con le zone interne dell’Isola, storicamente penalizzate dalla loro condizione di isolamento, in un piano omogeneo di sviluppo che nella valorizzazione delle proprie risorse storico-culturali legate alla comune tradizione mineraria deve rappresentare un’occasione per il riscatto economico e sociale delle aree più svantaggiate.

Gli stessi scopi erano stati già espressi con le prime proposte avanzate dall’Associazione per il Parco Geominerario Storico Ambientale dell’Iglesiente, costituitasi nel 1992 ed avente per scopo statutario la valorizzazione non solo del patrimonio culturale dell’Iglesiente, ma anche di quello naturale, tanto valido e noto da essere in gran parte individuato come suscettibile di tutela ambientale anche nella legislazione regionale in materia di aree protette.

In un momento di transizione per la storia mineraria della Sardegna, che vede la cessazione delle attività estrattive tradizionali e lo sviluppo in altre aree di nuove realtà minerarie, la Regione Autonoma della Sardegna, attraverso l’Ente Minerario Sardo (EMSA), propone la costituzione di un Parco Geominerario della Sardegna quale strumento di valorizzazione culturale ed economica delle diverse aree minerarie dismesse dell’Isola che hanno segnato la storia estrattiva dell’intera Sardegna, nel contesto più generale del bacino del Mediterraneo.

Tale processo dovrà vedere il concorso ed il coinvolgimento, oltre che degli Enti locali, di tutti quei soggetti, non solo istituzionali, che nelle vicende minerarie hanno svolto storicamente un ruolo di primo piano nell’ambito delle istanze sociali, economiche, scientifiche e culturali.

In verità, il problema della riconversione delle aree minerarie non è nuovo in Sardegna: negli ultimi tempi, la normativa in materia di recupero dei siti, la necessità di provvedere ad interventi immediati, ed anche il diffondersi della cultura ambientale, hanno determinato l’avvio di alcune importanti azioni di risanamento e riqualificazione dei siti minerari e la predisposizione di numerosi progetti, orientati per lo più ad una destinazione museale-espositiva e turistica delle strutture recuperate.

Tuttavia, a fronte di un patrimonio culturale e naturale di così particolare pregio e di grande potenzialità, qualora riconosciuto sul piano internazionale, la normativa nazionale e regionale, superando le attuali sovrapposizioni e carenze, dovrà contenere linee di programmazione e impegni finanziari, capaci di consentire la pianificazione e la gestione di un nuovo assetto economico per l’intero territorio, identificato e definito in base alle caratteristiche ed ai valori specifici di ogni singola area.

Gli obiettivi immediati del Progetto vanno quindi individuati nel riconoscimento da parte dell’UNESCO del valore collettivo ed universale delle aree minerarie della Sardegna, ed al tempo stesso nella programmazione di interventi di carattere comunitario, nazionale e regionale in grado di affrontare la pianificazione e la gestione del territorio individuato. In questa prospettiva, l’interessamento, il riconoscimento e la successiva costante collaborazione dell’UNESCO rivestono un’utilità tutta particolare e sono indispensabili per la riuscita del Progetto.

La Sardegna costituisce una delle "regioni" geologicamente più complete dell’area Europea e Circummediterranea. In essa vi sono rappresentate sequenze sedimentarie, vulcaniche, metamorfiche ed intrusive di diversi cicli geologici, ascrivibili ad un’età compresa tra il Paleozoico e il Quaternario

La sua storia geologica fa parte quindi di quella dell’Europa occidentale e si differenzia fortemente da quella della penisola italiana.

Il basamento geologico della Sardegna è costituito da formazioni paleozoiche ripartite in tre areali principali assai differenti per estensione.

Il maggiore di questi comprende tutta la metà orientale dell’Isola, da Capo Falcone a Capo Carbonara e gli altri due interessano il Sulcis-Iglesiente e la Nurra. Le aree restanti, il Campidano, il Marghine-Planargia, il Logudoro e il Sassarese sono coperte da sedimenti e da terreni eruttivi di età più recente.

Il Paleozoico basale è rappresentato dal Cambriano, i cui sedimenti formano attualmente l’ossatura dei rilievi del Sulcis-Iglesiente e in parte del Gerrei. I depositi cambriani sono costituiti prevalentemente da alternanze di arenarie, calcari e scisti, in gran parte fossiliferi, in cui hanno sede i principali giacimenti minerari della Sardegna.

La fauna fossile raccolta nei sedimenti cambriani è composta, prevalentemente, da Archeociatidi e Trilobiti (Giordanella sp., e Sardoredliclia sp., Dolerolenus sp. Enantiaspis sp., etc.). Nei sedimenti calcarei sono ovunque presenti resti di Archeociatidi, Spugne silicee e strutture stromatolitiche con resti algali di vario tipo.

I sedimenti cambriani sono stati corrugati e dislocati dall’orogenesi Caledoniana, che ne ha provocato l’emersione dal mare e, di conseguenza, l’erosione con parziale smantellamento e risedimentazione nell’Ordoviciano e nel Siluriano. Estese formazioni siluriane e devoniane sono ampiamente rappresentate nei diversi settori del basamento paleozoico sardo.

I livelli fossiliferi dell’Ordoviciano sono rappresentati da Brachiopodi, Briozoi, Cistoidi, Crinoidi, Gasteropodi, Trilobiti, Tentaculiti, Conularidi, mentre il Siluriano è prevalentemente rappresentato da numerosi generi di

Graptoliti, che si intercalano nella parte più alta della successione a Cefalopodi, Lamellibranchi, Crinoidi, Ostracodi e Conodonti.

Verso la fine del Paleozoico, nel Carbonifero medio, si verifica un nuovo ciclo orogenetico, l’orogenesi Ercinica, che provoca l’intensa deformazione della successione paleozoica ora descritta. In questa circostanza hanno luogo imponenti manifestazioni magmatiche sia effusive che intrusive. Queste ultime porteranno alla messa in posto dei graniti della Sardegna centro-orientale, della Gallura e del Sulcis, che oggi affiorano per circa un terzo dell’intero territorio sardo.

Nel corso di quest’orogenesi, i sedimenti nei quali si sono iniettati i graniti hanno subito anche un metamorfismo di grado crescente da sud a nord. Sono di questo tipo, ad esempio, le rocce cristalline che costituiscono il complesso montuoso di maggiore altitudine dell’isola, il Gennargentu, sito nella Sardegna centro-orientale.

La tormentata conclusione del Paleozoico è marcata da un periodo di intensa erosione, che conduce al progressivo spianamento della Catena Ercinica (peneplanazione). Ad esso segue un lungo periodo di calma relativa, il Mesozoico, durante il quale il mare invade le terre emerse e si ritira più volte. In questa fase, durante il Giurassico e il Cretaceo, si depongono i calcari che attualmente formano i rilievi del Supramonte, del Monte Albo, del Sarcidano, la falesia di Capo Caccia di Alghero e le formazioni tabulari di Tonara, Desulo e Seui che prendono il nome di "Tacchi" e "Tonneri".

La fauna che caratterizza il Mesozoico è costituita da Lamellibranchi (Triassico medio) e da una relativa abbondanza di Conodonti. Negli orizzonti superiori, formati da marne e calcari marnosi, il contenuto paleontologico è costituito da Foraminiferi, Cefalopodi, Lamellibranchi, Brachiopodi, Crinoidi ed alghe. Nel Giurassico, i sedimenti contengono Ammoniti, Echinodermi, Brachiopodi e microfaune a Lagenidae.

Alla fine del Mesozoico, tutti i terreni della Sardegna riemergono, anche se per un breve periodo, per essere nuovamente invasi dal mare all’inizio del Terziario. Sono infatti eoceniche le deposizioni in ambiente lagunare che nel Sulcis si associano a banchi di carbone intercalati a strati di calcari e marne (Bacino Lignitifero).

Durante l’Oligocene la Sardegna subisce i contraccolpi dell’attività orogenetica che porterà alla nascita delle Alpi, degli Appennini e delle montagne dell’Atlante.

Le forze che si scaricano sul massiccio sardo ne causano lo smembramento in diverse zolle separate da profonde fratture, la più grande delle quali è la grande fossa tettonica che corre dal Golfo dell’Asinara fino al Golfo di Cagliari, il cosiddetto "Rift sardo", corrispondente ad uno dei rami più orientali del sistema di rift che interessa in quello stesso periodo tutto il Mediterraneo occidentale. All’apertura del "Rift sardo" si associa un’intensa attività endogena che si manifesta attraverso un esteso magmatismo che colmerà in parte la fossa con grandiose emissioni vulcaniche in un arco di tempo compreso tra 28 e 15 milioni di anni..

Contemporaneamente alle eruzioni, il mare invade la fossa tettonica e nel Miocene hanno inizio le sedimentazioni marnoso-arenacee che, in seguito, hanno dato origine ai terreni della fascia di territorio che oggi comprende la Trexenta, la Marmilla, parte dell’Arborea, del Logudoro e il Sassarese.

La fauna fossile del Cenozoico (Eocene inferiore) è rappresentata da Macroforaminiferi (Nummulites, Fasciolites, Orbitolites, etc). Il Miocene è caratterizzato da grande abbondanza di microfaune plantoniche e di resti fossili rappresentati da Molluschi, Briozoi, Coralli, Alghe, Echinidi, etc.

Dopo il Miocene, tra 5 e 0,5 milioni di anni, si verifica una seconda attività vulcanica, con emissioni di lave basaltiche che formano il Montiferru, (il più esteso complesso vulcanico della Sardegna), il Monte Arci e le formazioni tabulari degli altipiani di Campeda, di Abbasanta, delle Giare di Gesturi e di Serri. Nel Quaternario, contemporaneamente e successivamente a queste eruzioni, si hanno potenti accumuli alluvionali che colmeranno la Fossa Tettonica del Campidano, generatasi per evoluzione della più antica "Fossa Sarda" (Rift sardo), dando origine all’omonima pianura.

Al Pliocene sono riferibili abbondanti faune con Lamellibranchi, Brachiopodi, Gasteropodi e Otoliti

I depositi del Pleistocene hanno restituito esemplari di Strombus sp., Conus sp., Cardium sp. etc. Negli accumuli eolici di Funtana Morimenta (Gonnesa) sono stati trovati reperti ossei riferiti a Elephas lamarmorae. Nei depositi post-tirreniani costituiti da sabbie eoliche sono stati ritrovati Gasteropodi polmonati e corna di Cervidi.

.In un quadro geologico così eterogeneo come quello descritto, reso ancora più complesso da situazioni tettoniche di varia entità che hanno caratterizzato l’evoluzione della Sardegna dal Paleozoico inferiore ad oggi, si sono sviluppati processi minerogenetici che hanno dato luogo alla concentrazione di metalli e di minerali di interesse industriale in giacimenti di vario tipo, di varia genesi e di varia entità.

Durante la sedimentazione della piattaforma carbonatica cambrica del Sulcis-Iglesiente,. si sono formati, dalla base alla superficie, depositi evaporitici di barite stratiforme (Sulcis), depositi massivi di pirite e blenda (Campo Pisano) e depositi strata bound di galena argentifera e blenda diffusa che hanno dato luogo a giacimenti di notevole rilevanza (Monteponi, S.Giovanni, Masua, ecc.).

Nell’Ordoviciano superiore-Devonico si sono formati vari tipi di depositi strata bound che hanno dato luogo a solfuri misti di rame, zinco, piombo e ferro, contenuti negli "scisti neri" Siluriani (Funtana Raminosa), a mineralizzazioni stratiformi e in frattura ad antimonio e talora wolframio negli "scisti neri", calcari silurico-devonici, e nelle vulcaniti Ordoviciane (Su Suergiu-Villasalto, Corti Rosas); a mineralizzazioni in frattura a solfuri, con barite, fluorite, calcite e quarzo, minerali d’argento che si ritrovano negli "scisti neri" silurici e negli scisti ordoviciani di una serie di giacimenti sfruttati in passato e noti col nome di "filone argentifero del Sarrabus"; a mineralizzazioni stratiformi a ferro oolitico interstratificate negli scisti siluriani nella regione della Nurra (Canaglia).

Gli eventi orogenetici ercinici e le imponenti intrusioni granitiche hanno dato luogo a importanti fenomeni di rimobilizzazione di originari depositi stratiformi o strata bound. e all’attivazione di circuiti idrotermali con deposizione di mineralizzazioni di varo tipo:

mineralizzazioni a talco-clorite formatesi per metamorfosi di originari orizzonti;

mineralizzazioni tipo skarn con magnetite e solfuri originatesi per metamorfismo termico con rimobilizzazione e metasomatismo di originari

depositi strata bound associati ad orizzonti carbonatici cambrici, ordoviciani e silurico-devonici (San Leone, Giaccuru ecc.);

mineralizzazioni pegmatitiche aplitiche (feldspati sodici di Orani-Sarule);

mineralizzazioni tipo greisen formatesi per alterazione idrotermale di rocce granitiche, molibdeno, wolframio e stagno (M.Linas);

mineralizzazioni filoniane idrotermali a blenda, galena argentifera e quarzo, a barite e/o fluorite e subordinatamente con minerali di rame, stagno, molibdeno, wolframio, nichel e cobalto. Ad esempio, i depositi filoniani a Pb, Zn, Ag di Montevecchio-Ingurtosu; il giacimento filoniano a fluorite con galena e subordinata barite di Silius.

Tra il Carbonifero medio ed il Trias, hanno avuto luogo:

depositi antracitiferi interstratificati alle successioni detritiche fluvio-lacustri dei bacini intermontani permo-carboniferi della Sardegna centrale (Seui, Perdasdefogu);

depositi residuali lateritici e depositi alluvionali a ciottoli di quarzo molto puro con intercalazioni di caolino e/o di argille smettiche localizzati alla base delle successioni carbonatiche marine, "tacchi", del Mesozoico della Sardegna centrale (Sarcidano) e centro-orientale (Ogliastra);

mineralizzazioni carsiche a barite, con subordinata galena, blenda e fluorite, nei settori carbonatici peneplanati del Sulcis-Iglesiente (Barega).

La sedimentazione carbonatica instauratasi a partire dal Giurassico viene interrotta nel Cretaceo medio da un’emersione. Durante tale periodo hanno avuto luogo le formazioni di giacimenti di tipo bauxitico della Nurra.

Alla fine del Mesozoico, la Sardegna emerge completamente e nel settore sud-occidentale (Sulcis), all’inizio del Cenozoico, si depositano diversi strati di carbone intercalati in una successione calcareo-marnosa.

Nell’Oligocene medio l’instaurarsi nel Mediterraneo occidentale di un sistema di rift, di cui il bacino oligo-miocenico sardo rappresenta uno dei rami più occidentali, la rotazione antioraria della microplacca sardo-corsa e l’imponente vulcanismo manifestatosi in connessione con essa, sono eventi che hanno prodotto situazioni minerogenetiche di sicuro rilievo.

