In Umbria fiorì nel se. XIII la più schietta
poesia italiana delle origini. Fiorì in pieno medioevo, quando il conflitto
fra l'Impero e la Chiesa, che caratterizzò politicamente quell'epoca, si
ramificò nelle discordie fratricide ed esplose entro le mura della stessa
città, fra i sostenitori dell'uno e i seguaci dell'altra; nelle cruente
contese che armarono i comuni ghibellini contro i comuni guelfi; negli odi
selvaggi che si scatenarono tra feudatari e feudatari. La vita della città
e dei castelli era più che mai travagliata da ingiustizie, soprusi, vendette.
Oddi e Baglioni combattevano in Perugia, Orvieto era dilaniata dalle rivalità
dei Monaldi e dei Filippeschi, e in Todi, ghibellina, i Chiaravalle infuriavano
contro le famiglie guelfe degli Atti e dei Candidi. Le colline popolate
di castelli conoscevano i profondi rancori dei feudatari. Ma proprio in
questo tragico infuriare di passioni si levò sull'Umbria il canto della
pace. Era scaturito dalla vita intesa come amore; era alimentato dalla fede
che vince ogni contrasto e che unisce gli uomini in un vincolo di fratellanza
universale; ma quel canto nel sentimento che abbraccia con purezza tutte
le creature, estendeva la fratellanza in Dio al sole, e al foco, a sora
nostra matre terra, alle stelle preziose clarite e belle, dall'uomo, ad
ogni essere vivente ad ogni aspetto naturale, nulla si sottraeva allo sguardo
innamorato di San Francesco, che esaltava Dio per tutte le creature. Quell'inno
è il miracolo di un fiore sbocciato nel deserto. E' la più limpida esaltazione
della vita colta nella sua totalità, e, come tale, è avulso dal suo tempo;
San Francesco aveva in sé la pace, ne fece dono a quanti ebbero in sorte
di stargli vicino e la portò dove regnava la discordia,; ma di questa sua
esperienza nulla rimane nel canto che gli sgorgò dal cuore; nessun sentimento
ispirato alla particolare condizione politica del suo tempo vive nel Cantico
delle Creature: non il desiderio di evadere dalla realtà, innalzando lo
sguardo a Dio, non la pietà per gli uomini che può tradursi nell'accorato
invito a ripudiare le feroci passioni terrene o nello sdegno per la cecità
spirituale che spegne gli occhi alla gran luce di Dio. L'inno di San Francesco
è una gaudiosa contemplazione dell'opera divina. E' una lauda radiante di
sole, luminosa di clarità di stelle, ricca del vario colore delle stagioni
che, alternandosi, vestono di sempre nuove sembianze la terra, è una robusta
adesione della volontà dell'uomo alla volontà divina. "Laudato si, mi Signore,
per quilli che perdonano per lo tuo amore, e sostengono infirmitate e tribulatione.
Beati quilli che sosterranno in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati."
E' pienezza di fede nel convincimento della beatitudine che attende, dopo
l'abbraccio con "sora nostra morte corporale" "tutti quilli che se trovarà
ne le .. sanctissime voluntati .. " di Dio. Il Cantico delle Creature è
vita che si fa parola di poesia. |