Perugia by night: la guida turistica di Perugia
 
 
Umbri famosi
 
     
La provincia di Perugia, per la varia bellezza del paesaggio e la fecondità delle sue campagne, è ricca d'una felicità naturale che si è tentati di porre in relazione con il temperamento del suo popolo, una gente che sa dare alla vita il suo giusto valore e che si è espressa nella parola nostalgica di Properzio e nel canto sdegnoso di Jacopone da Todi, come nel magico colore di Oderisi da Gubbio, nelle incantate visioni del Perugino e nella festosità narrativa del Pinturicchio, nella santa follia di Francesco d'Assisi e nella mistica saggezza di Benedetto da Norcia, nella straordinaria ambizione e nell'energia vulcanica di Braccio Fortebracci da Montone.
     
Properzio    
Properzio nacque in Umbria nel 47 a.C. Egli stesso si dice nativo di un paese tra i monti, cinto "da alte mura dalla parte della nebulosa Mevania e del lacus umber" poco lontano da Perugia; anche le numerose iscrizioni della gens Propertia, rinvenute nel territorio d'Assisi, ci inducono a riconoscere in questa terra la patria del poeta latino. Ma a Roma, dove si trasferì fanciullo con la famiglia, Properzio visse i brevi anni della sua giovinezza, bruciato con pari ardore da due passioni, la poesia e l'amore. Nell'atmosfera colta e raffinata della Roma augustea il giovane umbro compì gli studi e, ben presto, si fece notare per la vivacità del suo ingegno. Entrato nel cenacolo di Mecenate, conobbe Virgilio che gli fu amico e maestro. Questa amicizia era nutrita dagli interessi letterari comuni, e forse rafforzata da una stessa dolorosa esperienza. Properzio era venuto a Roma dalla nativa Umbria perché i suoi genitori, ricchi possidenti, erano stati espropriati delle loro terre. E' noto che Virgilio, per lo stesso motivo, aveva lasciato la terra mantovana. In questa bella amicizia il poeta più maturo era destinato ad influenzare il più giovane che pure era dotato di una sua ricca ed originale vena poetica. Infatti le Elegie romane, composte da Properzio con l'intento di celebrare le glorie di Roma, risentono dello spirito epico virgiliano. Ma la vera ispiratrice di Properzio non fu la storia, fu Hostia, una matrona romana che egli chiamò Cintia. Per lei sola scrisse i primi due libri delle sue Elegie che sono i più vivi di tutta la raccolta consistente in quattro libri. Cintia morì fra il 20 e il 19 a.C. Pochi anni dopo anche Properzio moriva.
     
San Benedetto e Santa Scolastica    
Benedetto nacque a Norcia nel 480 d.C. I suoi genitori, patrizi romani, lo affidarono alle cure della nutrice Cirilla che era fervente cristiana. Come a tutti i bambini anche a Benedetto piacevano le favole. Cirilla le raccontava molto bene, ma non erano fantasiose invenzioni le sue; essa si ispirava alle vite dei martiri. Quei martiri furono gli eroi del patrizio Benedetto che crebbe col desiderio d'imitarli. Ancor giovanetto si allontanò dalla sua ricca casa e si ritirò a vivere in una grotta sul monte Subiaco. Si nutriva di erbe, di radici e di preghiere. Lo trovò un giorno, sfinito, un sacerdote che giunse alla sua spelonca, guidato da una voce divina. Si sparse attorno la notizia e molti giovani, stanchi della loro vita, accorsero da Benedetto. Egli capì allora che Dio non gli chiedeva di starsene solo, e ai suoi amici insegnò la preghiera e il lavoro. A Subiaco, insieme, eressero la prima casa dell'Ordine Benedettino. "Ora et Labora" era la loro regola e norma di vita. A quel monastero, tratta dallo stesso desiderio di pace in Dio, giunse anche Scolastica, la sorella di Benedetto, che poco lontano fondò il secondo convento benedettino. Ma la pratica della vita monastica, a Subiaco, fu funestata dall'invidia di un falso prete, chiamato Fiorenzo, che più volte, con ogni mezzo, attentò alla vita e all'anima dei Monaci. Così Benedetto e Scolastica si allontanarono dai quei luoghi e vennero dai pastori pagani di Montecassino; e i pastori credettero, e due altri monasteri accolsero i neofiti. San Benedetto e Santa Scolastica morirono nello stesso anno (547) a pochi giorni di distanza.
     
