La Cernia

               CHI E’

 

            La cernia appartiene alla famiglia (dei percidi) ed è perciò una parente prossima della corvina e, cosa che pare impossibile, della spigola.

            Dal resto della famiglia si differenzia nettamente per le sue dimensioni che ai 4 chili dell’ombrina ed ai 7 o 9 della spigola contrappongono i 35 o 40 chili degli esemplari più grossi.

            Le cernie dei nostri mari appartengono a due specie distinte: la prima, quella della cernia propriamente detta (Epinephelus guaza), appare più sfilata rispetto alla sorella, possiede una colorazione leggermente più scura (marrone carico sul dorso e sui fianchi dove appaiono delle marezzature giallastre che si fondono in giallo sul ventre) e si distingue infine per la diversa forma degli opercoli che sono provvisti di tre spine parzialmente ricoperte da una membrana, al posto delle quali l’altra specie possiede una cresta longitudinale, posta all’altezza degli occhi.

            Gli esemplari che vi appartengono possono raggiungere un metro e 40 di lunghezza ed i 35, 40 chilogrammi di peso.

            La seconda specie, comunemente indicata col nome di addotto, dotto o cernia di fondo (Polyprion americanum), è più tozza della prima; il suo ventre risulta più pronunciato, mentre la sua mandibola inferiore appare nettamente più lunga della superiore.

            La sua livrea, più chiara di quella dell’Epinephelus guaza, ha sfumature grigio bruno, interrotte qua e là da una chiazzatura irregolare bianca.

            Altra sua caratteristica è quella di possedere, proprio sopra gli occhi, una specie di scalino che interrompe il profilo filante proprio della sua parente prossima.

            Ambedue sono carnivore, conosciute per la fame insaziabile che le porta a rimpinzarsi fino a scoppiare di piccoli pesci che aspirano servendosi della capacità di spalancare le fauci a dismisura, risucchiando acqua che immediatamente defluisce attraverso le branchie.

            Per togliere ogni possibilità di scampo alle proprie vittime dispongono inoltre di una bocca totalmente tappezzata di microscopici denti rivolti verso l’interno in modo da precludere la fuga del malcapitato che sia stato afferrato dalle possenti fauci. A fare le spese della loro voracità sono soprattutto i polpi che sono la preda preferita di questi bestioni e non di rado ci capiterà di vedercelo vomitare in barca da una cernia appena issata a bordo.  

            Diffidiamo perciò sia della sua bocca che delle sue branchie, armate anch’esse dei minutissimi denti, ed evitiamo di mettere le mani in questi due orifizi, perché potrebbe risultare difficile e dolorosissima l’operazione inversa, estrarle cioè dalle fauci dell’animale.

            L’unica presa veramente sicura su cui potremo contare sarà quella esercitata, con il pollice e l’indice, nelle larghe orbite del pesce.

            In tal modo, oltre a disporre di un valido punto di forza, produrremo sull’animale anche un parziale effetto paralizzante che ci garantirà, nella fase di recupero da spiacevoli sorprese.

 

            DOVE VIVE

 

            La cernia vive gran parte dell’anno a profondità proibite al subacqueo (c’è chi dice che il dotto si spinga fino a 1000 metri di profondità, per risalire nel periodo estivo a quote più accessibili al cacciatore. In questi loro spostamenti tendono però a ritornare quasi sempre nelle stesse tane e capita spesso di incontrare, anno dopo anno, nuove inquiline disposte a rimpiazzare le vittime delle stagioni precedenti. Il loro attaccamento a delle dimore fisse super dunque la manifesta insicurezza della tana, cosa che raramente succede col sarago che, dopo il sacrificio di qualche esemplare, preferisce abbandonare il rifugio pericoloso per qualche altro sito più sicuro.

            Individuare da fuor d’acqua la zona adatta all’incontro con la cernia è cosa difficile ma al tempo stesso importantissima dal momento che questo pesce si concentra spesso in tratti di costa ben precisi disdegnando categoricamente il litorale circostante e in tal caso una ricerca “a tappeto” si rivelerebbe lunga e troppo faticosa.

            Facciamo mente locale: la cernia per stabilirsi su un dato fondale ha assolutamente bisogno di poter disporre di un rifugio che potrà esistere solo in presenza di questi requisiti che cercheremo in ordine decrescente di interesse.

