Perugia by night: la guida turistica di Perugia
 
Spoleto
"Spoleto e il Festival dei due Mondi", un'associazione d'idee scontata quando si parla di questa città umbra. Il Festival, che fu ideato dal compositore italo - americano Gian Carlo Menotti, è una manifestazione culturale di grande pregio artistico e di nobile intento civile. Si tiene annualmente tra giugno e luglio. In questi due mesi la città, silenziosa e austera nel resto dell'anno, si fa rumorosa e gaia per l'affluire d'una folla cosmopolita, richiamata dagli spettacoli musicali e teatrali messi in scena durante la stagione, e acquista un'atmosfera particolare, paragonabile forse ad un brano musicale la cui tematica giochi continuamente sulla discordanza delle note. Spoleto (40000 abitanti), così aspra e pietrosa, digradante al piano lungo le verdi pendici del Monteluco, questa Spoleto che racconta la sua storia nelle faticose stradette in salita, lastricate da secoli a larghe e solide pietre irregolari, o nell'improvviso slargo d'una piazza rinascimentale; questa Spoleto che vanta la possente impronta della romanità nei ruderi monumentali del Tempio romano e nella casa di Vespasia Polla, e che custodisce il ricordo del cristianesimo primitivo in alcune antichissime chiese, non indulge alla modernità. Sembra essersi arrestata al tempo della sua nobile storia comunale. L'afflusso di turisti che fanno sonore le sue strade e le sue piazze, fra giugno e luglio, crea un fuggevole movimento moderno su uno statico sfondo antico e dà, a prima vista, l'impressione di un'incoerenza, di una discordanza.

