Il Dentice
CHI E’
Il dentice - Dentex dentex- più
di ogni altro abitante del mare si avvicina alla forma del pesce stilizzato. Il
corpo risulta infatti oblungo, schiacciato, dotato di un profilo leggermente
obliquo, perfettamente proporzionato in tutte le sue parti, In pratica la sagoma
del dentice è la prima a venirci in mente tutte le volte che ci viene chiesto
di disegnare un pesce.
La sua struttura fisica è studiata in funzione delle esigenze di
predatore e gli consente, con le poderose masse muscolari, di disporre di
un’accelerazione bruciante.
Il colore del corpo è cangiante e passa da un celeste rosato - grigio
sul dorso, ad un argento vivissimo sui fianchi. Parallelamente alla curva
dorsale del corpo corre una linea longitudinale, intorno alla quale risultano
delle piccole macchie di un azzurro intenso.
Il principiante lo potrà distinguere dall’orata, che è il suo parente
più prossimo, per il profilo del muso, più arrotondato e massiccio, in
quest’ultima, e per l’assenza della vistosa chiazzatura scura che, insieme
alla pennellata dorata all’altezza degli occhi, costituisce il particolare più
evidente per distinguere a colpo d’occhio i due pesci.
I dentici che incontriamo abitualmente variano tra gli ottocento grammi e gli otto chili, ma possono raggiungere in casi eccezionali anche il metro di lunghezza ed i 15 chili di peso.
DOVE VIVE
Per la sua indole di predone il dentice è costantemente alla ricerca di
cibo e durante la caccia compie frequenti e vasti spostamenti che però, prima o
poi. lo riconducono in zone ben precise è ben sicuro di incontrare branchi di
acciughe o di castagnole che contribuiscono ad impinguarne il desco quotidiano.
La sua presenza è, quindi, strettamente legata agli spostamenti di
questi branchi che dipendono da forme inferiori quali plancton ecc.
L’ambiente che preferisce è quello in cui vengono convogliate dalle
correnti grandi quantità di questi microrganismi che a loro volta richiameranno
nuvole di pesci minuti.
Le secche, le punte, gli altopiani sottomarini che sprofondano
improvvisamente nel bleu saranno dunque la sua dimora preferita e lo
concentreranno in folti branchi di decine e decine di esemplari che si
affezionano al fondale fino a divenirvi stanziali.
Più che vicino alla costa lo dovremo, quindi, andare a scovare più a
largo, dove vedremo emergere degli scoglietti o dove, con l’aiuto della carta
nautica riusciremo ad individuare il cappello di una secca. Una valida
alternativa potrà essere quella di calarci in acqua nei pressi di una punta che
si spinga profondamente in mare, evidenziandosi dal resto della costa. Spesso il
proseguimento subacqueo di questa si dimostrerà ricco di vita e di conseguenza
atto ad ospitare la nostra ambitissima preda.
Da questi fondali, dove si riunisce in branchi, il singolo esemplare si allontana talvolta per una battuta di caccia solitaria sottocosta ed allora lo ritroviamo, solo o con un compagno, presso le calate dei porti o nelle acque basse di qualche insenatura che interrompe il monotono profilo della costa. Non ama però, anche in queste sue escursioni allontanarsi troppo dall’azzurro del profondo e preferisce perciò evitare le coste degradanti ed i fondali arenosi.
COME SI COMPORTA
La difficoltà della cattura del dentice sta tutta nell’innata ed
istintiva diffidenza che questo animale prova verso l’uomo, una diffidenza che
non è soltanto il frutto di esperienza, ma quasi di una sensazione epidermica
di pericolo che coinvolge tutti gli appartenenti a questa specie, anche i più
giovani che magari si trovano davanti all’uomo per la prima volta.
Di fronte al subacqueo sanno di essere inferiori e si comportano, quindi,
evitando il contatto diretto, senza tuttavia scomporsi mai; la loro non è una
fuga, ma una ritirata strategica.