Si depositano:

mineralizzazioni con solfuri di rame, ferro, molibdeno (Calabona-Alghero, Siliqua);

mineralizzazioni ad ocra e manganese (Isola di S.Pietro, Sardegna Nord-Occidentale);

mineralizzazioni ad oro invisibile associate alle vulcaniti oligo-mioceniche, formatesi in seguito all’attivazione di circuiti idrotermali epitermali, (Furtei, Osilo, etc.);

mineralizzazioni bentonitiche, (Nurra, Sardegna centro Occidentale, Sulcis); potenti livelli di sabbie quarzose-feldspatiche molto pure di ambiente fluvio-deltizio, (Florinas);

mineralizzazioni caolinitiche (Mara, Romana).

Con i processi erosivi manifestatisi durante la fase continentale dal post-Miocene al Quaternario recente, si depositano modeste mineralizzazioni di tipo placers, fluviali o marini, derivate dallo smantellamento meccanico di rocce e di mineralizzazioni preesistenti riconcentrate in livelli preferenziali (mineralizzazioni a stagno della fascia pedemontana del Monte Linas, sabbie costiere ferrifere e titanifere, sedimenti della piattaforma continentale mineralizzati a stagno, etc.).

L’attuale configurazione morfologica della Sardegna ed il suo paesaggio rispecchiano le vicende succedutesi nel corso delle diverse epoche geologiche.

La sua struttura geologica, schematicamente costituita da un basamento paleozoico sia granitico sia scistoso, più o meno metamorfosato, interessato dalle Orogenesi caledonica ed ercinica, e da una copertura vulcanico-sedimentaria post-ercinica, è stata interessata da diversi agenti morfogenetici che hanno contribuito in maniera determinante a definire l’attuale struttura morfologica.

Un aspetto caratteristico del paesaggio isolano è quello determinato dalle forme legate all’idrografia superficiale: le valli incassate sono sicuramente più frequenti di quelle a fondo concavo e piatto e sono impostate prevalentemente lungo le direttrici tettoniche del basamento paleozoico.

Importanti coni di deiezione, per lo più geneticamente legati ai movimenti neo-tettonici e alle variazioni climatiche susseguitesi durante il Pleistocene, sono quelli della zona di Villacidro (sul più importante dei quali sorge l’abitato) e quelli presenti nel settore di Monte Arcosu e del Monte Tuttavista.

L’aspetto paesaggisticamente più rilevante, anche perché estremamente variegato, é quello legato alle forme costiere ed agli ambienti di spiaggia e di retrospiaggia.

Esempi caratteristici di questo tipo di costa si osservano nell’Iglesiente, nel tratto tra Masua-Nebida e Buggerru-Cala Domestica, su rocce calcareo-dolomitiche. Da un punto di vista paleogeografico è interessante notare come nell’Iglesiente, lungo la falesia di Masua e di Nebida, si ritrova una delle linee di costa più antiche d’Europa, riferibile al Cambriano.

Altrettanto caratteristica risulta la costa alta a falesia che si può osservare nella parte occidentale di Capo Caccia, alta circa 200 metri, su rocce calcaree mesozoiche ed impostata su un sistema di faglie.

Nella costa orientale, il Golfo di Orosei è formato da una falesia calcarea che si sviluppa con andamento arcuato dalla Cala di Cartoe fino a Santa Maria

Navarrese. In questo tratto di costa si aprono numerose grotte e sfociano corsi d’acqua sotterranei.

La distribuzione delle coste sabbiose è altrettanto frequente in Sardegna. I lidi sabbiosi più estesi si ritrovano senza dubbio in prossimità degli sbocchi a mare dei corsi d’acqua principali come il Flumendosa, il Coghinas, il Tirso, il Cedrino, ma anche sulle coste esposte a ovest ed a nord-ovest risentendo quindi dell’intensa forza dei venti di ponente e di maestrale. Ed è proprio su queste coste che si ritrovano i più grandi lidi sabbiosi: foce del Coghinas, Badesi, Platamona e Marina di Sorso, Porto Ferro di Alghero, Is Arenas di Narbolia, Capo Pecora-Portixeddu, Funtanamare, Portoscuso, Calasetta.

Sulle coste meridionali e orientali, grande diffusione hanno invece i cordoni litoranei sabbiosi come la spiaggia del Poetto a sud, Costa Rei e Quirra a sud-est, Marina di Barisardo, Arbatax, Marina di Orosei, La Caletta di Siniscola, Budoni e San Teodoro ad est.

Tra le forme più caratteristiche del paesaggio vulcanico sono da annoverare gli espandimenti tabulari, e tra questi, le "giare" rappresentano gli esempi più significativi.

Il paesaggio carsico e le forme ad esso associate costituiscono il risultato dell’azione chimico-fisica dell’acqua sulle rocce carbonatiche che affiorano diffusamente in alcune regioni della Sardegna.

In generale, il paesaggio carsico è caratterizzato da valli molto incassate che si evolvono spesso in profonde forre, come avviene ad esempio per parte del corso del rio Flumineddu-Gorroppu e per le varie "codule" della cornice calcarea del Golfo di Orosei.

Un altro tipico paesaggio sardo è offerto dalle forme residuali, testimoni della intensa azione erosiva.

Non possono esser trascurate, per le modificazioni che hanno determinato sul paesaggio, le forme legate all’intervento e all’azione dell’uomo, tra queste acquistano particolare rilevanza quelle derivanti dall’attività mineraria, con scavi a cielo aperto e accumuli, siano essi di discariche di sterili o di fanghi risultanti dalla lavorazione dei minerali, e quelle derivanti dalle attività industriali.

La ricchezza dei giacimenti minerari della Sardegna è nota da millenni, e le conoscenze archeologiche ci consentono di ricostruire la storia delle sue miniere e delle sue cave.

I giacimenti minerari hanno avuto un’importanza fondamentale per l’economia e per la storia dell’Isola, in quanto l’abbondanza di minerali ha attratto l’interesse di molti popoli del Mediterraneo. Il complesso sistema delle miniere, inoltre, ne ha influenzato fortemente l’organizzazione sociale, specie nell’Ottocento, quando, dopo secoli di pesante immobilismo, ha stimolato la formazione di una cultura industriale e la nascita di nuovi indirizzi.

Oggi, presso le miniere chiuse, i vecchi villaggi ormai abbandonati, spesso inseriti in scenari naturali di incomparabile bellezza, si offrono ai nostri occhi rivelandoci, nell’immaginazione, un mondo un tempo ricco di attività e di fermento, animato da personaggi d’altri tempi, con innovazioni mai viste prima di quel momento: le strade ferrate, la corrente elettrica, i motori a vapore, il telefono e altre ancora, giunte in Sardegna, grazie allo sviluppo dell’industria mineraria, a partire dalla seconda metà del secolo scorso.

Esempi legati all’attività estrattiva sono quelli ben visibili nei bacini minerari del Sulcis-Iglesiente-Guspinese, del Sarrabus-Gerrei, della Gallura, della Nurra, e negli altri bacini minerari del Parco Geominerario della Sardegna.

La Sardegna è una delle terre più antiche d’Europa, frequentata fin dal Paleolitico, ma abitata stabilmente dall’uomo molto tardi, nel Neolitico, verso il 6000 a.C..

Le diverse vicende storiche dell’Isola sono sintetizzate dal Prof. Francesco Cesare Casula in "La storia di Sardegna" che si riporta di seguito per intero.

" I primi uomini che si stanziarono in Gallura e nella Sardegna settentrionale provenivano probabilmente dalla penisola italiana e, in particolare, dall’Etruria. Quelli che popolarono la zona centrale dell’Isola attorno agli stagni di Cabras e di S.Giusta, provenivano – pare – dalla Penisola iberica attraverso le Baleari. Quelli che diedero vita agli insediamenti nel golfo di Cagliari erano verosimilmente africani. Perciò, si può dire che in Sardegna non si ebbe mai un unico popolo ma tanti popoli.

Col tempo, i popoli sardi si uniformarono culturalmente per lingua e costumi ma restarono divisi politicamente in tanti staterelli tribali, talvolta confederati, talvolta in guerra fra loro.

Le tribù vivevano in villaggi fatti di capanne circolari di pietra col tetto di paglia, simili alle attuali pinnette dei pastori.

A cominciare da circa il 1500 a.C. i villaggi vennero costruiti ai piedi di una poderosa fortezza a forma tronco-conica (spesso rinforzata e ampliata con torrioni addossati) chiamata nuraghe.

I confini dei territori tribali erano protetti da piccoli nuraghi d’avvistamento del nemico collocati in punti strategici alti. Oggi si contano in Sardegna circa 7.000 nuraghi.

 

La Storia Antica

Intorno al 1000 a.C. presero a frequentare sempre più spesso le coste sarde i Fenici che, dal Libano, si recavano per commerciare fino alla Britannia ed avevano necessità di approdi per la notte o per ripararsi in caso di maltempo

Col permesso dei capi tribù gli approdi più frequentati furono quelli poi chiamati Caralis, Nora, Bithia, Sulcis, Tharros, Bosa, Torres e Olbia, che ben presto divennero importanti empori e poi vere e proprie cittadine abitate da famiglie fenicie che commerciavano sul mare e con i sardi nuragici dell’interno.

Nel 509 a.C. poiché l’espansione fenicia nell’entroterra si faceva sempre più minacciosa e profonda, i Sardi indigeni attaccarono le città costiere degli stranieri che, per difendersi, chiesero aiuto a Cartagine.

I Cartaginesi, in varie campagne militari, vinsero i Sardi e conquistarono tutta l’Isola tranne la parte montuosa, poi chiamata Barbaria o Barbagia.

Per 271 anni, la splendida civiltà cartaginese o punica venne a confronto con l’affascinante civiltà nuragica indigena.

Nel 238 a. C. i Cartaginesi, sconfitti dai Romani nella prima guerra punica, cedettero la Sardegna che divenne una provincia di Roma.

I Romani ampliarono ed abbellirono le città costiere e penetrarono militarmente anche nella Barbagia facendo terminare la civiltà nuragica.

La dominazione romana in Sardegna durò 694 anni e fu spesso combattuta dai sardi delle montagne che tuttavia adottarono la lingua e la civiltà latine.

 

La storia medioevale

Nel 456 dopo Cristo, quando ormai l’Impero romano era in profonda decadenza, i Vandali d’Africa, al ritorno da una scorreria nel Lazio, occuparono Caralis e le altre città costiere della Sardegna.

Nel 534 i Vandali furono sconfitti a Tricamari – una località distante 30 Km da Cartagine – dalle truppe dell’imperatore d’Oriente Giustiniano e la Sardegna divenne bizantina. L’isola fu divisa in distretti chiamati merèie, governati da uno judex che stava a Caralis (Cagliari) e presidiate da un esercito che stava a Forum Traiani (attuale Fordongianus) al comando di un dux.

Con i Bizantini ed il monachesimo orientale dei basiliani si diffuse nell’Isola il Cristianesimo, tranne che nelle Barbagie dove alla fine del 500 si era ricreato un effimero regno indipendente, con tradizioni religiose e laiche sardo-pagane, di cui Ospitone fu uno dei sovrani.

Dal 640 al 732 gli Arabi occuparono il Nord-Africa, la Spagna e parte della Francia. Nell’827 cominciarono l’occupazione della Sicilia. La Sardegna rimase isolata e dovette autodifendersi, così lo judex provinciae divenne un capo supremo unico, con poteri civili e militari.

A causa delle continue scorrerie e degli attacchi dei Berberi islamizzati alle coste sarde, iniziati nel 710 e diventati sempre più funesti col tempo, i paesi e le città litoranee furono pian piano abbandonati dagli abitanti . Lo judex provinciae, per una migliore difesa dell’Isola, demandò i propri poteri civili e militari ai quattro suoi luogotenenti delle merèie di Cagliari, Torres, Arborea e Gallura, che intorno al 900 si resero indipendenti divenendo essi stessi judices (in judikes =re) del proprio logu o stato.

Ognuno di questi quattro stati sardi chiamati giudicati era un regno sovrano, non patrimoniale ma superindividuale perché non era di proprietà del monarca, e democratico perché tutte le più importanti decisioni nazionali non spettavano al re (o giudice) ma ai rappresentanti del popolo riuniti in parlamento detto corona de logu.

Ciascun regno aveva proprie frontiere incastellate a guardia dei propri interessi politici e commerciali, proprio parlamento, proprie lingue, proprie leggi , proprie cancellerie, propri emblemi e simboli statali, ecc.

Il regno o "giudicato" di Cagliari fu politicamente filogenovese. Terminò nel 1258 quando la sua capitale, S.Igia, fu assalita e distrutta da una coalizione di forze sardo-pisane. Il territorio divenne allora una colonia di Pisa.

Il regno o "giudicato" di Torres fu anch’esso filogenovese e terminò di fatto nel 1259, quando morì la "giudichessa" Adelasia. Il territorio fu diviso fra la famiglia Doria di Genova e la famiglia Bas-Serra d’Arborea, mentre la città di Sassari si costituì in Comune Autonomo.

Il regno o "giudicato" di Gallura terminò di fatto nel 1288, quando l’ultimo "giudice" Nino Visconti, amico di Dante, fu cacciato dai Pisani che occuparono il territorio.

Il regno o "giudicato" d’Arborea fu quasi sempre sotto l’influenza politica e culturale della potente repubblica marinara di Pisa. Durò circa 520 anni, con capitale Oristano.

Nel 1297 il papa Bonifacio VIII per risolvere diplomaticamente la Guerra del Vespro, scoppiata nel 1282 fra Angioini e Aragonesi per il possesso della Sicilia, istituì motu proprio un ipotetico "regnum Sardiniae et Corsicae" e lo infeudò al catalano Giacomo II il Giusto, re della Corona d’Aragona (una confederazione formata dai regni d’Aragona e di Valenza, più i contadi della Catalogna), promettendogli il suo appoggio se avesse voluto conquistare la Sardegna pisana in cambio della Sicilia.

Nel 1323 Giacomo II d’Aragona si alleò con i re d’Arborea e, dopo una campagna militare durata circa un anno, occupò i territori pisani di Cagliari e di Gallura e la città di Sassari, chiamandoli "regno di Sardegna e Corsica".

Nel 1353, per ragioni di sopravvivenza statuale, scoppiò la guerra fra il regno d’Arborea e il regno di "Sardegna e Corsica" appartenente alla corona d’Aragona.

Nel 1354 gli Aragonesi presero Alghero e la fecero diventare una città totalmente catalana, che ancora oggi conserva le proprie origini iberiche.

Nel 1355 Pietro IV d’Aragona, detto il Cerimonioso, concesse al regno di "Sardegna e Corsica" l’autonomia legislativa (Parlamento) alla quale, col tempo, seguirono quella governativa (Vicerè) e quella giudiziale (Reale udienza).

Dal 1365 al 1409 i Re o "Giudici" d’Arborea Mariano IV, Ugone III, Mariano V, (assistito dalla madre Eleonora, famosa giudicessa-reggente) e Guglielmo III (nipote francese di Eleonora) riuscirono ad occupare quasi tutta la Sardegna tranne Castel di Cagliari (attuale Cagliari) e Alghero.