San Francesco    

Francesco nacque ad Assisi nel 1182. Figlio di Pietro Bernardone e di monna Pica, venuta di Provenza, trascorse la fanciullezza e la gioventù nel godimento dei beni terreni. Disperso fuori di sé a inseguire la fuggevole felicità di un piacere, che di continuo deve rinnovarsi e riproporsi sotto nuove forme, per non venire a noia, non aveva tempo di pensare. Ma una malattia che lo colse nel 1204 gli offerse la salutare opportunità di parlare con sé stesso e di scoprire, nel fondo del suo spirito, una desolante scontentezza. Sentì quanto era stata inutile e vana la sua vita fino allora, e, guarito dal male fisico e dall'inerzia spirituale, rinunciò a tutte le cose che gli uomini di solito ambiscono: posizione sociale, ricchezza, onori. Volle essere povero come Cristo, e l'anima gli si arricchì d'amore. In presenza del padre, davanti al vescovo d'Assisi rinunciò a tutti i beni terreni e sposò Madonna Povertà. Una grotta vicino alla chiesetta di San Damiano, fuori le mura d'Assisi, fu la sua casa, dopo quelle simboliche nozze. Lì vissero in letizia di fede Francesco e Povertà. "La lor concordia e i lor lieti sembianti, amore e maraviglia e dolce sguardo facièno esser cagion di pensier santi; tanto che 'l venerabile Bernardo si scalzò prima, e dietro a tanta pace corse e, correndo, li parve esser tardo. Oh ignota ricchezza! Oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro allo sposo, sì la sposa piace." (Paradiso XI, 76 - 84).
Una gioconda fioritura di santità sbocciò dal ripudio della ricchezza terrena. Ricco era Bernardo di Quintavalle e avido il prete Silvestro, che "due volte fece pagare a Francesco le pietre vendutegli per il restauro di San Damiano". Nobili e ricche erano Chiara e Agnese degli Scifi; la prima, fuggita di casa a diciotto anni, fu consacrata a Dio nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli, nel marzo 1212. Pochi giorni dopo la sorella minore imitò il suo esempio. Nella chiesetta di San Damiano, con altre compagne, trascorsero in gaudiosa povertà i loro anni terreni. San Francesco ebbe nel 1210 da Innocenzo III "primo sigillo a sua religione" (Paradiso XI, 93) L'approvazione orale di Innocenzo fu solennemente confermata da Onorio III nel 1223, pochi anni dopo che il poverello era ritornato dall'Oriente. L'Amore lo guidava per le vie del mondo, a tutti egli voleva donare la Verità del messaggio divino che lo faceva libero e felice. Così era partito solo per una crociata di pace (1219) e "nella presenza del Soldan superba predicò Cristo e li altri che 'l seguiro" (Paradiso XI, 101,102).
Il sultano d'Egitto Al-Malik Al-Kamil fu affascinato dalla personalità di San Francesco, ma, avvezzo alle crociate dei cristiani in armi, irrise con compatimento le speranze del piccolo frate. Tornato in Italia, Francesco si ritirò in preghiera sul Monte della Verna, nell'alta valle dell'Arno sopra Arezzo, dove i segni dell'Amore che gli infiammava lo spirito, apparvero anche sulle sue carni: sui piedi e sulle mani gli si segnò sanguigna l'impronta dei chiodi della Croce. Fu questo il terzo definitivo sigillo della regola di San Francesco (1224). Due anni dopo "l'anima preclara mover si volse, tornando al suo regno" (Paradiso XI, 115 - 116) Era il 3 ottobre 1226, il sole volgeva al tramonto: nella Porziuncola, in Santa Maria degli Angeli, si spegneva il giorno terreno di Santo Francesco.