            1) Relitti di imbarcazioni in ferro affondate in profondità comprese tra i 20 ed i 100 metri su fondo roccioso o anche sabbioso qualora la carcassa della nave sia di notevoli dimensioni. In tale circostanza la caccia risulta difficile per l’impossibilità di seguire l’animale negli innumerevoli recessi che la nave sommersa offre al pesce.  

            2) Non meno importanti le secche in cui abbondino grossi massi sovrapposti, alternati a zone di sabbia o posidonia. L’importante è che tali sassoni non si siano murati l’un l’altro col passare del tempo, eliminando le spaccature. L’individuazione di questo tipo di fondale si potrà fare attraverso carte nautiche particolareggiate che segnalino il cappello della secca. Questo si può considerare il luogo d’elezione della cernia che vi trova abbondante nutrimento e vi si stabilisce talvolta in numerose colonie.

            Profondità permettendo, risulta anche il più indicato per la caccia data la relativa semplicità delle tane che, se non altro, risultano staccate l’una dall’altra, impedendo la fuga del pesce attraverso inespugnabili labirinti.

            3) Lungo la costa la cerni cernia ha imparato a rifugiarsi sempre più nelle ospitali franate che concedono asilo, come abbiamo visto, anche ai saraghi e ad altre specie di pesci di tana decisi a sfuggire alle insidie dell’uomo. Come già accennato, non sarà difficile individuare questo tipo particolare di fondale che generalmente presenta le stesse caratteristiche anche nella parte emersa. Condizione indispensabile alla presenza del serranide sarà che il fondo prospiciente alla franata affondi decisamente nel blu, perché la cernia difficilmente abita zone costiere leggermente degradanti mentre preferisce stabilirsi su quella piattaforma che raggiunge con brevi spostamenti dopo il periodo invernale. La franata crea non pochi problemi al cacciatore e, come per i saragi, può risultare anche per la cernia un rifugio a prova di bomba.

E’ proprio qui, infatti, che si verificano patetici incontri tra il subacqueo, ormai di casa, e lo smaliziato animale. Accadono cose folli! Cernie che assurgono a livello di fidanzate, tanti sono stati numerosi e ricorrenti gli incontri col medesimo pesce che ormai possiede un nome e una collocazione precisa nei sogni dello sventurato che si consuma in inutili immersioni e vani appostamenti.

            4) Più raramente la cernia si lascia tentare dalle spaccature.

            Sa per esperienza, infatti, che questo rifugio generalmente ha il punto debole nella pianta rettilinea che consente all’uomo di raggiungere con il fucile anche gli angoli più lontani. Con ciò questa tana può creare non poche difficoltà a chi si appresta ad estrarre l’animale che, negli spacchi che vanno a restringersi, ottiene un buon gioco incuneandosi profondamente tra le pareti di roccia per poi far forza con le branchie, rendendo vani tutti gli sforzi del subacqueo.

            La cernia durante la sua permanenza in acque meno profonde sceglie tra queste tane quella che più si adatta alle sue caratteristiche e la elegge a sua dimora permanente.

            Dopodiché si assicura che nel suo territorio di caccia esistano altri rifugi che non garantiscono la sicurezza della prima, le concedano una protezione minima tutte le volte che viene sorpresa troppo lontana da casa.

            Ovviamente con queste tane il subacqueo va a nozze e tutte le volte che si immerge prega in cuor suo di trovarne una. E’ abbastanza facile rendersi conto ancor prima di immergersi se ci siamo imbattuti in una dimora fissa o in una provvisoria, basta far attenzione al comportamento della nostra preda: se resta a sonnecchiare sul fondo senza dare l’impressione di preoccuparsi minimamente della nostra presenza, oppure si avvia lentamente verso l’anfratto con aria quasi svogliata, allora è segno che ci aspetta una bella faticata.

            Se invece, appena resasi conto della nostra presenza, schizza via veloce, per sparire a razzo nella fenditura, possiamo immergerci sicuri di aver a che fare con una tana scelta come rifugio provvisorio.

            Tutte le volte che la cernia non si farà sorprendere fuori dalla tana ce la dovremo andare a cercare a casa sua ed allora entrerà in ballo quella dote, acquisibile solo con l’esperienza, che permetterà di scegliere tra le innumerevoli tane quelle che più si adattano ad ospitarla, risparmiandoci la fatica di tante immersioni a vuoto.