Nel 1409 Martino il Giovane, re di Sicilia ed erede d’Aragona sconfisse i Sardi giudicali a Sanluri e conquistò definitivamente tutta la Sardegna. Subito dopo morì a Cagliari di malaria, senza prole legittima, e la Corona d’Aragona passò nelle mani dei castigliani Trastàmara – e precisamente di Ferdinando I d’Antequera e dei suoi discendenti – col Compromesso di Caspe del 1412.

Storia moderna

Nel 1479, in seguito all’unione personale fra Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia (detti i re Cattolici), sposatisi dieci anni prima, nacque la Corona di Spagna.

Pure il "Regno di Sardegna" (che nelle nuove intitolazioni fu separato dalla Corsica perché quell'isola non fu mai conquistata) diventò spagnolo, col simbolo statuale dei Quattro Mori.

Dopo il fallimento delle imprese militari antimusulmane di Tunisi (1535) e di Algeri (1541), Carlo V di Spagna, per difendere i suoi territori mediterranei dalle scorrerie corsare dei berberi africani, munì le coste sarde di una serie di torri litoranee d’avvistamento.

Il Regno di Sardegna restò iberico per circa quattrocento anni, dal 1323 al 1720, assorbendo molte tradizioni, costumi, espressioni linguistiche e modi di vita spagnoli, oggi rappresentati nelle sfilate folkloristiche di S.Efisio a Cagliari (1 maggio) , della Cavalcata a Sassari (penultima domenica di maggio) e del Redentore a Nuoro (29 agosto).

Nel 1708, a causa della Guerra di Successione spagnola, il governo del Regno di Sardegna passò di fatto nelle mani degli austriaci sbarcati nell’Isola.

Nel 1717 il cardinale Alberoni, ministro di Filippo V di Spagna, rioccupò la Sardegna.

Nel 1718, col trattato di Londra, il Regno di Sardegna venne ceduto ai duchi di Savoia, principi di Piemonte, che lo resero da imperfetto a perfetto attribuendogli la summa potestas, cioè la facoltà di stipulare trattati internazionali.

Il regno si italianizzò.

Nel 1799, a causa delle guerre di Napoleone in Italia, i Savoia lasciarono Torino e si rifugiarono per circa quindici anni a Cagliari.

Nel 1847 i Sardi rinunciarono spontaneamente all’autonomia statuale e si "fusero" col Piemonte per avere un unico parlamento, un’unica magistratura ed un unico governo a Torino.

Nel 1848 iniziarono le guerre d’indipendenza per l’unità d’Italia condotte dai re di Sardegna per tredici anni.

Nel 1861 il regno di Sardegna si trasformò in regno d’Italia e nacque lo stato italiano.

Nel 1946, con referendum popolare, l’Italia divenne Repubblica. La Sardegna – che dal 1948 si amministra con uno statuto speciale – è oggi una delle venti regioni italiane, con 1.628.690 abitanti, divisi nelle provincie di Cagliari, Sassari, Oristano e Nuoro le quali ricalcano, press’a poco, i territori dei quattro antichi e gloriosi stati giudicali. "

parallelamente agli eventi descritti, spesso compenetrandosi con essi, si svolge la "storia delle miniere dell’Isola" che ha inizio con lo sfruttamento degli estesi ammassi di ossidiana, vero oro nero dell’antichità, presenti soprattutto sul Monte Arci di Oristano, che sono stati cavati fin dal V millennio a.C. al fine di ottenere lame, punte di freccia e vari strumenti da taglio.

A metà del III millennio a.C. i Neolitici scoprirono l’uso del rame, utilizzato principalmente per oggetti ornamentali e cultuali, la cui lavorazione diede inizio alla mineralurgia e alla metallurgia in Sardegna.

E’ intorno al II millennio a.C. che comincia ad affacciarsi lo sfruttamento dei minerali di piombo ed argento scavati lungo i filoni superficiali dell’Iglesiente, del Sarrabus e della Nurra, nei cui territori sono state individuate le prime officine fusorie.

L’avvento della civiltà nuragica vede affermato il commercio dei minerali metalliferi e dei suoi prodotti con popoli mediterranei specialmente di provenienza egea e, intorno al 1000 a.C., i nuragici sono già in possesso di solide basi minerarie che consentono loro un intenso e regolare sfruttamento dei filoni metalliferi. In ambito mediterraneo comincia a diffondersi la notizia sulle ricchezze minerarie della Sardegna che attirerà l’interesse di commercianti ed avventurieri, i quali prenderanno a ricercare e sfruttare i depositi metalliferi.

Con l’espandersi dell’influenza punica in tutto il Mediterraneo, la Sardegna entrerà sotto il controllo di Cartagine, prima come approdo commerciale e, successivamente, come vera e propria colonia.

I Punici prendono così a sfruttare intensamente le miniere sarde, e tracce delle escavazioni dell’epoca persisteranno fino alla metà dell’Ottocento, prima di essere eliminate dagli scavi della moderna industria estrattiva.

Nel 238 a.C., con la vittoria di Roma su Cartagine, la Sardegna passa sotto il dominio romano. L’evoluta tecnica minero-metallurgica dei romani verrà applicata alle miniere sarde, che saranno scavate a profondità notevoli da maestranze servili condannate ad metalla. Roma fonderà città minerarie come Plumbea e Metalla e darà corso alla realizzazione di officine fusorie in diverse regioni dell’Isola, ma soprattutto nelle aree metallifere dell’Iglesiente.

Con la caduta dell’Impero romano l’attività mineraria in Sardegna decade e se ne perdono le tracce. E’ nel XII secolo che riaffiorano le testimonianze della ripresa dei lavori minerari in diverse aree dell’Isola.

Il rifiorire dell’attività estrattiva si deve soprattutto al pisano Conte Ugolino della Gherardesca, che di Villa di Chiesa, l’attuale Iglesias, una fiorente città mineraria, anche in potere di battere moneta. Durante la signoria di Ugolino, l’attività estrattiva si sviluppa rapidamente, anche grazie alla ricchezza dei giacimenti. Lo sviluppo di tale attività impone l’adozione di precise norme legislative, che, redatte in lingua pisana originale, sono riunite in un codice noto come "Breve di Villa di Chiesa".

Dopo i tragici avvenimenti che abbattono la signoria di Ugolino, Iglesias e le sue miniere passano, nel 1302, sotto il dominio del Comune di Pisa fino al 1323, data in cui la Sardegna viene conquistata dagli Aragonesi che ricevono l’Isola da papa Bonifacio VIII.

Sedate le ribellioni e vinte le ultime resistenze del giudicato d’Arborea, gli aragonesi danno corso ad una politica di occupazione concedendo in feudo ville e territori.

In quel clima di sopraffazione si isteriliscono i commerci e le attività produttive, specialmente quelle minerarie e le produzioni rimangono limitate a quelle minime quantità di galena destinata ai ceramisti. La politica mineraria spagnola registra un fallimento totale, tanto che solo nel XVII secolo si avverte qualche segnale di ripresa.

Intanto in Europa stanno mutando gli equilibri politici. La Sardegna, in virtù del trattato di Utrecht del 1714, passa sotto il dominio dell’Austria. Dopo sei anni, in seguito al trattato di Londra, nel 1720 la Sardegna viene assegnata al re Vittorio Amedeo IV di Savoia.

Con il passaggio della Sardegna ai Savoia le miniere sono affidate a vari concessionari che si limitano allo sfruttamento dei filoni più ricchi senza, peraltro, conseguire risultati apprezzabili, né ha migliore fortuna la gestione governativa delle miniere sarde.

Nella seconda metà dell’Ottocento, con la costituzione di società soprattutto francesi, belghe e inglesi, attirate dalla ricchezza delle vene piombifere, si fa sempre più massiccia la presenza di capitali stranieri nell’industria mineraria sarda.

Le crescenti produzioni di galena argentifera e, a cominciare dal 1865, anche di calamina, danno grande impulso alla realizzazione di impianti minerari.

E’ questo un periodo di notevole fervore produttivo che porterà allo sviluppò delle grandi miniere di Monteponi e Montevecchio e di numerose altre importanti miniere ubicate in tutta l’isola: San Giovanni, Nebida, Masua, Ingurtosu, l’Argentiera, Guzzurra, Sos Enattos, Baccu Locci, Monte Narba, Su Suergiu, Funtana Raminosa ecc., con la realizzazione di grandi opere minerarie: scavo di pozzi, gallerie, coltivazioni, cui si associano impianti di trattamento, fonderie e costruzione dei vari servizi. In molte miniere inoltre vengono scavate gallerie per favorire lo scolo delle acque, al fine di poter accedere alle porzioni più profonde dei giacimenti.

La Sardegna di fine secolo fornisce all’Italia la maggior parte delle produzioni metallifere, ed in particolare la quasi totalità dei minerali di piombo (98,7%) e di zinco (85%).

Il secolo si chiude con la partecipazione di alcune Società minerarie Sarde all’Esposizione Universale di Parigi, ed il nuovo secolo trova l’industria mineraria sarda poggiante su solide basi, grazie anche agli estesi interventi di meccanizzazione intrapresi ovunque.

L’industria mineraria della prima metà del ‘900 attraverserà alcuni momenti di grande difficoltà, che tuttavia saranno sempre superati, fino allo scoppio della prima guerra mondiale che determinerà la chiusura dei mercati europei verso i quali i minerali, soprattutto di zinco, erano diretti, determinando una drastica riduzione dei lavori minerari.

Alla fine della guerra, le ristabilite condizioni di normalità consentiranno all’industria mineraria sarda un ulteriore sviluppo, sia nel settore delle ricerche sia nella realizzazione di nuovi impianti, tuttavia, la grande crisi del 1929 e degli anni seguenti falcidierà molte piccole miniere, e la produzione dei minerali si ridurrà notevolmente, e solo dopo la fine del conflitto mondiale, si potrà registrare una lenta ripresa dei lavori.

Negli anni Cinquanta le produzioni riprenderanno quota, toccando vertici mai raggiunti prima, grazie anche all’innovazione dei metodi di coltivazione e alla modernizzazione di tutti gli impianti, ma a metà degli anni Cinquanta cominciano a farsi sentire gli effetti della perdita di competitività dell’industria mineraria sarda nei confronti del mercato europeo e internazionale.

Nei primi anni ’60 ha inizio una drastica ristrutturazione delle miniere sarde: diverse società cessano le attività, per giungere alla fine del decennio al definitivo ritiro del capitale privato, che obbligherà lo Stato e la Regione ad intervenire sempre più massicciamente, fino a diventare unici gestori delle miniere.

Nonostante i grandi lavori di ricerca e di ammodernamento del settore minerario, la situazione economica delle miniere andrà sempre peggiorando, sino a giungere quasi ovunque all’epilogo. Di tale mondo minerario restano oggi sul territorio imponenti testimonianze, che occorre salvaguardare per conservare la memoria di una grande cultura industriale ed è necessario valorizzare perché su di esse si sviluppi una nuova economia.

Sebbene la vegetazione della Sardegna sia fondamentalmente mediterranea, essa presenta peculiari caratteristiche, in relazione alla sua privilegiata posizione geografica, che la differenzia sensibilmente da quella delle terre circostanti.

La formazione vegetale indicatrice del climax vegetale della Sardegna è la lecceta. Il leccio (Quercus ilex) per la sua plasticità ecologica costituisce formazioni vegetali che si estendono dal livello del mare sino a circa 1000 m. Lo strato arboreo della lecceta è arricchito da specie quali: Acer monspessulanum, Quercus pubescens, Ilex aquifolium, Taxus baccata.

La maggior parte dei boschi a Quercus ilex è distribuita nelle zone medio montane del Logudoro, del Meilogu, del Goceano, dell’Iglesiente, del Sarcidano e del Sulcis.

Una caratteristica variante della lecceta è apportata dai boschi di Quercus suber, limitatamente alle zone più temperate. Le sugherete sono distribuite dal livello del mare sino agli 800-1000 m. Il settore di maggior espansione dei boschi di sughera è quello settentrionale, ma belle sugherete sono diffuse in tutta la Sardegna.

Relitti di foreste prevalentemente interessanti una larga area freddo-umida compresa tra le isoiete di 900 e quelle di 1000 mm medi annui, attorno alle catene montane, dai 700 ai 1100 m s.l.m., sono presenti nel Gennargentu, nel Goceano, nel Marghine, nel Montiferru, nel Sarrabus, nel Monte Linas, nell’Iglesiente, nel Sulcis. Queste foreste di leccio ospitano Acer monspessulanum, Prunus spinosa, Ostrya carpinifolia, Fraxinus ornus, Celtis australis e, con esclusione della Sardegna meridionale, relitti di esemplari plurisecolari di Taxus baccata e Ilex aquifolium.

Nelle località più fredde ed umide di queste zone montuose, sempre con esclusione del meridione della Sardegna, spesso compenetrandosi con leccete e con sugherete più elevate, sono insediati popolamenti forestali di Quercus pubescens.

Oltre il limite della vegetazione arborea, nelle zone cacuminali dei principali monti dell’Isola superanti i 1000 m s.l.m., a clima freddo e molto umido, la vegetazione è rappresentata da arbusti prostrati intercalati da flora steppica-montana, dove predominano Juniperus nana, Prunus prostrata, Teucrium marum, Thymus erba-barona, ecc.

Numerose ed interessantissime altre specie sono forzatamente trascurate a causa della loro enorme diffusione. Fra esse spiccano: Olea oleaster, Juniperus oxycedrus, Juniperus phoenicea, Arbutus unedo, Pistacia lentiscus, Myrtus communis, Rosmarinus officinalis, ecc.

La Sardegna, per essere al centro del Mediterraneo occidentale, e per avere complessi montuosi inferiori ai 2000 m, ha una flora abbastanza particolare costituita da circa 2000 specie.

Le essenze più rimarchevoli sono quelle endemiche, alcune delle quali sono relitti di antiche flore ormai estinte.

Tra le più indicative: Buxus balearica, Helicrysum montelinasanum, Iberis integerrima, Hyoseris taurina, Psoralea morisiana, Limonium sp., Armeria sp., Nanathea perpusilla, Bellium crassifolium, Astragalus verrucosus, Ophrys sp., ecc.

Come tutte le faune insulari, anche quella della Sardegna risulta essere più povera di specie rispetto ad una equivalente superficie continentale.

Il livello conoscitivo dei vertebrati riproducentesi attualmente in Sardegna può considerarsi soddisfacente per la classe dei Pesci (Pisces) d'acqua dolce, per gli anfibi (Amphibia), per i rettili (Reptilia) e per gli uccelli (Aves), mentre per i mammiferi (Mammalia), ed in particolare per i micromammiferi, occorrono ancora notevoli sforzi di ricerca.