Questo loro “mantener le distanze” ha qualche cosa di misterioso,
tanto appare sfacciata la spavalda sicurezza con cui calcolano l’esatta
portata del fucile, come se ne conoscessero perfettamente le caratteristiche
tecniche. Proprio questa loro imperturbabile calma ci manda su tutte le furie.
Inutilmente ci immergeremo con tutte le possibili precauzioni; quando ci sembrerà
di averlo ormai in pugno gli basteranno due pinnate per riportarsi alla distanza
di sicurezza alla quale continuerà a nuotare tranquillamente. Se accenneremo ad
aumentare l’andatura subito vi si adeguerà al contrario se rallenteremo,
pinneggerà più lentamente, sempre frapponendo fra il nostro fucile e la sua
coda quei cinque maledettissimi metri che ridicolizzano la potenza dell’arma
che abbiamo in pugno.
Questo infruttuoso inseguimento andrà avanti finchè lui vorrà, fino a
quando non si sarà stancato di giocare con il suo temibile avversario ed allora
gli basterà forzare leggermente per abbandonarci, ansanti e trafelati, a
nutrite scariche di improperi.
Tutta la sua sicurezza, tuttavia, non è mai temerarietà: si basa
infatti su di una capacità ricettiva eccezionale che gli permette di
individuare il subacqueo in movimento prima ancora di essere avvistato e
sull’incredibile dote di riuscire a calcolare con precisione millimetrica la
misura della distanza di sicurezza.
Di fronte a tali prerogative il cacciatore deve abbandonare la tattica
dell’attacco diretto, magari a sorpresa, che darebbe ben scarsi frutti, per
cercare di invogliare il pesce stesso ad avvicinarsi o, quanto meno, a ridurre
le distanze.
Nella caccia a questo re dell’azzurro ci potremo trovare a fronteggiare
situazioni diverse riconducibili a 4 casi tipici:
1) La nostra preda fa parte di un branco più o meno numeroso che nuota
in acqua libera a pochi metri da un fondale di roccia (su una secca od una
franata che guarda il mare aperto).
In tal caso risulterà estremamente diffidente e rifiuterà qualsiasi
approccio diretto del subacqueo. L’unica tattica da adottare sarà quella
dell’aspetto che darà qualche frutto solo se perfettamente eseguita.
Per cominciare sarà bene evitare nel modo più assoluto di portarsi
sulla verticale dei pesci, dal momento che questi animali non sopportano la
presenza dell’uomo sulle loro teste, perchè in tale angolazione perdono gran
parte della capacità di valutare i movimenti dell’intruso e quindi divengono
più insofferenti alla sua presenza.
Dovremo pertanto iniziare la sommozzata ad una certa distanza dal branco
in assoluto silenzio, eliminando lo sciacquio delle pinne ed ogni altro
movimento brusco che si trasmetterebbe inesorabilmente attraverso l’acqua.
Attenzione anche alle già menzionate bollicine d’aria che fuoriescono dal
boccaglio e che producono, anche se noi non lo percepiamo un gorgoglio che il
dentice intende chiaramente. Una volta raggiunto il fondo strisciamo
silenziosamente verso i branco ed appostiamoci dietro la sporgenza più vicina,
facendo si che il nostro corpo resti coperto dallo scoglio ad eccezione di una
pinna o di una mano che avranno la duplice funzione di rassicurare il pesce
sulla nostra ubicazione e di incuriosirlo sulla attività che stiamo svolgendo.
Può darsi che, dopo qualche attimo il dentice, non resistendo più, si avvicini
e commetta l’imprudenza di affacciarsi a vedere che cosa stiamo combinando.
Non appena soddisfatta la sua curiosità si girerà tranquillamente e ritornerà
di dove è venuto concedendoci, in tal modo, solo qualche breve attimo per il
tiro.