Spoleto: veduta del Duomo

Eppure la teatralità naturale dell'architettura spoletana, che, così varia di stili, è però armoniosissima, ha la viva suggestione del ricordo e l'infonde a chi visita la città, predisponendo lo spirito a godere di quella manifestazione genialmente ideata da un italo- americano, che certo sente quanto il dono divino della memoria sia inscindibile dall'arte. Ritroviamo lo spirito antico di Spoleto percorrendo passo passo le vie cittadine: "Forza, nobiltà, tenacia sono i tratti salienti della psicologia spoletina". La Porta Fuga o di Annibale ricorda, secondo la testimonianza di Tito Livio, con quale ostinata e inesauribile energia gli abitanti della città, da tempo colonia romana, resistettero all'assedio del generale cartaginese che già aveva sconfitto i nemici presso il lago Trasimeno (217 a.C.). Ancora intatta, rammenta a chi l'osserva che proprio al suo varco Annibale fu costretto a volgere al piano, respinto, dopo ripetuti e inutili assalti, dalla gente di Spoleto. Ma altri e più cruenti assedi dovette sostenere la porta nel lento volger dei secoli. Le conquiste mutilarono il popolo e la città; tuttavia l'alternarsi dei poteri segnò un'impronta indelebile nella pietra che, scoperta alla luce del sole, non richiede il lavoro paziente dell'archeologo per esprimere, nel variare delle architetture, l'inarrestabile moto della storia. La via del Palazzo dei Duchi, fiancheggiata da edifici medievali, evoca il riordo della Spoleto longobarda,; riporta alla memoria la fosca potenza di Foroaldo, Aiulfo, transamondo che qui, dopo la conquista, posero la sede del loro ducato, e soprattutto la regalità di Spoleto ai tempi di Guido e di Lamberto, imperatori del Sacro Romano Impero. Ma l'evocazione della breve potenza terrena è soffocata dal fascino delle chiese che, senza distogliere il nostro spirito dal ricordo del passato, ne confortano quella nostalgia sottile che inavvertita vi si insinua, come un presentimento di morte, e lo innalzano al di sopra del tempo al pensiero dell'Eterno. Uno dei più suggestivi esemplari d'architettura classico - cristiana è la Basilica di San Salvatore che sorge fuori Porta Garibaldi, poco lontano dai ruderi del ponte romano riportato alla luce nel 1817. La Chiesa è a tre navate e risale alla fine del IV secolo d.C. La facciata, che si concludeva probabilmente con un timpano, è a due ordini: in quello inferiore si aprono tre portali, in quello superiore tre finestre; unico elemento ornamentale, uno stupendo fregio marmoreo che contorna porte e finestre.
Un'altra bella Chiesa spoletina è Santa Eufemia, la cui costruzione risale al X secolo. Essa ci accoglie, poco lontano da Piazza del Duomo, con la semplicità di una facciata spoglia di decorazione, come gli interni, le cui pareti, d'un grigio uniforme, non hanno una nota di colore. Ma la semplicità di Sant'Eufemia è apparente. La sua bella architettura cela agli occhi poco esperti l'incontro di almeno tre stili, e se sembra fiorita da una sola ispirazione, è perché questi sono accordati fra loro in perfetta armonia. Lo spazio interno è diviso in tre navate con eleganti sostegni di colonne e di pilastri, tratti da frammenti architettonici romani, bizantini e protoromanici. Sant'Eufemia è una bella eccezione fra le Chiese umbre: è la sola dotata di matronei che, disposti in duplice fila, come i palchi d'un teatro, creano un dinamico gioco di luci e d'ombre, giustificando, con questa suggestiva impressione di chiaroscuro, l'assenza di pitture e di elementi decorativi. Percorrendo via dell'Arringo si giunge alla Piazza del Duomo, che nella varia prospettiva dell'architettura spoletina, "rivela un'armonia a sé come un a solo nella complessa sinfonia". Il Duomo, il più insigne monumento della città, risale alla fine del XII secolo; sorse sulle rovine di una preesistente Cattedrale distrutta dal Barbarossa insieme a Spoleto nel 1155. La facciata, del tipo umbro, è illeggiadrita da un rosone centrale e da sette rosoncini minori. Alla sua sinistra si eleva un bellissimo e poderoso campanile, costruito con blocchi già appartenuti a monumenti antichi.
L'interno, a croce latina a tre navate, conserva sopra il portale mediano, il busto di Urbano VIII, opera del Bernini, e nell'abside si possono ammirare affreschi di Filippo Lippi. Nella Cappella della SS. Icona è custodita una preziosa immagine della Vergine, dipinto bizantino, che, secondo una pia leggenda si attribuisce a San Luca, e si dice sottratto a Costantinopoli alla furia degli iconoclasti; fu regalato alla città, in pegno di pace, da Federico Barbarossa nel 1185. Domina la città la turrita Rocca Pontificia (m 453). La gran mole sta dove sorgeva, millenni fa, l'acropoli umbra. Libera nel cielo e così alta sulla verde vallata, sembra una superba sfida al tempo. Attorno è silenzio. E' spento da secoli l'eco della battaglia che contrappose i nobili di Spoleto alle armate del Cardinale Albornoz, quando questi ristabilì nell'Umbria il potere della Chiesa che, a quel tempo, reggeva da Avignone la cristianità. La Rocca fu eretta, per volere dell'Albornoz, nel 1355; iniziata da Ugolino di Montemarte fu proseguita e condotta a termine da Matteo di Giovannello da Gubbio, detto Gattaponi. Vi dimorarono Pontefici e Principi; fu corte splendida di Lucrezia Borgia che governò la città dal 1499 al 1502. Dal viale che circonda la fortezza dei Papi si gode un panorama stupendo. Il nostro sguardo indugia malinconico sul libero slancio d'un ponte che, valicando il Tessino, sembra allacciare il Monteluco, ombroso d'elci, alla Rocca, bianca nella chiarità del sole. E' il ponte delle Torri, un capolavoro dell'architettura militare, eretto in epoca romana, ma varie volte restaurato nel medioevo. Al di là del ponte si eleva il Monteluco a creare un magico sfondo a Spoleto. La città giace sulle estreme pendici, poderosa roccia affiorante nel verde. La sua pietra, tolta dal monte da mani pagane e da mani cristiane, divenne casa, teatro, tempio e gli elci, che vestono bruni il calcare del Monteluco, avvolsero negli incantati silenzi dei boschi i sacerdoti pagani e gli anacoreti cristiani. E ancora la voce divina di questi silenzi ci rapisce l'anima, mentre cerchiamo i sentieri cari a San Francesco. Certo anch'egli sostò in preghiera nella Chiesa di San Pietro, una delle più antiche di Spoleto, interessantissima per la facciata riccamente adorna di tasselli in rilievo, che presentano i simboli del cristianesimo primitivo. Continuando il nostro religioso pellegrinaggio su per la mulattiera del Monteluco, raggiungiamo la Chiesa di San Giuliano. Questa chiesa, dedicata al martire siriano di cui porta il nome, è suggestiva per l'armonioso accordo di elementi architettonici dei secoli VI e XII, ma soprattutto per lo sfondo naturale che l'incornicia.
     
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