Dall'inizio di questo secolo si sono riprodotte nell'Isola almeno 244 specie di vertebrati: 11 specie di pesci d'acqua dolce, 9 specie di anfibi, 20 specie di rettili, 163 specie di uccelli e 41 specie di mammiferi (tra cui ben 20 specie di Chiroptera).

Le introduzioni ad opera dell'uomo riguardano, tra le altre specie, la Rana verde, il Camaleonte, il Fagiano e la Nutria.

Tra le peculiarità della fauna sarda vanno menzionate le numerose specie e sottospecie endemiche della Sardegna e della Corsica, quali: Euprotto sardo, Geotritone dell'Iglesiente, Geotritone imperiale, Geotritone del Supramonte, Geotritone del Monte Albo, Discoglosso sardo, Lucertola tirrenica di Molarotto, Lucertola tirrenica del Toro, Biscia dal collare, Cinciallegra sarda e Ghiandaia sarda e, tra i mammiferi, il Cervo sardo.

Oltre a queste forme esclusive dell'Isola o della Tirrenide, la Sardegna ospita popolazioni molto consistenti di specie piuttosto rare e localizzate in altre parti dell'Italia o dell'area mediterranea: attualmente, la più grande colonia europea del Gabbiano roseo si trova con oltre 3.000 coppie nello Stagno di Molentargius (Cagliari), in cui si è insediata anche una numerosa colonia nidificante del Fenicottero rosa (1997: oltre 2.500 coppie).

Nella Sardegna nord-occidentale sopravvive la sola popolazione autoctona italiana del Grifone, l'unico dei 3 grandi avvoltoi ancora nidificante in Italia.

Le più importanti colonie di uccelli marini lungo le coste italiane si trovano sulle piccole isole disabitate della Sardegna, e gli insediamenti del Cormorano dal ciuffo, della Berta minore e della Berta maggiore, nonché del Gabbiano reale sono tra le più importanti in tutto il Mediterraneo.

Infine, va ricordata la grande importanza che le zone umide costiere della Sardegna rivestono come zone di sosta e di svernamento di numerose specie di uccelli acquatici provenienti dai paesi nordici. Negli ultimi censimenti invernali risulta la presenza di oltre l50.000 esemplari, tra le quali molti Cormorani, Fenicotteri, anatidi e Folaghe.

Del numero totale dei vertebrati della Sardegna, ben 167 specie delle 203 specie sarde sono attualmente presenti nelle 8 aree del Parco Geominerario.

Nel corso dei secoli la Sardegna ha fornito campioni di particolare importanza che hanno arricchito collezioni e musei di tutto il mondo.

Purtroppo, né la lunga storia mineraria, né gli aspetti geo-giacimentologici così favorevoli non trovano in Sardegna adeguato riscontro in una valida situazione museologica che documenti adeguatamente questa grande attività del passato in campo mineralogico.

Dalla seconda metà dell’800, le fosgeniti, campioni sardi di incomparabile pregio per forme cristalline esemplari e spesso complesse, sono oggetto di studio da parte dei cristallografi di tutto il mondo.

Nei musei della Sorbonne e dell’Ecole des Mines di Parigi, come nello Smithsonian Institute di Washington, ma anche nelle collezioni museali delle principali città come Torino, Padova, Bologna, Pisa, Roma, Napoli per finire a Bari ed a Catania, è possibile ammirare bellissimi campioni di fosgenite, argento nativo, linarite ecc. provenienti dalle miniere sarde.

I più importanti musei nei quali sono accumulati campioni provenienti dalle miniere sarde sono i Civici Musei di Milano e di Genova, ed il Museo di Mineralogia dell’Università di Firenze.

In Sardegna, fin dal secolo scorso erano note alcune grotte monumentali (ne riferisce il Lamarmora nelle sue opere, ne parla il Casalis nel suo Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna, ma solo in questo secolo si inizia a trattare con taglio scientifico il tema del carsismo nelle diverse aree dell’Isola.

Il patrimonio speleologico sardo riveste una valenza internazionale per una serie di fattori che vanno dalla presenza di fenomeni carsici di età paleozoica, alla grandiosità dei fenomeni dell’area supramontana. Ancora, al di là dei dati metrici, sono da rimarcare le varie tipologie di concrezioni e mineralizzazioni, quali: aragonite azzurra, cristallizzazioni di baritina, concrezioni di idrozincite, smithsonite, melanterite ed altre ancora, fenomeni tali da rendere queste manifestazioni uniche al mondo. (Forti, Hill, 1985).

Esistono numerose grotte monumentali distribuite nelle varie aree carsiche localizzate in diverse zone dell’Isola quali: la grotta di S. Barbara nella miniera di S. Giovanni ad Iglesias, la grotta di S. Giovanni a Domusnovas, la grotta di Is Zuddas a Santadi, la grotta di Elighes Artas nella valle di Lanaittu ad Oliena, la grotta dell’Infinito in provincia di Sassari.

In Sardegna, il carsismo sotterraneo non presenta grandi sviluppi verticali salvo alcune particolari voragini.. Per contro, si ha un intenso sviluppo di grotte orizzontali tali da annoverare la Sardegna quale regione con la più alta densità di grotte con sviluppo superiore ai 10 km.

Le potenzialità esplorative sono ancora suscettibili di nuove e grandi scoperte. Ciò fa della Sardegna una delle mete più ambite da parte di speleologi di ogni nazionalità.

Paleolitico

Le prime tracce della presenza umana in Sardegna risalgono al Paleolitico Inferiore (500.000 – 100.000 a.C.). Si conoscono anche materiali del Paleolitico Superiore (35.000 – 10.000 a.C.), mentre mancano, ad oggi, testimonianze del Paleolitico Medio.

Neolitico

La preistoria comincia in Sardegna seimila anni prima di Cristo. Le popolazioni provenienti dalla Spagna, dalla Corsica, forse anche dall’Africa, si stanziano in ripari sotto roccia, vivendo allo stadio di raccoglitori o tutt’al più di un’agricoltura primitiva.

Accanto all’attività agro-pastorale, le popolazioni neolitiche affiancano quella che può essere considerata la prima esperienza mineraria: l’estrazione dell’ossidiana, vetro vulcanico di colore nero, del Monte Arci.

Utilizzata per strumenti litici di uso domestico e per il lavoro, l’ossidiana ha rappresentato il principale richiamo economico dell’Isola per l’uomo neolitico.

Al Neolitico succede il Calcolitico (2700 – 1800 a. C.), periodo in cui è provata la conoscenza tecnica della fusione non solo del rame, ma anche della galena.

Le conoscenza dei metalli si affina ancor più durante la fase della Cultura Campaniforme (2200 – 1800 a.C.), dove compare anche l’argento utilizzato per gioielli d’ornamento personale.

 

Civiltà Nuragica

Intorno al 1700 a.C. comincia a manifestarsi quella che sarà chiamata la Civiltà Nuragica, che si svolgerà in fasi progressive fino al 600 a.C., con un periodo di maggior splendore collocato intorno al 1200 – 900 a.C.

Nel millennio in cui si svolse la civiltà nuragica, così chiamata perché l’espressione architettonica più importante è appunto il nuraghe, la Sardegna vede diffondersi in tutta l’Isola una civiltà abbastanza omogenea, sino a costituire quasi la base culturale di una prima unità "nazionale".

La civiltà nuragica offre una serie diversificata di monumenti: accanto agli oltre settemila nuraghi che punteggiano la campagna sarda, si conosce una serie di sepolture chiamate "Tombe di Giganti". In realtà, si tratta di sepolture collettive, costituite da una vasta esedra formata di pietre messe di taglio intorno ad una più rilevata stele centrale, con una porta d’ingresso, cui segue un corridoio che porta alla tomba vera e propria.

Un’altra testimonianza straordinaria del mondo nuragico è costituita dai bronzetti (se ne conoscono circa 350): riproducono non soltanto presenze della vita quotidiana come gli animali, ma soprattutto guerrieri, capotribù, pastori, pellegrini oranti, sacerdoti, madri con i loro figli. Attraverso le loro fattezze, schematicamente ma squisitamente raffigurate, è più facile ricostruire il quadro della civiltà sarda del loro tempo.

Durante la civiltà nuragica viene approfondita la metallurgia del bronzo, che aumenterà sempre più la sua presenza producendo armi, attrezzi da lavoro, e articoli d’ornamento. Il rame necessario alla produzione di questi oggetti viene estratto dai filoni cupriferi di Funtana Raminosa e viene fuso da maestranze altamente specializzate, che si servono della steatite, proveniente dalle cave di Orani, per preparare le forme a stampo di asce, picconi e oggetti vari.

 

Civiltà Fenicio-Punica

Verso la fine del periodo aureo della civiltà nuragica, in Sardegna cominciano ad approdare i Fenici. Con i sardi nuragici scambiano merci e cultura, ma soprattutto esportano dall’Isola le preziose risorse minerarie.

Intorno al 500 a.C. arrivano nell’Isola i Cartaginesi con i loro eserciti, che occupano militarmente l’Isola. Ma, oltre agli eserciti, i Punici recano anche abitudini di vita, arte, artigianato e religione che si compenetreranno nella cultura autoctona.

Con i Cartaginesi nasce in Sardegna "la Città", con una sua precisa organizzazione amministrativa e politica e una sua articolata struttura urbanistica: sulle più importanti città fenicio-puniche come Nora e Tharros si impianterà poi la cultura romana. Nello stesso tempo, i Sardi assumono dai cartaginesi parte della religione e della stessa religiosità: nel tempio di Antas si venerava, in età romana e sotto il nome romano di Sardus Pater, una divinità che era insieme una divinità cartaginese e il dio creatore del popolo dei Sardi.

 

Civiltà Romana

Nel 238 a. C. Roma occupa la Sardegna. Ma la conquista non fu facile: per quasi un secolo e mezzo i Sardi continuano a ribellarsi al giogo romano. La Sardegna rimane sotto l’influsso della civiltà romana per quasi mille anni, perché anche dopo la fine dell’Impero d’Occidente il ricordo di Roma continua nella dominazione bizantina, per quanto frammentaria e interrotta da varie incursioni barbaresche.

I Romani dotano la Sardegna di un’efficiente rete stradale e costruiscono nuovi centri o ingrandiscono quelli esistenti. Cagliari diviene uno dei perni del sistema politico e commerciale romano, e così pure Turris Libysonis (Porto Torres) e Ulbia (Olbia). Di quel tempo, oltre alle rovine imponenti e ad una prima organizzazione del territorio non urbano (la campagna conosce il latifondo e vede sorgere le piccole villae), il segno più incisivo rimane la lingua: il sardo è oggi la più latina delle lingue romanze.

Verso il 450 d.C. i Vandali, che si erano stanziati nel Nord Africa, occupano la Sardegna per circa un secolo. A loro segue un periodo di dominazione bizantina, durante il quale l’Isola, soprattutto dal 698 d.C., comincia lentamente a staccarsi dalle influenze politiche esterne ed a governarsi autonomamente.

 

I giacimenti minerari dell’Isola, diversi nella forma, nella struttura e nella consistenza, sono stati oggetto di sfruttamento fin dai tempi più remoti.

L’estrema variabilità delle caratteristiche giacimentologiche ha messo a dura prova le capacità del "Minatore" che di volta in volta si è trovato nella necessità di affinare le tecniche di scavo e di sostegno adeguandole alle situazioni più diverse.

A questa "Arte Mineraria" espressa dai "Minatori" ha fatto riscontro una lunga serie di successi da parte di "Mineralurgisti" e "Metallurgisti" i quali, con intense ricerche e grande tenacia, hanno saputo superare ostacoli di ogni sorta ottenendo encomiabili risultati.

Le capacità tecniche, l’intelligenza e la generosità profusa hanno condotto l’industria mineraria sarda a traguardi di valore internazionale.

A testimonianza della antica ed estesa avventura mineraria rimangono, disseminati soprattutto nelle otto aree appresso descritte, i profondi segni del lavoro minerario. Tali aree, oltre ad accorpare particolari momenti dell’attività mineraria sarda, raccolgono al loro interno importanti valori storico-ambientali il cui insieme è rappresentativo di un sistema unico nell’area del mediterraneo.

Per rappresentare la sintesi dal punto di vista storico, tecnico e scientifico dell’attività mineraria della Sardegna sono state prese in considerazione 8 aree che si ritiene possano nel loro insieme costituire il sistema del Parco Geominerario della Sardegna.

La delimitazione delle singole aree, schematicamente riportate nella figura che segue, è stata definita attraverso la sovrapposizione delle diverse valenze emergenti nel territorio considerato.

Oltre agli aspetti geominerari, che costituiscono l’elemento caratteristico di ogni singola area, è stata rivolta particolare attenzione alle valenze naturalistiche e alle testimonianze archeologiche che, in misura rilevante, sono presenti nelle aree minerarie, spesso ad esse intimamente connesse, tanto da costituirne un’originale forma di paesaggio, di ambito non solo economico, ma anche sociale e culturale.

Per quanto riguarda gli aspetti naturalistici e l’uso del territorio si è fatto riferimento ai seguenti strumenti di pianificazione esistenti e/o programmati che hanno consentito di tenere conto dei seguenti elementi normativi:

Aree sottoposte a vincolo idrogeologico

Aree costituenti valenza morfologica di primaria importanza

Aree di cui alla L. 29.06.1939 n° 1497

"Protezione delle bellezze naturali"

Aree sottoposte alla L. 8.08.1985 n° 431 (legge Galasso)

"Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale."

Aree di cui alla L.R. 7.06.1989 n° 31

"Norme per l’istituzione e la gestione dei Parchi, delle Riserve e dei Monumenti Naturali, nonché delle aree di particolare rilevanza naturalistica e ambientale".

Aree di cui alla L.R. 22.12.1989 n° 45

"Norme per l’uso e la tutela del territorio Regionale".

Aree di cui alla L.R. 7.5.1993 n° 23

"Modifiche ed integrazioni alla L.R. 22.12.1989 n° 45 riguardante la fascia costiera".

Aree dove sono ubicati "Biotopi meritevoli di conservazione" (a cura del Gruppo Conservazione Natura della Società Botanica Italiana).

Le 8 aree facenti parte del Parco sono dislocate nelle quattro Provincie della Regione Autonoma della Sardegna, comprendono, complessivamente, una superficie totale di 3771 Kmq, che interessa i territori di 81 Comuni.

 

AREA 1 - MONTE ARCI

 

Il Monte Arci è situato nella Sardegna centro-occidentale, nell’entroterra del Golfo di Oristano; ha una forma approssimativamente ellittica, allungata in direzione nord-sud, con l’asse maggiore che misura una trentina di chilometri e quello minore circa sette. L’elevazione massima è raggiunta a quota 812 m s.l.m. in corrispondenza del neck (antico condotto vulcanico) di Trebina Longa.

Il Parco Geominerario del Monte Arci interessa una superficie di circa 270 Kmq, pari al 7% dell’estensione complessiva delle aree comprese nel Parco Geominerario della Sardegna.

