L'Orata

CHI E’

            L’orata appartiene alla famiglia degli sparidi ed è quindi un parente prossimo non solo del dentice, ma anche dei saraghi dei quali riprende la robusta mascella e la dentatura studiata per sbriciolare valve di molluschi e piccoli crostacei. Il suo nome scientifico (Sparus auratus) e tutti gli appellativi che gli vengono dati comunemente, orata, aurata, dorata rendono omaggio alla sua caratteristica più evidente e cioè alla fascia dorata, leggermente curva, che si estende nello spazio compreso tra i due occhi.

            Riguardo agli elementi che ci permettono di distinguerla dal dentice abbiamo già parlato; per non confonderla con il sarago, oltre alla già menzionata fascia color oro, ci basterà ricordare che la sua sagoma appare leggermente più allungata e che sul suo corpo non compaiono le linee nere verticali, proprie del sarago maggiore.

            Le dimensioni dell’orata variano da 800 grammi a 3 chili degli esemplari più comuni per arrivare agli 8 - 10  chilogrammi delle prede record che, tuttavia, giungono raramente di fronte al subacqueo.  

 

            DOVE VIVE

L’orata come il muggine, vive una parte della sua vita nelle acque semisalse delle lagune e delle foci dei fiumi. Da queste si allontana solo nel periodo che precede la riproduzione, poco prima dell’autunno. Una volta avventuratasi in mare non si allontana, tuttavia, dalla costa che gli garantisce un abbondante rifornimento di quei piccoli molluschi di cui va tanto ghiotta.

            Questa sua golosità ci facilita notevolmente nella ricerca; basterà infatti ispezionare attentamente lo specchio d’acqua in cui è affondato un allevamento di mitili per sorprendere qualche membro della famiglia, intento a sgranocchiare con le potentissime mascelle il guscio delle cozze.

            Il suo incontro è meno frequente nelle acque limpide che circondano le piccole isole e in tutti quei fondali dove lo scoglio sostituisce totalmente la spiaggia e il fango. Le sue preferenze vanno alle acque continentali, intorbidite dalla vicinanza della foce di un fiume o dagli scarichi di un agglomerato urbano.

            E’ proprio in queste acque , infatti, che prosperano le colonie di mitili, zampe di capra, ostriche ed altri molluschi di cui si ciba abitualmente. La troveremo perciò, anche nei pressi delle calate dei porti, sia all’esterno che all’interno delle dighe frangiflutti.

 

            COME SI COMPORTA

 

            Se il dentice si merita l’appellativo di re, indubbiamente all’orata calca benissimo quello di regina per il suo aspetto, caratterizzato dalle lamine d’oro che gli risplendono sulla fronte e sulle guance.

            Anche il suo comportamento si rivela pieno di sussiego e di una dignità che, anche nella fuga, non gli fa mai compiere dei movimenti bruschi e scomposti.

            In questa capacità di bastare a se stessa riesce a fare a meno della compagnia dei suoi simili con i quali si ricongiunge soltanto nel periodo della riproduzione e durante le scorribande negli allevamenti di cozze.

            Per il resto dell’anno preferisce girare da sola o al massimo insieme ad una compagna delle stesse dimensioni.

            Di fronte all’uomo si rivela sempre diffidente e preferisce allontanarsi in fretta dal suo raggio d’azione, senza farsi tentare da un approccio di qualsiasi genere. Proprio per questo motivo la cattura diviene particolarmente difficile. Inutilmente cercheremo di incuriosirla con appostamenti studiati ad arte e con ogni genere di spostamenti atti a risvegliare la sua curiosità; imperturbabile prenderà la via del largo senza degnarci di uno sguardo.

            Tutta questa eccezionale diffidenza a nulla vale, però, al momento del pranzo. Infatti mentre è intenta a sbriciolare il guscio di qualche mollusco produce un rumore di discreta intensità, tale da ridurre a zero le sue capacità percettive, permettendo al subacqueo di avvicinarsi di nascosto fino a pochi passi.

            La tattica di avvicinamento a sorpresa, sarà resa possibile anche dal fatto che l’animale si lascia frequentemente sorprendere mentre bruca a testa in giù tra le alghette che ricoprono lo scoglio. In tale posizione gli sarà più difficile vederci di quanto non lo sia per noi lo scorgere l’argenteo scintillio della sua coda. Se verremo a trovarci in questa fortunata circostanza evitiamo di portarci

troppo allo scoperto, perché la nostra preda non tarderebbe ad accorgersi della nostra presenza.        

            Torniamo invece indietro di quanto ci basta per essere nuovamente celati dietro la parete di roccia; guadagniamo poi lentamente qualche metro, sempre tenendoci aderenti allo scoglio.

            Quando ci sembrerà di aver raggiunto il punto esatto dove l’avevamo scorta precedentemente, scostiamoci piano piano dalla parete che nasconde i nostri movimenti e, se la nostra vittima sarà ancora lì, non esitiamo a sparare, perché, rimessasi dalla sorpresa, l’orata schizzerà verso il largo come un fulmine.

            Nel tiro, anticipiamola abbondantemente basandoci sul procedimento rettilineo della sua corsa. Il nuoto dell’orata si svolge, infatti, in linea retta, con movimento uniforme e con rare “virate” che compie per lo più con svolte ad angolo retto.

            Come il dentice, anche l’orata è decisamente restia ad intanarsi, quando si rendesse conto della pericolosità di tale manovra.

            Quando, pressata dal subacqueo, si rifugia sotto un sasso esce immediatamente dall’imboccatura opposta senza darci neanche per un istante l’illusione di averla in pugno. Talvolta può accadere, però, che trovandosi a pascolare in mezzo a una tribù di saraghi si faccia tentare come loro dallo spacco cieco o dalla tana senza uscita. Sarà la nostra grande occasione!

            In tale circostanza l’orata perde tutta la spavalda sicurezza, rimane come annichilita ad osservarci mentre ci affacciamo all’apertura e finisce immancabilmente per venir trafitta a colpo sicuro.

            Tutte le volte che avremo la possibilità di prendere accuratamente la mira cerchiamo di colpirla nella parte superiore del corpo, dove la massa muscolare è più sviluppata e presta in tal modo maggiore resistenza all’arpione.

            Il bersaglio migliore è però quello rappresentato dal punto d’unione della parte terminale della branchia con la linea laterale che le attraversa tutto il corpo orizzontalmente. Proprio in questo punto convergono, infatti, tutti i centri nervosi e il tiro, una volta piazzato in quello spazio ristretto, annienterà la reazione del pesce che altrimenti, dibattendosi violentemente potrebbe staccarsi dall’arpione per fuggire a morire sul fondo.