            Diffidiamo comunque come regola generale delle aperture troppo facili con ingressi larghi ed appariscenti, generalmente sono le prime ad essere scartate proprio per questo motivo che le espone alla curiosità del cacciatore, rendendole inoltre facilmente accessibili.

            Una volta “rotto il ghiaccio” tutto ci sembrerà più semplice e a colpo d’occhio riusciremo a limitare il numero delle tane da visitare, scartando quelle che risultano chiaramente poco adatte ad ospitare il serranide.

            Abituiamoci comunque a fissare bene in mente, ogni volta che incontreremo una cernia , le caratteristiche della sua dimora; ciò ci aiuterà, servendoci ad esempio, nelle battute su altri fondali e ci permetterà al tempo stesso di rintracciare con facilità il sasso da cui avremo estratto, magari l’anno prima, una bella cernia.

            Non sarà male, infatti, data l’abitudine di questo pesce a rioccupare le “case sfitte”, andarci a dare un’occhiata di tanto in tanto; potremmo avere la gradita sorpresa di fare conoscenza con la nuova inquilina.

           

            COME SI COMPORTA

 

            Riassumere in poche pagine il vastissimo numero do situazioni in cui si può venire a trovare un subacqueo durante la caccia a questo ricercatissimo pesce è impresa veramente difficile; converrà, pertanto, esaminare alcuni casi “tipo”, limitandoci a dare qualche consiglio che potrà tornare utile in ogni circostanza.

            Innanzitutto dovremo scegliere la tattica di ricerca che potrà essere quella dell’esplorazione tana per tana o quella della ricognizione veloce effettuata dalla superficie.

            La scelta dell’una o dell’altra deve essere fatta considerando le caratteristiche del fondale: se ci troviamo a pescare in una zona sconosciuta, sopra un fondo sconvolto da un sovrapporsi di sassoni che creano un po' ovunque anfratti adatti ad ospitare e la cernia, e se le nostre condizioni fisiche non sono tali da sopportare il massacrante alternarsi delle discese e delle risalite necessarie all’esplorazione capillare, allora è meglio optare per la ricognizione in superficie che si basa sull’avvistamento della cernia fuori tana. In tal modo potremo coprire una superficie abbastanza vasta ed avere, di conseguenza, maggiori probabilità di incontrare la nostra preda.

            Al contrario, se effettueremo la battuta su di un fondale già conosciuto, o se la zona da perlustrare non è tanto vasta perché limitata al cappello di una secca o ad un numero limitato di sassi isolati, può risultare più fruttuosa la ricerca effettuata tana per tana.

            Al cacciatore che si trova di fronte una cernia fuori tana si possono presentare due diverse situazioni:

            A) La cernia si trova accanto alla sua dimora fissa ed ostenta una sicurezza quasi sfacciata, sonnecchia sopra il sasso o affacciata allo spacco in cui intende rifugiarsi oppure si lascia andare, con una pigrizia tutta sua, ad una sorta di levitazione che la porta a galleggiare ad uno o due metri dal fondo in posizione verticale.

            Così stando le cose possiamo cercare di sfruttare la sua sicurezza per portare direttamente un attacco fuori tana. A seconda delle caratteristiche del fondale e della posizione dell’animale scegliamo tra la discesa “a piombo” e l’avvicinamento compiuto strisciando sul fondo. Ambedue daranno tuttavia scarsi risultati sia per la poca curiosità che dimostra il pesce nei nostri confronti, sia per la sua timidezza che la porta ad arroccarsi nel rifugio al minimo accenno di pericolo.

            La sua pigrizia è però un valido alleato e ci permetterà di arrivarle a quattro, cinque metri di distanza piuttosto comodamente senza che accenni  minimamente ad alcuna reazione. Tuttavia quando crederemo di averla ormai in pugno e staremo per premere il grilletto....zac! Una codata brusca e via dentro la tana. Abituiamoci, perciò, tutte le volte che ci troveremo in circostanze siffatte a non forzare troppo nel cercare di ridurre le distanze, il tiro fuori tana non potrà comunque essere effettuato a meno di tre metri e tanto vale quindi tentare il tutto per tutto e sparare non appena la cernia darà i primi cenni di nervosismo.