Il primo distretto minerario della Sardegna viene attivato all'inizio del VI millennio a.C. quando piccole comunità, approdate nell'Isola al seguito della colonizzazione neolitica, scoprono e utilizzano l'ossidiana del Monte Arci. Questa roccia vitrea, per lo più nera, a frattura rilucente e concoide, di origine vulcanica, era particolarmente ricercata dagli uomini dell'"età pre-metallurgica" come materia prima per la produzione di armi e strumenti.

Il Monte Arci costituiva, insieme a Lipari e Pantelleria, uno dei rari luoghi di estrazione esistenti nell’area Mediterranea. Oggi sono conosciuti 10 centri di raccolta, 72 centri di lavorazione localizzati presso gli affioramenti, e circa 200 stazioni preistoriche, diffuse in tutta la Sardegna, ben riconoscibili per l’abbondanza di frammenti e schegge di ossidiana, residui della lavorazione.

Un fiorente commercio di quello che viene definito l’oro nero dell’antichità porta alla nascita di centri di raccolta e officine litiche dai quali il materiale, grezzo o già lavorato, viene trasferito non solo in tutta la Sardegna ma anche nella vicina Corsica, in Toscana, in Liguria e nel Mezzogiorno francese, regioni tutte prive di questa importante risorsa.

 

AREA 2 – ORANI

 

L’area 2 è situata nella Sardegna centrale, alcuni chilometri a E-SE della città di Nuoro, ed interessa una superficie di 130 Kmq, pari al 3,5% della superficie complessiva del Parco Geominerario della Sardegna.

L’importanza dell’area dal punto di vista geominerario si deve alla presenza di un importante giacimento di talco-steatite, di un giacimento di feldspati di recente lavorazione e di numerose cave di marmo e di granito.

Si tratta di una zona in parte montuosa e piuttosto impervia ed in parte costituita da dolci e medi rilievi; l’assetto morfologico della regione presenta quindi evidenti e stretti rapporti con i caratteri litologici delle formazioni in affioramento.

L’altitudine più elevata è rappresentata dal Monte Gonare che si articola in due cime a forma di cono con quote rispettive di 1.083 m s.l.m. (Monte Gonare) e di 1.045 m s.l.m. (Monte Gonareddu). Sulla punta più alta fu costruito un suggestivo santuario. Gli altri rilievi raramente raggiungono gli 800 m.

Tutta l’area era conosciuta sin dal Neolitico Recente per l’esistenza della steatite che veniva lavorata per la produzione di oggetti di pregio e ornamentali e statuette della Dea Madre.

L’estrazione del talco iniziò invece solo dopo il 1924, nonostante i limitati, ma ricchi giacimenti fossero già conosciuti fin dalla metà dell’Ottocento.

Gli aspetti archeologici dell’area di Orani sono marcati dalla presenza del tempio nuragico di Nurdòle, posto in cima ad un colle. Il monumento, costruito in un’area interna del Nuorese in un crocevia di strade di penetrazione dalle coste occidentali e orientali, presenta una architettura complessa, ed in esso è stata rinvenuta una notevole quantità di reperti.

 

AREA 3 - FUNTANA RAMINOSA

 

L’area di Funtana Raminosa è situata nella Sardegna Centrale, tra le regioni della Barbagia e del Sarcidano, ed interessa una superficie di circa 145 Kmq, pari al 3,85% della superficie complessiva del Parco Geominerario della Sardegna.

L’importanza dell’area dal punto di vista geominerario si deve soprattutto alla presenza di una importante miniera di rame, Funtana Raminosa, appunto, che ha svolto un ruolo particolarmente significativo nella storia della metallurgia di questo elemento, unico nell’intera area mediterranea: a partire dell’età eneolitica. Limitrofo a Funtana Raminosa è anche il giacimento di Giaccurru–Perdabila in cui si svolsero ricerche in tempi diversi, ma senza particolari risultati.

La vastità dei boschi e delle zone ancora vergini ha consentito il mantenimento di una fauna di straordinario interesse. Abbondano i mufloni, che trovano rifugio nelle cime più alte, e le aquile reali.

E’ in questo contesto ambientale di notevole rilevanza che si inseriscono i siti minerari di Funtana Raminosa, Giacurru-Perdabila e di Corongiu-Seui, ricchi di testimonianze di lavoro minerario e di beni di archeologia industriale.

Alla miniera di Funtana Raminosa è legata una parte fondamentale della storia della Sardegna. Infatti, in tale località, lungo le rive del torrente Saraxinus, antiche genti scavarono anguste gallerie, che affondavano per molti metri nelle ricche sacche di minerali di rame, segni, questi di una antica attività estrattiva che non sfuggirà agli ingegneri che, nel secolo scorso, studiarono la miniera. Alcuni dischi di porfido, del diametro di 5-10 centimetri ritrovati in situ, probabilmente usati per frantumare il minerale, vennero attribuiti ai romani.

Successivamente, si scoprirono interi cantieri sotterranei antichissimi, nei quali la calcopirite e la galena erano state completamente asportate. Intorno alla miniera sono localizzate diverse fonderie nuragiche, nelle quali si affinava la metallurgia del bronzo.

 

AREA 4 – GALLURA

L’Area della Gallura occupa il settore nord-orientale dell’Isola, e si estende dal Golfo di Olbia fino a Capo Testa, comprendendo anche l’Arcipelago della Maddalena.

La realtà economica della Gallura è legata alla sua felice configurazione paesaggistica e geo-morfologica.

Infatti, le due realtà trainanti dell’economia gallurese sono il turismo lungo le coste, e le attività industriali legate alla lavorazione del sughero e a quella estrattiva del granito nell’entroterra.

Il paesaggio, caratterizzato da coste frastagliate incise da profonde insenature, sicuri ridossi dai venti dominanti di maestrale, e da baie sabbiose bellissime e spettacolari, giustifica ampiamente la rilevante entità di investimenti confluiti nel Nord-Est dell’Isola nell’ultimo trentennio.

L’interesse imprenditoriale nazionale ed internazionale si è concretizzato negli insediamenti turistici che, a partire da Olbia fino a Santa Teresa di Gallura, interessano i centri di Porto Rotondo, la Costa Smeralda, Porto Raphael.

La seconda realtà è fortemente caratterizzata nel polo del sughero di Tempio-Calangianus, mentre, per quanto riguarda l’estrazione del granito, si è concentrata nei due poli di estrazione di Arzachena-Bassacutena e Tempio Pausania–Calangianus, che forniscono blocchi di granito grezzo o prodotti semi-lavorati alle segherie locali e nazionali, ed il cui prodotto finito è commercializzato in tutto il mondo.

Considerata la marcata caratterizzazione dell’area (turistica nella fascia costiera, industriale estrattiva nelle zone più interne) si è ritenuto opportuno non delimitare particolari "aree d’interesse" per il Parco Geominerario.

 

AREA 5 – ARGENTIERA – NURRA

La zona dell’Argentiera-Nurra è situata nella parte nord-occidentale della Sardegna ed interessa una superficie di 61 Kmq, pari a meno del 2% dell’estensione totale del Parco Geominerario della Sardegna.

Dal punto di vista minerario l’area, soprattutto per la consistenza dei giacimenti metalliferi di piombo, zinco, argento dell’Argentiera sfruttati sin dai tempi della colonizzazione romana e di ferro di Canaglia, è diventata nell’ultimo secolo il più importante distretto metallifero della Sardegna settentrionale.

Nell’area delimitata per il Parco Geominerario si distinguono diversi settori, ricchi di aspetti paesaggistico-ambientali:

il settore settentrionale, con un tratto di costa che rivela pareti piuttosto ripide e spesso strapiombanti, come la rupe di Capo dell’Argentiera (220 m), particolarmente importante come area di interesse geo-minerario, con suggestivi fabbricati minerari situati nell’insenatura del Porto dell’Argentiera, che rappresentano un tipico esempio di archeologia industriale, in prossimità dei quali si estende l’insenatura di Porto Palmas, dove vegeta l’Anchusa crispa, un tipico endemismo sardo-corso scomparso recentemente da un gran numero di zone dell’isola.

il settore centrale, con l’ampia insenatura di Porto Ferro, caratterizzata da un arenile di caratteristica sabbia rossastra incorniciata da una fitta pineta e dal suggestivo lago di Baratz, unico lago naturale della Sardegna.

il settore meridionale, caratterizzato dallo sperone calcareo di Capo Caccia (169 m), che presenta una serie di falesie dominate dalla mole del monte Timidone. Altro elemento caratteristico di questo tratto di costa lungo il Capo Caccia sono i numerosi fenomeni carsici: si tratta soprattutto di grotte che contribuiscono a garantire l’unicità di quest’area di costa. Ne sono esempi la grotta Verde, la grotta dei Richiami e la grotta di Nettuno, quest’ultima visitata da centinaia di migliaia di turisti ogni anno.

 

AREA 6 – GUZZURRA - SOS ENATTOS

L’area 6 del Parco Geominerario, denominata "Guzzurra-Sos Enattos"; è ubicata nella regione delle Baronie, nella Sardegna centro-orientale. Essa interessa una superficie di 133 Kmq pari al 3,5% della superficie complessiva del Parco Geominerario.

L’interesse dell’area dal punto di vista minerario si deve alla presenza di alcuni giacimenti metalliferi di piombo, zinco, rame, argento, testimoni di un’attività estrattiva ormai giunta alla totale cessazione.

I lineamenti morfologici principali sono quelli tipici delle aree collinari, con forme piuttosto dolci, piccoli rilievi che superano di poco i 400 metri di altitudine e deboli incisioni vallive, orientate secondo le principali direttrici tettoniche della zona.

Nell’area della miniera il paesaggio è caratterizzato dalla vicinanza con il Monte Albo, un bastione calcareo allungato di circa 30 Km da cui si domina in buona parte sia il paesaggio delle "Baronie" e della "Barbagia settentrionale", sia il paesaggio marino della costa Orientale, il Monte Senes e il Monte Tuttavista, l’isola di Tavolara, il Supramonte, fino alla catena del Marghine-Goceano e del Gennargentu.

La geologia dell’area è caratterizzata dalla presenza di rocce del basamento cristallino paleozoico (metamorfiti intruse da graniti ercinici e da un complesso campo filoniano) ricoperto, nei settori orientali, dai calcari e dalle dolomie mesozoiche del Monte Albo di Siniscola.

Il giacimento di Sos Enattos, il principale dell’area, era conosciuto e coltivato fin dai tempi remoti, e infatti alcune gallerie individuate in passato sono state fatte risalire a epoca romana e alcuni pozzi al secolo XI.

L’attività di estrazione dei minerali di piombo e zinco è quindi testimonianza di una cultura mineraria di antica trazione. Tale attività, sebbene nella fase di massima espansione abbia assorbito centinaia di unità lavorative, a partire dagli anni ’60 ha conosciuto una fase di crisi profonda, che negli anni ha portato alla progressiva cessazione delle miniere.

 

AREA 7 – SARRABUS GERREI

Il Sarrabus-Gerrei è situato nella parte orientale della Sardegna ed interessa una superficie di 575 Kmq, pari al 15% dell’estensione totale delle aree comprese nel Parco Geominerario della Sardegna.

Si tratta dunque della seconda area per estensione tra quelle inserite nel Parco, anch’essa molto rappresentativa per diffusione, varietà ed importanza delle attività minerarie che in essa si sono svolte.

Dal punto di vista minerario l’area, per la consistenza dei giacimenti metalliferi di piombo, zinco, rame, argento, stagno e ferro sfruttati sin dai tempi delle invasioni fenicie e puniche, è diventata nell’ultimo secolo il secondo distretto minerario dell’Isola.

Le ricche testimonianze minerarie della regione sono inserite in un contesto paesaggistico-ambientale di particolare interesse, caratterizzato da una morfologia piuttosto varia, con alcune cime che superano i 1.000 metri e numerose altre oltre i 700 metri.

Queste regioni sono caratterizzate, dal punto di vista geologico, da litotipi del basamento paleozoico, sia metamorfici che granitici, mentre limitate coperture di età terziaria si ritrovano nei settori settentrionali; i depositi quaternari sono invece frequenti nei settori orientali, al raccordo tra i rilievi montuosi dell’entroterra e la costa, oltreché lungo i principali tratti fluviali.

Il Sarrabus-Gerrei costituisce, inoltre, un vasto comprensorio naturale di notevole interesse ambientale per la varietà e la diffusione delle specie vegetali, dove alle imponenti foreste e foltissime distese di macchia mediterranea si sostituiscono, in zone di degradazione antropica, i ripopolamenti artificiali delle foreste demaniali, veri e propri polmoni verdi costituiti da conifereti.

Notevole la presenza di valenze archeologiche di vario tipo.

 

AREA 8 – SULCIS-IGLESIENTE-GUSPINESE

Il Sulcis-Iglesiente-Guspinese è situato nella parte sud-occidentale della Sardegna ed interessa una superficie di 2.455 Kmq, pari al 65% dell’estensione totale delle aree comprese nel Parco Geominerario della Sardegna.

Si tratta dunque dell’area più estesa tra quelle inserite nel Parco ed allo stesso tempo quella più rappresentativa per diffusione, varietà ed importanza delle attività minerarie, che si sono svolte nel corso degli ultimi millenni.

Dal punto di vista minerario l’area, per la consistenza dei giacimenti metalliferi di piombo, zinco, rame, argento, stagno e ferro sfruttati sin dai tempi più remoti, è diventata uno dei più importanti distretti metalliferi dell’Europa occidentale. Oltre alle miniere metallifere hanno rivestito particolare interesse le coltivazioni dei giacimenti di barite, di argilla bentonitica e, soprattutto, di carbone.

L’area del Sulcis-Iglesiente-Guspinese costituisce, nel panorama dell’Isola, una realtà ben definita nelle sue connotazioni geografiche, caratterizzate da un esteso tratto costiero ricco di interessanti e vari aspetti paesaggistico-ambientali dal quale emergono, a breve distanza, alcuni rilievi montuosi che, con modesta altitudine, si ergono su una morfologia prevalentemente collinare interrotta, nella zona centrale e meridionale, dai vasti tratti pianeggianti del Cixerri e del Basso Sulcis.

L’area è stata definita dai primi geologi come "l’isola nell’isola" in riferimento, innanzitutto, alle caratteristiche geologiche che comprendono l’intera serie dal Paleozoico inferiore al Pleistocene e alle caratteristiche di naturalità e diffusione di ambienti di elevato interesse scientifico e culturale.

Le tipologie delle valenze si alternano tra specie botaniche uniche, grotte e cavità tra le più importanti dell’Isola, un rilevante patrimonio di archeologia industriale e mineraria.

In questo contesto geologico, minerario, scientifico, paesaggistico e storico, che non ha eguali in ambito mediterraneo, furono realizzate, in passato, grandi opere di ingegneria che restano a testimonianza dell’elevato grado di tecnologia raggiunta in questa regione della Sardegna.