     
Jacopone da Todi    
Uno dei numerosi seguaci di San Francesco fu Jacopo dei Benedetti che nacque nel 1230 a Todi. Nobile, ricco, vivace d'ingegno, innamorato della vita con sana esuberanza, egli dedicò agli studi giuridici e letterari, e ai convegni mondani il tempo della sua giovinezza. Come una malattia distolse Francesco dalle gioie effimere, così la morte della persona più cara spogliò Jacopo della sua travolgente esuberanza vitale. All feste che tanto Jacopo amava, partecipava contro voglia la sua dolce sposa. Ella morì durante uno di quei convegni; cedette all'improvviso il pavimento della sala dove gli ospiti danzavano, e la donna fu travolta dal crollo. Jacopo provò orrore di sé, della sua vita gaudente e, con feroce voluttà d'espiazione, nel 1279 entrò nell'ordine di San Francesco. Già in quel tempo la primitiva regola era stata ripudiata da alcuni francescani che, per la sua durezza, la consideravano disumana; l'ordine si era scisso fra i sostenitori della norma dettata dal Poverello, e i propugnatori d'una riforma che avevano trovato un valido sostegno in Bonifacio VIII. Jacopo, con bellicoso ardore, si schierò contro il papa a difesa della setta degli spirituali, e militò a Palestrina insieme ai Colonna, aristocratici avversari di Bonifacio VIII. Fu fatto prigioniero e per lunghi anni languì nel carcere, ringraziando Dio per questa dura prova e chiedendo che fossero centuplicati i suoi tormenti. Liberato dal successore di Bonifacio VIII, morì pochi anni dopo a Collazzone in Umbria, nel 1306.
     
Oderisi da Gubbio    
A Gubbio nacque nel XIII secolo Oderisi che la luce e il colore dell'Umbria natia fermò nelle sue "carte". Per questo dono della sua terra egli divenne lo squisito miniaturista che Dante così saluta: "… non sé tu Oderisi, l'onor d'Agobbio e l'onor di quell'arte ch'alluminar chiamata è in Parisi?" "Frate" diss'elli "più ridon le carte che pennelleggia Franco bolognese: l'onore è tutto or suo, e mio in parte." (Purgatorio XI, 79 - 84) E così il Vasari nelle sue "Vite": "Fu in questo tempo in Roma Oderisi d'Agobbio, eccellente miniatore in que' tempi, il quale, condotto perciò dal papa, miniò molti libri per la Libreria di palazzo, che sono in gran parte oggi consumati dal tempo. E nel mio libro dé disegni antichi sono alcune reliquie di man propria di costui, che invero fu valent'uomo."
     
Il Perugino    
Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino, nacque a Città della Pieve probabilmente nel 1445; qui trascorse l'infanzia e la fanciullezza, e qui imparò a guardare gli uomini e le cose. Se potesse rivivere, non troverebbe di molto mutata la sua terra. "Le mura di Città della Pieve sono ancora le stesse di un tempo; e il monte di Cetona eccolo tuttora laggiù; ritto e solido e dello stesso colore di quando lui, Pietro Vannucci, s'aggirava ragazzo per il borgo .. " (M. Puccini) Il Perugino viaggiò moltissimo, e perché spinto dal desiderio di scoprire sempre nuovi aspetti del reale, e perché chiamato alle corti di Principi e Pontefici che gli commissionavano quadri ed affreschi. Formatosi a Firenze, nella bottega del Verrocchio, si era guadagnato una rapida fama per la finezza del disegno, per la soave compostezza delle sue figure, dalle quali emana una profonda suggestione religiosa, per l'incanto dei suoi paesaggi. Nel 1481 fu chiamato a Roma da papa Sisto IV; qui egli lavorò, in nobile compagnia, ad affrescare la Cappella Sistina; erano con lui il Ghirlandaio, il Botticelli, il Rosselli. Purtroppo, delle scene di storia sacra dipinte dal Perugino nel periodo romano, rimane solo la Consegna delle Chiavi a San Pietro, che è un capolavoro per il mirabile studio dei piani prospettici e per la luminosità del colore. Ma alla città dei Cesari e dei Papi il Vannucci preferì Firenze e infatti, lasciata Roma, egli tornò per molto tempo là dove sotto la guida del Verrocchio aveva costretto la mano a divenire un docile strumento capace di tradurre ogni impression