Se al primo tentativo l’aspetto fallisce, non scoraggiamoci: strisciamo
nuovamente sul fondo per emergere sempre ad una certa distanza dal branco,
ripercorrendo la via che abbiamo fatto in fase di avvicinamento.
Una volta emersi, se vedremo i dentici aggirarsi ancora nel punto dove li
abbiamo individuati, potremo tentare un altro agguato, altrimenti ci consoleremo
pensando che la tattica adottata era l’unica che poteva dare qualche frutto in
frangenti del genere.
2) Il dentice è isolato e, trovandosi su di un terreno misto di alghe o
posidonie, tenta la carta del mimetismo; adagiandosi sul fondo modifica
leggermente il suo aspetto facendo apparire sul corpo una serie di linee
verticali che, a parer suo dovrebbero confonderlo tra le piante. Questo
comportamento, decisamente ingenuo e come tale proprio degli esemplari più
piccoli è quello che ci assicura le maggiori probabilità di successo. Anche in
questa circostanza evitiamo l’avvicinamento a piombo e optiamo per un percorso
più lungo ma più sicuro. Nuotando sul fondo preoccupiamoci di non puntare
immediatamente incontro alla nostra preda, ma cerchiamo di consolidare
nell’animale l’illusione di essere perfettamente invisibile.
Una volta arrivati alla minima distanza spariamo senza esitazione, perché
da un momento all’altro la nostra vittima potrebbe schizzar via velocissima.
3) Può accadere, anche se di rado, di incontrare un dentice in acqua
bassa nei pressi di una caletta o di una piccola rada con fondale di sabbia e
posidonie. In tale circostanza la cattura sembrerà cosa fatta, tanto ci veniamo
a trovare in una posizione di forza rispetto al pesce che, oltre a non disporre
della sua arma migliore, cioè la fuga nel profondo, si vede tagliare anche la
strada che porta verso il lago. Tuttavia sarà bene non farsi troppe illusioni.
Infatti il dentice si rende perfettamente conto di trovarsi in una situazione
pericolosa e reagisce sempre di conseguenza sfruttando al massimo le risorse
donategli da madre natura. Dopo essersi accorto della nostra presenza lo vedremo
esitare come per meglio valutare la situazione, poi, se le dimensioni della cala
risulteranno tali da non permettergli di evitare di incrociare la nostra rotta,
aspetterà che ci avviciniamo ancora di qualche metro per schizzarci incontro ad
una velocità che solo lui riesce a sviluppare in un così breve spazio.
Ci sfreccerà ad uno o due metri di distanza senza che noi possiamo
minimamente calcolare l’anticipo per il tiro. Dovremo affidarci ad una
reazione istintiva e sparargli mentre è ancora di punta, anche se il bersaglio
risulterà molto più ridotto, perchè il tiro di fianco ci sarà negato
dall’impossibilità di spostare il fucile alla velocità a cui ci passerà
davanti il pesce.
4) Ancora più raramente ci capiterà di incontrare un dentice che si
intani. Può accadere, tuttavia, che la nostra preda, trovandosi in una
situazione simile a quella sopra ricordata, non potendo allontanarsi verso il
mare aperto, si rifugi al riparo di un sasso. Anche allora, pur avendo molte
chances di chiudere vittoriosi la partita, aspettiamo a cantare vittoria.
Infatti il dentice, per la sua abitudine di disporre di ampi spazi e di libertà
di movimenti, si sente a disagio in tana e una volta che vi si è rifugiato
rimane sempre all’erta, pronto a schizzar fuori non appena ci affacceremo
all’apertura.
Ricordiamoci che il pesce si intanerà solo se sicuro di poter disporre per la fuga di più di una uscita tra cui sceglierà generalmente quella che guarda verso il mare aperto. Affacciamoci quindi da quel lato con il dito sul grilletto e spariamo con la massima rapidità possibile, perchè la nostra preda non è un sarago e non starà certamente ferma ad aspettarci.