Le aree minerarie dismesse, costellate da grandi scavi a cielo aperto, imponenti discariche, bacini di decantazione, sistemi di gallerie, pozzi e fornelli, grandi vuoti in sotterraneo, trincee di coltivazione, infrastrutture e impianti si presentano oggi profondamente modificate rispetto al loro assetto fisico originario.

Il completo stato di abbandono in cui versano oggi le vecchie aree minerarie ha inoltre indotto fenomeni di instabilità statica e di inquinamento da metalli pesanti dei suoli e dell'acqua.

Per l’inquinamento da metalli pesanti il principale problema è rappresentato dalla presenza dei numerosi bacini di decantazione dei fanghi di laveria e dai cumuli di rifiuti metallurgici, i quali costituiscono in alcuni casi una fonte di accertato danno ambientale e, in generale, un rischio potenziale, richiedendo urgenti interventi di messa in sicurezza, minimizzazione dell'impatto e monitoraggio.

Il problema dell'inquinamento dei suoli e delle acque, causato dall’attività mineraria, si è manifestato prevalentemente a partire dalla seconda metà dell’800, per le crescenti quantità di materiale estratto e l’assenza di qualsiasi provvedimento di tutela ambientale.

A partire dalla fine degli ultimi anni '60 e sino ai giorni nostri, quasi tutte le vecchie miniere della Sardegna sono state chiuse e i centri minerari abbandonati, producendo, di fatto, ancor più che nel corso dell’attività stessa, gravi problemi ambientali, poiché la chiusura non è stata accompagnata, generalmente, da adeguati interventi di ripristino e mitigazione del danno e prevenzione e monitoraggio del rischio.

Con l’abbandono delle attività minerarie iniziarono così a manifestarsi, in corrispondenza delle discariche, processi, più o meno importanti, di ruscellamento diffuso e incanalato, che hanno provocato e continuano a provocare collassi ed erosione e di conseguenza trasporto indifferenziato di materiali fini. Detti materiali si riversano sulle acque e sui suoli, causando fenomeni di inquinamento chimico superficiale e profondo, che rappresenta

il rischio meno evidente, ma nel lungo periodo si configura come quello più pericoloso.

Il ruolo preponderante nel determinare l’inquinamento di un’area mineraria è costituito dalle discariche di varia origine, dai materiali costituenti la ripiena della miniera, nonché dai rifiuti dei processi metallurgici e dai fanghi di trattamento dei minerali che, caratterizzati da alta superficie specifica e da elevati tenori residui in metalli pesanti, sono oggetto di lisciviazione e trasporto ad opera degli agenti atmosferici.

Gli studi più recenti sulla contaminazione dei corpi idrici superficiali, eseguiti in numerose aree minerarie, hanno messo in evidenza che il letto di tutti i corsi d’acqua, afferenti a queste aree minerarie, è caratterizzato dalla presenza di sedimenti derivanti dallo smantellamento delle discariche minerarie, con significativa concentrazione di metalli pesanti.

Relativamente agli effetti dell’inquinamento dell’aria, non si hanno studi specifici, anche se diverse analisi ambientali hanno comunque messo in evidenza che alcune aree minerarie, particolarmente esposte ai venti dominanti, presentano accumuli di sedimenti provenienti dalle discariche, con una notevole polverosità.

Dopo un periodo di inerzia, durante il quale non si sono attivati efficaci interventi per la tutela ambientale e la riqualificazione dei siti minerari dismessi, si è progressivamente presa coscienza dei problemi e di risoluzione degli stessi, delle opportunità e si è giunti alla attuale condizione di notevole disponibilità di elementi di conoscenza e di progettualità.

Le aree minerarie dismesse interessate dalla proposta di Parco Geominerario della Sardegna presentano spiccate potenzialità di fruizione per il clima temperato, la presenza di zone protette ricche di risorse naturalistiche ed enclaves di natura incontaminata, emergenze storico-culturali di significativo interesse, oltre ad un patrimonio di strutture minerarie abbandonate diffuse nel territorio verso l'interno ed in prossimità della costa.

Lo Stato, attraverso le specifiche leggi 221/90 (Nuove norme per l’attuazione della politica mineraria) e 204/93 (Conversione in Legge, con modifiche, del D.L. 24 / 04 / 93, N° 121, recante interventi urgenti a sostegno del settore minerario della Sardegna), per favorire la ripresa economica e occupazionale delle aree interessate dalla cessazione dell'attività, ha avviato, di intesa con la Regione Sardegna, un piano per la riconversione produttiva di tale area.

Conseguentemente diversi soggetti pubblici hanno predisposto studi di fattibilità per il recupero ambientale e la valorizzazione delle aree minerarie dismesse, e sulla base di specifici accordi di programma tra il Ministero dell’Industria e la Regione Sardegna sono stati finanziati una serie di progetti, a valere sulla Legge 204/93, finalizzati alla Riabilitazione ambientale e al Recupero dei compendi immobiliari.

In altre zone minerarie dismesse sono in corso di realizzazione le opere previste nei diversi progetti di riabilitazione e recupero.

La mancanza di una preventiva attività di pianificazione degli interventi ha portato, come evidenziato, alla elaborazione di numerosi progetti, in alcuni casi peraltro sovrapponentisi e disorganici tra loro, per cui non è stata favorita l'attuazione di un rapido programma di interventi.

E’ infatti opportuno che il problema della riqualificazione territoriale delle aree minerarie dismesse, in considerazione della sua dimensione, venga affrontato nell'ambito di un piano sovracomunale organico e in grado di realizzare un radicale intervento di riequilibrio di tutto il territorio visto in maniera unitaria e complessiva.

Nella predisposizione del sistema di monitoraggio, relativo al controllo della qualità delle acque, dell'aria e dei suoli, sono stati considerati siti minerari che ricadono in diverse aree del Parco Geominerario.

In considerazione della vastità delle aree oggetto di indagine, della grande varietà delle infrastrutture minerarie presenti e della loro ubicazione in un contesto territoriale geomorfologicamente differenziato, della diversa tipologia degli inquinanti e della differente interazione con gli agenti meteoclimatici di mobilizzazione degli stessi, si è ritenuto opportuno avviare la realizzazione del sistema di monitoraggio predisponendo stazioni fisse per la raccolta dei dati relativi alle sorgenti puntuali di inquinamento più rilevanti, e mobili per l'esecuzione di campagne di monitoraggio ad hoc per la valutazione e il controllo di situazioni particolari.

Tale obiettivo sarà perseguito attraverso l'istituzione di un Centro di Monitoraggio Ambientale.

In considerazione del grande ritardo con il quale si sta affrontando il problema della contaminazione in atto e del rischio che certi fenomeni possano degenerare, diventa oltremodo urgente individuare gli interventi di decontaminazione atti a conseguire condizioni ambientali entro i limiti di compatibilità.

In considerazione dell’importanza della problematica, l’Unione Europea ha finanziato una serie di progetti di ricerca, finalizzati alla messa a punto di tecnologie innovative per il risanamento ambientale delle aree minerarie dismesse e il riuso produttivo dei residui delle lavorazioni minerarie e minero-metallurgiche.

Sempre a valere sui fondi dell’Unione Europea, la Regione Sarda ha ottenuto il finanziamento per l’avvio dei primi interventi per la riabilitazione ambientale delle aree carbonifere dismesse.

In conclusione, si può affermare che, alla cessazione delle vecchie miniere, non ha fatto seguito un contestuale intervento per il recupero ambientale delle aree minerarie dismesse, a causa della carenza di una specifica normativa di tutela e della mancanza di sensibilità per la valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale mineraria.

Ai primi interventi di carattere sporadico e frammentario ha però successivamente fatto seguito una più vasta presa di coscienza, che ha consentito di programmare i primi organici interventi in un’ottica di pianificazione finalizzata al recupero e alla valorizzazione.

Tra i vari mutamenti che stanno segnando la fine del XX secolo, assume una importanza di primo piano la grande crisi dell’industria di base che attraversa tutto il Pianeta. Soprattutto i Paesi più industrializzati (Germania, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Russia, Italia e Giappone) sono coinvolti in misura più o meno rilevante da questo ampio processo, e si trovano nella condizione di dover gestire un patrimonio enorme lasciato in eredità dalle attività industriali abbandonate o trasferite altrove: impianti e infrastrutture obsoleti, edifici fatiscenti, intere città deserte sorte attorno alle industrie primarie e tessuti urbani sviluppati in funzione delle attività industriali sono presenti e diffusi in modo considerevole in tutte le parti della Terra.

Fra le attività industriali, quelle minerarie dismesse, per la vastità del fenomeno che rappresentano a livello mondiale sia in relazione alle superfici interessate, sia alle strutture legate allo sfruttamento delle materie prime, costituiscono un caso particolare.

Infatti l’attività estrattiva, la cui origine è da ascrivere almeno all’età del bronzo, è la più antica tra tutte le attività industriali.

Essa segna l’intero percorso della civiltà, lasciando tracce indelebili della cultura materiale che si è sviluppata attorno alla "miniera".

La Sardegna, da questo punto di vista, assume, nel panorama minerario mondiale, un ruolo di primo piano. In questa regione, come ampiamente documentato nei capitoli precedenti, l’attività estrattiva si sviluppa senza soluzione di continuità dall’età del bronzo fino ai giorni nostri, raggiungendo l’apice a partire dalla seconda metà del XIX secolo fino alla metà del secolo attuale, quando le miniere di piombo, zinco, argento e rame dell’Iglesiente-Guspinese e del Sarrabus-Gerrei, e il bacino carbonifero del Sulcis, assumono i connotati di un’attività industriale tra le più importanti dell’Europa occidentale.

In un’area quindi tutto sommato di limitata estensione, si registra la presenza di oltre un centinaio di miniere che danno lavoro a diverse decine di migliaia di persone, con strutture minerarie e impianti a tecnologia avanzata, e, attorno ad esse, nascono interi villaggi minerari e perfino una

nuova città (Carbonia), mentre Iglesias (l’antica "Villa di Chiesa"), capitale della Sardegna mineraria, diventa a cavallo del XX secolo una delle città minerarie più importanti del Paese.

Ma tutto ciò non basterebbe a conferire alla Sardegna mineraria una particolarità speciale, se assieme al patrimonio minerario non si prendessero in considerazione tutte le altre risorse che, cospicue, caratterizzano le aree minerarie dismesse.

Oggi, con la decretata fine dell’industria mineraria sarda, perlomeno di quella tradizionale, nasce l’obbligo di sostituire al vecchio, un nuovo modello di sviluppo socio-economico, e si pone l’esigenza di valorizzare in modo integrato le "risorse", che tutte assieme, indissolubilmente legate, costituiscono un patrimonio eccezionale, non solo per la Sardegna ma per l’intera umanità.

Del resto, le possibilità e i presupposti per muoversi nella direzione di una valorizzazione integrata di tutte le risorse presenti nelle aree minerarie della Sardegna in parte vi sono già: lo stesso Governo Italiano, attraverso leggi nazionali (L. 221/90 e L. 204/93), favorisce la riconversione economica delle regioni minerarie ed anche la Regione Sarda e i Comuni interessati dalla crisi mineraria hanno programmato o stanno programmando interventi tesi al recupero delle vecchie strutture.

Tuttavia, tutte queste iniziative, seppure importanti, scontano al momento l’assenza di una pianificazione di settore di livello sovraordinato che, attraverso una visione unitaria del patrimonio geominerario della Sardegna, sia in grado di far compiere le scelte più adeguate per valorizzare tutte le risorse presenti, evitando così inutili conflitti di competenza e creando le premesse per favorire gli interventi pubblici e privati più idonei in relazione alla reale disponibilità e alla qualità dei beni presenti.

L’istituzione del Parco Geo-minerario della Sardegna può assolvere, innanzitutto, questa esigenza. Del resto, già in questa fase, le conoscenze acquisite e le opportunità di confronto con quanto sta avvenendo in altre aree minerarie e in altri siti industriali dismessi in altre parti del mondo, e segnatamente nell’Europa Occidentale, consentono di intravedere che, con la salvaguardia e la valorizzazione delle valenze geominerarie, storiche e ambientali, si apre una vasta gamma di prospettive di sviluppo delle aree interessate, capaci di creare le condizioni perché un nuovo modello economico subentri a quello incentrato sulle attività estrattive, cessato per esaurimento dei giacimenti o per la sopravvenuta antieconomicità delle coltivazioni.

In attesa che l’auspicata istituzione del Parco possa concretizzarsi, e che un dettagliato "Piano del Parco" ne delinei le azioni programmatiche, coniugando l’esigenza di tutelare le grandi risorse di cui dispone il Parco con quella di creare una nuova fase di sviluppo economico sostitutiva di quella mineraria passata, è comunque possibile prospettare per grandi linee una panoramica di opportunità, che spaziano da iniziative di immediato significato economico, ad altre che tutelano i valori universalmente riconosciuti dell’ambiente, ad altre ancora che promuovono la crescita delle conoscenze tecnico-scientifiche e la conservazione ed il trasferimento di un "cultura mineraria" che ha grandi valori e tradizioni, e di una "cultura dell’ambiente" che, per quanto relativamente recente, è già proponibile come modello in altri contesti, anche di altri Paesi.

Le opportunità di seguito schematicamente rappresentate sono in parte già recepite in veri e propri progetti, alcuni dei quali già finanziati, ed in parte espresse, in questa fase, a livello di ipotesi di massima, che troveranno conferma e definizione nel progetto di fattibilità dell’istituendo Parco.

 

Prospettive di immediato significato economico

Turismo tradizionale vacanziero sportivo congressuale naturalistico archeologia industriale

Artigianato filigrana di metalli preziosi

pietre dure

ferro – coltelleria

tessile

legno

ceramica artistica

 

Risorse Forestali Fabbrica del verde

Banca semi

 

Agroalimentare miele  formaggi

zootecnia

 

Piccole e Medie Imprese valorizzazione delle materie prime

locali e tecnologie avanzate

 

Ripristino e valorizzazione

compendi immobiliari ricettività alberghiera

ostelli della gioventù

casa dello studente

ospitalità anziani

Terziario – Servizi trasporti

ristorazione

centro telematico

Presidio Minerario

Conservazione

delle principali

strutture minerarie

a scopi: scientifici

didattici

sperimentali

monitoraggio e riutilizzo cavità sotterranee

monitoraggio e valorizzazione acque sotterranee

museali – turistici

 

Prospettive di significato museale

 

Museo della tecnologia mineraria

Museo geolitologico e paleontologico

Museo delle mineralizzazioni e dei giacimenti minerari

Museo della speleologia

Museo della vita mineraria (riproduzioni in scala, plastici, ecc.)

Ecomusei e collezioni private

Museo archeologico

 

Prospettive di significato didattico

 

Scuola di formazione per tecnici minerari e ambientali dei Paesi in via di sviluppo

Corsi di laurea breve

Scuola internazionale di geoingegneria

 

 

 

 

Prospettive di significato scientifico e tecnologico

 

Centro scienze dei materiali (Iglesias)

Centro scienze ambientali (Montevecchio)

Centro tecnologie energetiche (Carbonia)

Centro tecnologico e sperimentale-laboratorio e impianti pilota

(Campo Pisano).