Pietro Perugino: autoritratto

Lasciò una ricca eredità alle Chiese e alle Gallerie cittadine: in Santa Maria Maddalena dei Pazzi si conserva la Crocifissione che racchiude entro la linea armoniose di tre arcate, aperte su uno sfondo di cielo, le figure dolenti di Cristo in croce e della Maddalena in quella centrale, e due gruppi di Santi in quelle laterali. Agli Uffizi ammiriamo la soavissima composizione della Madonna col Bambino e i SS. Battista e Sebastiano, la Pietà ed altri capolavori, tra i quali il più bel ritratto dipinto dal Perugino che ci presenta il volto assorto di un giovanetto. La Deposizione si trova, invece, a Palazzo Pitti. Nel 1498 e nel 1500 il Perugino lavorò a Perugia per affrescare la Sala dell'Udienza del Cambio, situata nel Palazzo Comunale, e forse ebbe come aiutante il giovane Raffaello. Pietro Vanucci si abbandonò qui all'estro della fantasia e le pareti si animarono di figure che avevano perduto l'estatica naturalezza delle sue precedenti composizioni, ma erano ricche di quella suggestione letteraria che improntò non solo l'arte, ma anche la vita dell'uomo rinascimentale. Un gran corteo di divinità mitologiche, di Sibille e di eroi pagani, di profeti biblici e di personificazioni delle virtù cardinali e teologali si snodò, in eleganza di forme e varietà di colori, su uno sfondo rabescato e fiorito. Fu questa la sua ultima opera di largo respiro, quella che esaurisce con squisita finezza la possibilità del Perugino di aderire al Rinascimento. Nei dipinti di data posteriore l'ispirazione vien meno, la poesia si spegne sopraffatta dalla facilità di una tecnica ricca di espedienti. Nel 1523, a Fontignano, un paesino tra Perugia e Città della Pieve, il poeta della santità serafica, il lirico dipintore di luminosi sfondi mirabilmente fusi con i personaggi, chiudeva per sempre gli occhi alla luce.
     