 

Prospettive di immediato significato economico

Il Turismo, che rappresenta per la Sardegna una delle poche attività economiche trainanti è, ad oggi, principalmente legato alla bellezza del mare e delle coste, e concentrato nei mesi estivi di luglio e agosto, nonché, in minor misura, in quelli di giugno e settembre. Il recupero di compendi immobiliari, ricchi di fascino e spesso inseriti in contesti ambientali di grande bellezza, e di vaste aree ideali per l’inserimento in circuiti prestigiosi, come quelli del golf e degli sport equestri, potrà creare, accompagnato da azioni di promozione specie da parte dei soggetti preposti, occasioni di richiamo e appetibilità per una fruizione meno stagionale e più distribuita sul territorio, contribuendo anche allo sviluppo delle zone interne dell’Isola. Sulla scorta anche dell’esperienza di altri Paesi, l’offerta turistica estesa ai percorsi naturalistici e a quelli di archeologia industriale non rappresenterà, se adeguata per dimensione ed efficienza dei servizi, l’alternativa di poche ore alla permanenza sulle coste, ma valore sufficiente ad essere autonomamente attrattivo e capace di innestare meccanismi moltiplicatori delle presenze. Il recupero e il disinquinamento di insenature naturali potranno, altresì, consentire una infrastrutturazione di porticcioli turistici e centri velici, di cui la Sardegna è estremamente carente, funzionali alla nautica da diporto, che non trova un’offerta corrispondente alla domanda. Valga, per tutte, l’esempio della zona paludosa di "Sa Masa" che, previo studio ecologico, bonificata e attrezzata, potrebbe essere l’approdo più valido della costa occidentale.

Quella del turismo è un’industria che può essere sviluppata all’interno di tutte le aree del Parco Geominerario, ed appare in grado sia di occupare i vasti spazi disponibili nelle principali aree minerarie dismesse (Sulcis-Iglesiente-Guspinese e Sarrabus-Gerrei), che di completare l’offerta in quelle in cui è già presente un turismo affermato (Gallura, Argentiera).

Nel primo caso, la prospettiva è abbastanza favorevole, dal momento che, alla contemporanea disponibilità di "risorse" ambientali quali mare, coste e spiagge incontaminate e di splendida bellezza tuttora escluse dai grandi circuiti vacanzieri, colline e montagne ricche di risorse ambientali, storiche e culturali-archeologiche, corrisponde la possibilità di creare strutture ricettive e residenziali, recuperando buona parte del patrimonio edilizio lasciato in eredità dall’attività mineraria dismessa. Per citare alcuni esempi: Monteponi, San Giovanni Miniera, Masua, Monte Agruxau, Rosas, Arenas, Malfidano, Buggerru, Montevecchio, Ingurtosu, nel Sulcis- Iglesiente-Guspinese; M.te Narba, Baccu Locci, Su Suergiu nel Sarrabus-Gerrrei; l’Argentiera, nella Nurra. In questi siti sarebbe possibile, attraverso una ristrutturazione funzionale che non stravolga l'architettura originaria, rendere disponibili alcuni milioni di metri cubi a scopi residenziali, in modo compatibile con l’attuale legislazione regionale in materia di urbanistica.

L’artigianato ha in Sardegna grandi tradizioni, e dà occupazione a circa 66 000 addetti, di cui quasi un terzo nel settore delle costruzioni. Le opportunità che l’istituzione del Parco potrà offrire all’artigianato, specie quello artistico, sono legate, soprattutto, alla disponibilità di spazi dedicati che potranno conseguire dal recupero dei compendi immobiliari. Solo esemplificativamente, potranno essere ulteriormente rafforzate lavorazioni ad alto valore quali la ceramica artistica, la lavorazione del legno pregiato, del ferro , dei coltelli tradizionali, la produzione di oggettistica in oro e argento, la lavorazione delle pietre dure sarde come il quarzo, l’ametista, il calcedonio, il diaspro etc.

 

Altre iniziative economiche possono essere sviluppate con la valorizzazione delle risorse forestali, ponendosi come obiettivo, oltre alla ricostruzione del manto vegetale e del patrimonio boschivo, la realizzazione di una "fabbrica del verde" che avrebbe lo scopo di produrre, a livello industriale, specie vegetali della flora nativa per il ripristino ambientale delle aree più degradate, in modo compatibile con i criteri fitogeografici e fitosociologici. Inoltre, la fabbrica del verde può costituire un campo sperimentale utile per la ricerca pura e applicata, in riferimento anche alle attività che si svolgono nelle Università e nei Centri di Ricerca della Sardegna. Un segmento può essere altresì riservato alla produzione di piante officinali, ed un altro alla produzione di compost e ammendante di origine vegetale.

Le attività della fabbrica del verde possono rappresentare un contributo insostituibile alla vita del "Parco". Inoltre la creazione di questo Centro può essere utile per le attività didattiche e di sperimentazione dei corsi di laurea in Scienze Ambientali e Scienze Forestali dell’Università di Nuoro.

Nel campo agro-alimentare la potenzialità può essere sviluppata valorizzando i prodotti tipici, per i quali si può istituire un "Marchio dei prodotti tipici del Parco" (solo per citarne alcuni: il miele, i prodotti legati alla lavorazione del latte, quali formaggio e ricotta, i dolci tradizionali, le lavorazioni delle carni suine, ovine e caprine per la produzione di insaccati ecc.) In questo campo, già il solo consumo interno offre ampi spazi di mercato, in quanto la Sardegna importa prodotti dell’agricoltura e della zootecnia per quasi 280 MLD/anno e ne esporta per poco più di 100 MLD/anno.

 

La piccola o media industria, che rappresenta, nella attuale fase, un soggetto economico di primario interesse, ha ricevuto interessanti contributi dallo Stato Italiano e dalla Regione Sarda (L. 221/90 – L.R. 15/94), finalizzati alla riconversione delle aree minerarie dismesse. Ad essa è affidato il compito di sviluppare gran parte delle azioni collegate con le altre iniziative del Parco: (edilizia, componentistica per l’arredamento, nautica da diporto, industria conserviera, ecc.).

Per l’importanza che questo obiettivo riveste, l’EMSA ha deciso di partecipare ad un Progetto di cooperazione internazionale, finanziato dall’Unione Europea, con regioni di altri Paesi (Galles, contea di Hordland in Norvegia e regione di Gyor in Ungheria) che hanno affrontato, stanno affrontando o si accingono a farlo, il problema delle riconversione economica e sociale di territori caratterizzati da una monocultura industriale. Il Progetto ECOS OUVERTURE ‘97-’99 nel quale i partners metteranno insieme le loro esperienze e le rispettive ipotesi di soluzione, si propone, appunto, di pianificare l’inserimento, nelle aree interessate, di una serie di piccole e medie imprese, basandosi principalmente sulla valorizzazione delle risorse e delle peculiarità locali in collegamento con logiche di spazio europeo (direttrici per la promozione).

 

Il recupero dei compendi immobiliari è indispensabile, se non si vuole correre il rischio di perdere irrimediabilmente una enorme quantità di fabbricati che dovranno essere destinati a nuovi usi.

Il recupero dei fabbricati, già finanziato per oltre 20 MLD di interventi dalla L.204/93, consentirà la disponibilità di una vastissima dimensione di ambienti da destinare, con il coinvolgimento di operatori privati e nel rispetto e in compatibilità con le tipologie architettoniche a:

ricettività turistiche, in presenza di una consistenza delle strutture ricettive/posti letto che in Sardegna ha registrato tra il ’90 e il ’94 (ultimi dati disponibili) una crescita del 6,6%, in controtendenza rispetto al dato riferito al Mezzogiorno e al resto d’Italia;

presidi residenziali socio assistenziali, che registrano in Sardegna una disponibilità di 3 posti letto per 1.000 abitanti, a fronte del 5,4 posti disponibili in Italia;

creazione di piccoli "distretti" dedicati all’insediamento di botteghe di artigianato, soprattutto artistico;

strutture museali;

centri servizi;

centri di formazione universitaria e professionale.

 

A sostegno del nuovo sviluppo atteso nelle aree del Parco, è indispensabile programmare una efficace rete di servizi e attività del terziario.

La presenza di questo segmento, al momento marginalmente presente, per sviluppo spontaneo, nell’agriturismo e nello spettacolo, può assumere un ruolo rilevante, affiancandosi alle attività principali, nel campo della ristorazione, dei trasporti, dei servizi balneari, delle visite guidate ai musei, dell’archeologia mineraria, degli itinerari naturalistici etc.. E’ un settore, questo, dove piccole aziende familiari e, soprattutto, cooperative di giovani possono svolgere un ruolo di primo piano.

Non va infine trascurata la possibilità di offrire adeguati servizi avanzati che, con l’utilizzo di strumenti telematici, siano in grado di mettere a disposizione degli utenti tutte le informazioni continuamente aggiornate necessarie per "orientarsi" all’interno del Parco.

 

Presidio Minerario

La costituzione di un "Presidio minerario" formato da tecnici e da addetti in possesso di varie qualifiche minerarie (minatori, armatori, fuochini, impiantisti, addetti al trattamento dei minerali etc.) si rende indispensabile sia per garantire che non vadano dispersi un’arte e un mestiere che nel corso dei secoli sono diventati una vera e propria "cultura", sia per il mantenimento in buon stato di conservazione di tutte quelle strutture minerarie (pozzi, gallerie, impianti ecc.) che dovranno essere conservate per contribuire a formare il patrimonio di archeologia mineraria. Non può altresì essere sottovalutato il contributo che il Presidio Minerario può fornire nel campo della "formazione professionale", soprattutto pensando ai Paesi in via di sviluppo, che, nel giusto tentativo di affrancarsi della atavica dipendenza dai Paesi più industrializzati, necessitano, per poter sviluppare un ruolo attivo nello sfruttamento delle proprie materie prime, di formare maestranze all’altezza del compito. In tal senso, un Presidio Minerario che possa, anche a titolo dimostrativo, mantenere aperti cantieri e impianti minerari, dove si esercitano e si insegnano le diverse tecniche, avrebbe un ruolo non secondario.

Proprio in Sardegna si è capita l’importanza del ruolo di un Presidio Minerario con i compiti citati, quando, poco meno di venti anni fa, ha preso corpo il Progetto di ripresa produttiva del bacino carbonifero del Sulcis. Uno dei problemi che si sono immediatamente presentati, considerato il lungo tempo trascorso dall’interruzione dell’attività, è stata la qualificazione del personale da adibire allo sfruttamento del carbone, per cui la nuova società è stata costretta a svolgere corsi di qualificazione per minatori, inviando i propri dipendenti presso miniere ubicate fuori dall’Italia.

Il Presidio Minerario sarà altresì funzionale al monitoraggio e all’utilizzo e alla valorizzazione di acque e cavità sotterranee, anche in connessione con possibili utilizzi produttivi, e potrà efficacemente essere inserito nei circuiti turistici.

 

Prospettive di significato museale

Il recupero conservativo delle strutture minerarie di particolare interesse (pozzi, gallerie, impianti di carreggio e di sollevamento, trattamento, arricchimento, ecc.) rendono possibile la realizzazione di irripetibili "Percorsi di Archeologia Mineraria", dove si potrà cogliere la testimonianza di ciò che l’uomo ha saputo realizzare nel corso della sua storia con impegno e sacrificio e, soprattutto, con ingegno e intelligenza. Le miniere sarde presentano grandi possibilità per la disponibilità di strutture minerarie, forse uniche nel loro genere, in grado di conservare la memoria storica, documentando l’evoluzione di un’arte antica, che ha segnato nel tempo una delle tappe più straordinarie del progresso dell’uomo.

Non meno importante è la prospettiva di realizzare, in alcuni dei fabbricati più suggestivi, in parallelo con i circuiti di archeologia mineraria, strutture museali in cui conservare ed esporre, oltre ai documenti e alle tradizionali attrezzature e macchine da miniera, i campioni geo-litologici che rappresentano la storia geologica della Sardegna, la ricostruzione dei principali giacimenti minerari, riproduzioni in scala su plastico di impianti estrattivi e di lavorazione, ecc.

L’obiettivo, in sostanza, è quello di creare, nel contempo, risposte e stimolo ai bisogni di un’utenza culturale non più limitata a pochi studiosi, ma estesa ad una frequentazione che, sulla scorta anche degli esempi registrati in altri Paesi, ha le potenzialità per assumere la dimensione di vasto pubblico desideroso di riscoprire, attraverso la visita alle testimonianze minerarie del passato e a vestigia che portano i segni ed il fascino dei secoli, un pezzo della propria storia.

 

Prospettive di significato didattico.

Uno dei compiti fondamentali che dovrà essere svolto dal "Parco" è quello Didattico-Scientifico. L’opportunità di calare sul territorio, in stretto collegamento con le istituzioni preposte (Università, Istituto Minerario ecc.), corsi di livello universitario e post-universitario per lo studio integrato dalla sperimentazione e dalla ricerca può offrire una serie di applicazioni dirette nelle discipline della mineralogia, giacimentologia, geologia, arte mineraria e trattamento dei minerali, ambiente e territorio, scienze naturali, ecc. Del resto, questa è una strada che già si sta percorrendo con i corsi di livello universitario già istituiti ad Iglesias (Scienze dei materiali) e in corso di istituzione a Montevecchio (Scienze ambientali).

Sempre in questo campo rientra, altresì, la programmata istituzione di un Centro internazionale di formazione per tecnici minerari e ambientali dei Paesi in via di sviluppo, promossa dal Ministero degli Affari Esteri, e che coinvolge, oltre all’EMSA in qualità di coordinatore, l’ENEA, l’AMPA, la SNAM, l’Università di Cagliari e l’ICS-UNIDO (Emanazione ONU).

La scuola, che si avvantaggerà della presenza nell’area del Sulcis Iglesiente di una serie di opportunità quali Società minerarie, laboratori, impianti pilota e un ambiente geologico di straordinaria importanza, avrà come indirizzo centrale il tema dello sviluppo industriale compatibile con la salvaguardia dell’ambiente e potrà affiancare ai corsi regolari di media durata insegnamenti monotematici incentrati su problematiche specifiche.

Ancora nel campo della formazione didattica, un estremo interesse è altresì da attribuire alla costituzione di una scuola di livello post universitario, destinata alla formazione di una figura professionale, quella del geoingegnere, di cui si sente una elevata necessità e che oggi ha modo di formarsi soltanto attraverso l’esperienza pratica.

Questa esigenza si ricollega alla più generale carenza di uno stretto rapporto fra formazione scolastica e impresa, e può trovare favorevole soluzione nel contesto della iniziative individuabili all’interno del Parco Geominerario, considerando le numerose sinergie sviluppabili.

La scuola di cui trattasi, che avrebbe valenza internazionale, sarebbe destinata a chi (progettisti e responsabili di cantiere) deve operare nei settori delle costruzioni delle grandi gallerie, del consolidamento del suolo e delle rocce, delle realizzazioni in sotterraneo, affrontando in modo corretto una serie di problemi connessi ai delicati equilibri dei terreni, che richiedono competenze che vanno dalla geologia, alla geotecnica, all’idraulica, non trascurando le variabili forestali e ambientali in genere.

 

Prospettive di significato scientifico e tecnologico

Il potenziamento delle reti scientifica e tecnologica, che registrano già in Sardegna significative presenze, è una delle più qualificate opportunità che possano essere colte per il riutilizzo delle strutture minerarie dismesse.

Esistono già, in proposito, delle proposte formulate dall’EMSA e dall’Università di Cagliari, riguardanti un Centro per lo sviluppo delle scienze dei materiali ed un Centro per lo sviluppo delle scienze ambientali.

Il primo di essi prevede la creazione, ad Iglesias, di un Centro di ricerche e sperimentazioni nell’ambito delle scienze dei materiali e delle tecnologie avanzate, con l’obiettivo principale quello di fornire un servizio a livello locale e internazionale di supporto all’attività industriale. Particolare attenzione verrà posta alla valorizzazione delle materie prime ed alla sperimentazione di tecnologie per il riciclo a scopo produttivo di rifiuti industriali provenienti principalmente da attività estrattive e metallurgiche.

Le prestazioni del Centro consisteranno anche in determinazioni analitiche e caratterizzazioni tecnologiche su materie prime, ed in supporti per l’attività didattica, con particolare riferimento al Corso per il Diploma in Scienze dei Materiali, istituito dall’Università di Cagliari con sede staccata ad Iglesias.

Il secondo progetto riguarda un Centro di ricerca per l’ambiente insulare mediterraneo e per il recupero ambientale delle aree minerarie, da ubicarsi a Montevecchio, che si propone di svolgere attività in campo biologico, geologico-ambientale e marino, idrogeologico e meteorologico, relativamente all’area mediterranea, con particolare attenzione alle problematiche delle isole e delle regioni della sponda meridionale (desertificazione, approvvigionamento idrico, risorse costiere e marine).

Il centro si propone altresì di svolgere studi nel settore geotecnico, mineralogico-geochimico, ingegneristico-ambientale e biotecnologico per la classificazione del rischio di inquinamento da metalli pesanti, la sua prevenzione e, ove necessario, il ripristino ambientale.

E’, infine, da sottolineare la concreta possibilità di realizzare, con il riutilizzo delle strutture minerarie carbonifere dismesse della miniera di Serbariu, un Centro di ricerca per lo studio e la sperimentazione nel settore energetico, con particolare riferimento all’uso pulito del carbone Sulcis e alle altre fonti energetiche rinnovabili.

In questa direzione si tratta di razionalizzare e potenziare un’attività di ricerca che l’EMSA già conduce attraverso la società SOTACARBO, a cui partecipano i principali enti energetici nazionali (ENI – ENEL – ENEA)

Ancora, e da ultimo, si ritiene significativo richiamare l’attenzione sul fatto che le opportunità che potranno scaturire dalla istituzione del Parco sono interagenti, creando benefici che si potenziano a vicenda e innescando un circuito virtuoso capace di aiutare a creare i presupposti perché la Sardegna esca dalle condizioni di sottosviluppo.

Nei capitoli di cui si compone il presente dossier, si è cercato di rappresentare, se pure con la necessaria sintesi richiesta dal lavoro, la consistenza e la complessità che caratterizza il patrimonio geominerario della Sardegna, che per le sue peculiarità risulta meritevole dell’attenzione dell’UNESCO per favorirne il processo, peraltro già avviato, di salvaguardia e di valorizzazione.

Assieme alla ricchezza delle emergenze geominerarie che si manifestano in numerosi siti sparsi su tutta la superficie dell’Isola, e che trovano la loro sintesi dal punto di vista storico, tecnico e scientifico nelle 8 aree inserite nella proposta per l’istituzione da parte dell’UNESCO, del Parco Geominerario della Sardegna, è stata rivolta particolare attenzione alle valenze naturali e alle testimonianze archeologiche che in misura rilevante, per consistenza ed importanza, sono presenti nelle stesse aree minerarie.

La contestuale presenza delle emergenze geominerarie, delle valenze naturali e delle testimonianze archeologiche ha permesso di effettuare una prima delimitazione delle aree attraverso le quali è stato possibile ricostruire un originale circuito a rete che, oltre a risultare fortemente rappresentativo della storia mineraria dell’Isola, consente contemporaneamente di attribuire uno straordinario valore storico e ambientale al Parco Geominerario della Sardegna.

I reperti archeologici e le testimonianze dell’attività estrattiva consentono di ricostruire le vicende che in più di 8.000 anni hanno segnato in modo indelebile l’opera degli uomini che sono stati i protagonisti della storia mineraria della Sardegna.

Si tratta di vicende che hanno interessato in prima istanza le popolazioni autoctone sin dal periodo Neolitico e Nuragico, ma che ben presto hanno coinvolto popolazioni, culture e civiltà esterne alla Sardegna: dai Fenici ai Cartaginesi e ai Romani, dai Vandali ai Bizantini, dai Genovesi ai Pisani, fino alle grandi compagnie minerarie europee che hanno contribuito, nell’era industriale, allo sviluppo della civiltà industriale della Sardegna.

Se da una parte la ricchezza delle miniere ha richiamato nell’Isola invasori, generando sofferenze, oppressioni e sfruttamento delle popolazioni locali, dall’altra parte bisogna riconoscere che tali vicende hanno contribuito

in misura rilevante ad aprire ai Sardi gli orizzonti più ampi della cultura mediterranea ed europea ed a creare occasioni di confronto e di scambio sul piano economico e civile.

Le vicende millenarie delle miniere, che hanno profondamente segnato la storia dell’intera Sardegna, sono state un crocevia importante di questo confronto ed hanno contribuito ad alimentare un reciproco arricchimento di culture, tradizioni e civiltà differenti.

Le miniere della Sardegna sono dunque state, è vero, momento di oppressione e di sfruttamento, ma anche terreno fecondo per coltivare e diffondere valori e messaggi universali.

E’ proprio con questa consapevolezza che la Regione Autonoma della Sardegna intende riscoprire e valorizzare la storia e la cultura mineraria dell’Isola, proiettandola in un orizzonte mediterraneo ed europeo con l’obiettivo di riproporre e diffondere a livello internazionale i valori che essa è stata in grado di generare.

In quest’ottica e con questo spirito, il riconoscimento da parte dell’UNESCO del Parco Geominerario della Sardegna acquista un significato non solo simbolico, ma anche sostanziale, in quanto rappresentativo di un primo significativo atto che consenta alla Regione Sarda e alle popolazioni interessate di guardare alla valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale e alle risorse storiche e ambientali di cui si può disporre nelle aree minerarie dismesse come ad una grande opportunità per la loro rinascita economica e sociale.

Le diverse aree, di cui si compone il sistema di Parco Geominerario della Sardegna, sono caratterizzate da una difficile situazione economica, che trova la sua origine nell’esaurirsi dell’attività mineraria che per secoli ha rappresentato la principale fonte di reddito delle popolazioni interessate.

Se l’istituzione del Parco può rappresentare un’importante opportunità per lo sviluppo dell’attività turistica, è anche indispensabile tenere presente che la sola attività del Parco non potrà risolvere i grandi disagi economici e sociali che attraversano le popolazioni residenti.

Per questa ragione è indispensabile che nelle aree inserite nel Parco venga favorito un processo di sviluppo sostenibile, basato sulla valorizzazione delle risorse fisiche e umane disponibili, che ne assicuri la compatibilità e l’integrazione con le attività del Parco.

In questa direzione si ritiene debba essere orientato lo studio di fattibilità per l’istituzione del Parco, che la Regione Autonoma della Sardegna ha già deliberato di attuare, incaricando per la sua esecuzione l’Ente Minerario Sardo.

La programmazione del nuovo tessuto economico da inserire nelle aree del Parco dovrà tenere conto e armonizzarsi con le scelte strategiche dell’Unione Europea, tese a favorire lo sviluppo delle aree depresse in un’ottica di riequilibrio territoriale orientato sempre più verso la globalizzazione dei mercati.

A tale esigenza si ritiene di poter fornire delle utili indicazioni con il già richiamato progetto ECOS OUVERTURE, finanziato dall’Unione Europea, che l’Ente Minerario Sardo si sta apprestando ad eseguire in collaborazione con altre Regioni Europee dell’Inghilterra, della Norvegia e dell’Ungheria, che attraversano gli stessi problemi di riconversione economica e sociale presenti nelle aree minerarie dismesse della Sardegna.

Si è ben coscienti che l’accoglimento da parte dell’UNESCO della proposta per la dichiarazione istitutiva del Parco Geominerario della Sardegna, primo e unico al mondo nel suo genere, se da un lato costituisce un atto di fondamentale importanza per il sicuro prestigio a livello internazionale che ne deriva, dall’altro comporta, per la Regione Autonoma della Sardegna e per lo Stato Italiano, la necessità di procedere in tempi molto brevi alla formale istituzione del Parco Geominerario della Sardegna.

Ciò dovrà avvenire con l’adozione di uno specifico provvedimento legislativo di livello nazionale, che renda disponibili le risorse finanziarie in misura adeguata alla dimensione e alla peculiarità delle valenze storiche, culturali e ambientali che si devono salvaguardare e valorizzare.

Risulta, altresì, indispensabile concepire una specifica normativa di livello nazionale, sia per il rilievo di carattere internazionale che riveste il Parco Geominerario della Sardegna, sia anche per la necessità di disciplinare e rendere sinergiche le diverse competenze ministeriali che la peculiarità del Parco Geominerario richiede (Ambiente - Beni Culturali e Archeologici – Industria).

La nuova normativa dovrà, inoltre, prevedere adeguate soluzioni che consentano di superare il nodo principale che ha ostacolato finora la concreta istituzione dei parchi naturali. Ci si riferisce, in particolare, al problema della partecipazione e dell’efficienza nella gestione dei parchi che, molto spesso, si è ridotto ad uno sterile dibattito tra centralismo e decentramento che non ha favorito la costruzione del consenso democratico sia nella fase di progettazione che in quella di gestione.

L’istituzione del Parco Geominerario della Sardegna richiede la definizione di un processo istituzionale capace di garantire il governo unitario del sistema, e di assicurare la partecipazione e il coinvolgimento degli Enti Locali Territoriali, delle Forze Sociali e Culturali, delle Associazioni Ambientalistiche.

Particolare attenzione dovrà essere rivolta alla definizione della struttura che dovrà assicurare il governo unitario del sistema, la integrazione del Parco con altre esperienze di livello regionale, nazionale e internazionale, e soprattutto la promozione e il sostegno delle attività economiche eco-compatibili che la creazione del Parco deve favorire.

Bisogna muoversi fuori da modelli precostituiti, poiché il Parco Geominerario della Sardegna deve essere considerato un Parco speciale e originale, in quanto risulta unico nel suo genere a livello internazionale.

Esso deve essere inteso come un sistema di aree diverse e fisicamente distinte, non solo per la delimitazione territoriale e la competenza istituzionale, ma anche per la funzione sociale ed economica che le diverse aree hanno rappresentato nella storia della Sardegna.

Nel contempo, risulta evidente l’importanza, e forse la necessità, di collegare organicamente le diverse aree in un sistema a rete.

Il Parco Geominerario della Sardegna deve essere il risultato di un’azione di sintesi, unitaria e organica, capace di connettere le diverse aree ed i vari siti minerari per costruire un moderno Distretto Minerario Ambientale.

Il Distretto Minerario Ambientale può essere assunto come area territoriale di riferimento, unitaria e omogenea, per individuare la perimetrazione provvisoria, le azioni di pianificazione, gli indirizzi e le azioni per la realizzazione del Piano del Parco.

Il Parco Geominerario della Sardegna così concepito assume diverse valenze. E’ un processo di innovazione economica (avvio di uno sviluppo sostenibile ed eco-compatibile, nel quale la pianificazione e i vincoli costituiscono opportunità); è un processo sociale e culturale (incontro fra sapere tecnico-scientifico e sapere comune); è un processo istituzionale (necessità di coniugare centralismo e autonomismo, poteri dei Comuni, delle Provincie, della Regione e dello Stato).

La sfida è dimostrare che il Parco sa coniugare gli elementi di redditività economica, benessere sociale, recupero dei valori storici e dell’identità delle comunità.

Sono obiettivi che possono essere conseguiti attraverso l’adozione di una pianificazione partecipata, che sappia armonizzare vincoli e nuove opportunità di sviluppo qualificato.

L’esperienza dimostra che l’incontro fecondo fra sviluppo, economia, istituzioni e società si realizza quando si afferma la "cultura del fare", quando i processi e le decisioni istituzionali sono sostenuti da solidi indirizzi tecnico-scientifici e da robuste e moderne competenze gestionali.

In questo senso il Parco Geominerario della Sardegna può e deve essere lo strumento per creare una moderna industria per la promozione, la valorizzazione e la gestione delle risorse geo-ambientali.

Questi obiettivi possono essere conseguiti attraverso una struttura caratterizzata da una forte competenza tecnico-scientifica, capace di dialogare e interagire con le più moderne esperienze industriali e della ricerca applicata a livello mondiale e di offrire il supporto per la realizzazione delle attività nei distretti minerari ambientali.

Tale struttura avrebbe il compito, tra gli altri, di coordinare e governare il sistema garantendone una proiezione di livello internazionale, adeguatamente orientata da un comitato istituzionale e da un comitato scientifico.

Conclusivamente appare opportuno richiamare alcune considerazioni sui benefici di carattere generale che potranno prodursi nelle aree in cui si articola il Parco Geominerario della Sardegna.

Innanzitutto, è più che evidente che il Parco non si propone di conservare staticamente un insieme di valori. La realizzazione delle iniziative ipotizzate promuoverà crescite culturali, sviluppo economico articolato, flussi turistici, nuova industria compatibile con l’ambiente, opportunità di relazioni con altri Paesi, un quadro, quindi, di dinamicità, motore di un nuovo e più avanzato assetto socio-economico.

Sotto quest’ultimo aspetto, il Parco potrà dare un contributo importante alla soluzione di uno dei più gravi e sentiti problemi che penalizzano la Sardegna: quello dell’elevato tasso di disoccupazione. Su una popolazione residente di circa 1.650.000 abitanti, si registra un totale di forza di lavoro di 620.000 unità, delle quali 490.000 occupati e ben 130.000 in cerca di occupazione (tasso del 21%, contro il 12% nazionale).

Si tratta di recuperare e valorizzare il patrimonio di esperienze tecnico-professionali maturato in Sardegna presso le attività minerarie tradizionali, operando, se necessario, con azioni di aggiornamento e riqualificazione professionale e indirizzando queste esperienze per la realizzazione nell’Isola di una moderna industria per le risorse geo-ambientali.