Braccio Fortebracci    
Braccio Fortebracci da Montone, per la sua complessa personalità di condottiero, di uomo politico, di mecenate, fu la più suggestiva anticipazione del Principe rinascimentale di cui il Machiavelli dipinse, ispirandosi ad un suo illustre contemporaneo, un ritratto estremamente efficace nella sua opera di maggior rilievo: Il Principe. Braccio nacque nel castello di Montone il 1 luglio 1368, da nobile famiglia perugina. Aveva pochi anni quando, a causa delle violente discordie che dilaniavano Perugia per i contrastanti interessi delle fazioni cittadine, il padre di lui, Oddo Fortebracci, fu espropriato di ogni bene e mandato in esilio. Questo dolore ferì profondamente la sua anima di fanciullo, e fece maturare in lui il desiderio di vendicare il padre; desiderio sostenuto da un'ambizione illimitata e da una naturale inclinazione per l'esercizio delle armi, che si tradusse in realtà grazie soprattutto a doti non comuni di sagacia politica. I fuorusciti perugini si unirono in compagnia esercitando il mestiere delle armi, per tentare un ritorno in Perugia. Braccio si addestrò nell'arte della milizia sotto la guida di un grandissimo condottiero milanese, Muzio Attendolo Sforza, che fu poi il suo più deciso antagonista sul campo di battaglia. Dopo aver acquistato fama come capitano di ventura, e aver convalidato concretamente questa fama con la conquista della Rocca Contrada (Arcevia - 1407), Braccio di Montone, sempre animato dal desiderio di stabilire il suo potere in Perugia, offerse il suo aiuto al Pontefice che era impegnato in un'annosa contesa con Ladislao di Durazzo. Oggetto della contesa era la stessa Umbria; questa coincidenza di interessi indusse Braccio a stringere alleanza con la Chiesa, della quale, perciò, fu un ambiguo sostenitore. Nel 1416, dopo essersi sbarazzato con il tradimento o con la forza delle armi, dei nemici Orsini e Malatesta, egli riesce a consolidare il suo potere nell'Umbria, ricevendo l'atto di sottomissione di gran parte delle città. Questa energia d'azione non poteva incontrare il favore delle Signorie vicine, e neppure poteva essere bene accetta alla Chiesa che contrappose a Braccio, Guidoantonio da Montefeltro, a cui affidò il vicariato dell'Umbria, e Muzio Attendolo Sforza. Il primo fu costretto a ritirasi dopo aver perduto Spoleto, il secondo fu sconfitto (1419). Alla fine, con la mediazione dei Fiorentini, il 26 febbraio 1420, il Pontefice Martino V firmava il trattato di pace con Braccio, e lo nominava vicario dell'Umbria. Tuttavia Braccio non era uomo da contentarsi del ruolo di vicario pontificio. Intervenne, nonostante l'opposizione della Chiesa, nelle lotte fra i baroni nel napoletano, ed estese il suo potere conquistando parecchi castelli negli Abruzzi. Gli storici contemporanei gli attribuivano il disegno di voler costituire un regno d'Italia. Così Braccio e Martino V si incontrarono ancora, ma fieramente nemici. Braccio, penetrato nel cuore degli Abruzzi, assediò l'Aquila che, fra i possedimenti della Santa Sede, per la sua posizione strategica, era considerata "clavis regni". E infatti la città resistette all'assedio e, sotto le sue mura in una terribile battaglia, forse la più cruenta fra i numerosi conflitti combattuti in quel secolo, Braccio da Montone provò l'asprezza della sconfitta (2 giugno 1424). In quello stesso giorno, raggiunto dai sicari dei Michelotti, capi della fazione popolare di Perugia, Braccio fu ferito. Sopravvisse tre giorni, chiuso in un silenzio definitivo come la morte. Egli sentì che la sua vita era ormai conclusa, sentì che non c'era più posto per lui sulla scena politica italiana; si rifiutò cure, conforti, e in una solitudine indomita e sdegnosa, senza più rivolgere la parola agli amici, morì tre giorni dopo la sconfitta. Era il 5 giugno 1424.
     
Il Pinturicchio    
Bernardino di Betto nacque in Perugia forse nel 1454. Il suo nome d'arte è Pinturicchio; probabilmente così lo chiamava Pietro Vannucci, quando Bernardino ragazzo imparava nella sua bottega ad esprimere se stesso col luminoso linguaggio del colore. L'appellativo ingenuo e scherzoso commenta la maniera pittorica di Bernardino che rimase tutta la vita un fanciullo, amante delle belle favole. Questa intramontabile fanciullezza è la fonte della sua arte, ma le segna anche un limite. Il piacere di narrare la realtà posseduta fu così intenso nel Pinturicchio che egli mancò spesso di misura comprimendo nei suoi quadri immagini, architetture e paesaggio, come un bambino, geloso delle cose sue, racchiude in una stanzetta tutti i giocattoli che ha avuto in dono. Ma quando il Pinturicchio riesce a dominare questa foga d'affollamento, allora è un dolcissimo poeta del colore, come nel Ritorno d'Ulisse, la sua opera più sensibile che si ammira alla National Gallery di Londra. Egli affrescò, per commissione di Alessandro VI, l'appartamento Borgia in Vaticano (1493 - 1494); nella Cappella Bufalini della Basilica di Santa Maria in Aracoeli raccontò deliziosamente la vita di San Bernardino; fra il 1502 e il 1507 circa lo troviamo a Siena ad affrescare la Libreria Piccolomini, attigua al Duomo, dove illustrò la vita del Papa senese Enea Silvio Piccolomini (Pio II). Il Pinturicchio morì a Siena nel 1513.

Pinturicchio: Madonna col Bambino e San Giovannino