            B) La cernia si trova lontana dalla dimora fissa e al contrario della situazione precedente si sente insicura e cerca di frapporre al più presto possibile tra lei ed il subacqueo una bella parete di roccia. Se la distanza che la separa dalla tana è inferiore ai trenta o quaranta metri parte ad andatura sostenuta e si asserraglia nel rifugio; se tale distanza è maggiore, probabilmente si accontenterà di una soluzione di compromesso e preferirà ritirarsi in un anfratto, magari meno sicuro, ma più vicino e in questo caso, schizza via velocissima per rifugiarvisi non appena scorto il subacqueo.

            In circostanze siffatte, data l’estrema diffidenza dell’animale, l’attacco fuori tana è del tutto impossibile, ci dovremo limitare , quindi, ad aspettare che il pesce si sia intanato per scendere con tutta calma ad esplorare la zona dove l’abbiamo visto scomparire.

            Una volta che la cernia si sia asserragliata in casa sua si presentano al subacqueo un numero illimitato di soluzioni atte a risolvere i problemi che sorgeranno dalla diversa posizione assunta dal pesce rispetto all’imboccatura principale,, quella cioè, da cui generalmente dovremo recuperare l’animale, e dalle sempre nuove esigenze legate alle caratteristiche della tana. Cerchiamo comunque di far capo a tre tane “tipo” a cui si possano ricondurre i vari casi particolari:

            1) Tana formata dal sovrapporsi di due o tre sassoni o dalla non perfetta aderenza di un masso sul fondo. Questa tana può essere dotata di due aperture principali che possono consentire entrambe l’uscita dell’animale, o da un solo ingresso più alcune piccole feritoie  da cui è possibile scorgere il pesce, ma non estrarlo. In entrambi i casi sarà sempre meglio, nella prima immersione, accertarsi della pianta esatta del rifugio, evitando di farci prendere dalla foga di sparare all’animale da un’angolazione da cui può risultare impossibile il recupero. Perlustriamo, quindi, palmo a palmo l’intero perimetro del sasso, tralasciando l’imboccatura nella quale è scomparsa la nostra preda.

            Se il rifugio presenta una seconda uscita, la cernia sarà certamente affacciata lì, pronta a schizzare dalla parte opposta al minimo segno di pericolo. Avviciniamoci lentamente senza produrre il minimo rumore e, quando saremo subito dopo l’imboccatura, affaciamoci improvvisamente, facendo attenzione ad infilare la testa, la pila e la punta del fucile contemporaneamente per non concedere alla cernia il tempo sufficiente a girarsi ed a scomparire nuovamente dall’altro lato. Se non riusciremo in questa tattica, le cose si possono complicare.

            Ammettiamo, infatti, che, per la disposizione particolare della tana, non sia possibile scorgere da una imboccatura l’ingresso opposto: la cernia potrà ripetere all’infinito il giochetto di andare avanti ed indietro e noi, non disponendo di un compagno che ci dia manforte potremo perdere l’intera giornata senza riuscire a cavare un ragno dal buco.

            Se saremo più fortunati e riusciremo a scorgere anche una piccola porzione del corpo del pesce, ci basterà sparare da una imboccatura per bloccare il pesce e favorire, quindi, il recupero dell’altro lato.

            Anche di fronte alla tana con un ingresso principale e una o più aperture più piccole è sempre di rigore un’esplorazione accurata. Può infatti darsi che ci convenga vibrare il primo colpo da uno spacco secondario, anche se da tale parte non è possibile estrarre il pesce, perché tale manovra ci può consentire di sparare frontalmente all’animale, permettendoci in un secondo tempo di spostarne il corpo a nostro piacimento onde colpirlo meglio dall’imboccatura principale.

            La grossa importanza di questi accessi minori sta proprio nella possibilità che ci offrono di esercitare sulla cernia una leva diversa da quella semplice trazione che possiamo compiere sull’animale arpionato dall’unica via di uscita disponibile.

            Sempre da questi pertugi potremo abbreviare l’agonia dell’animale colpendolo più volte sulla testa, avendo avuto l’accortezza di usare un arpione privo di alette o una punta direttamente avvitata sull’asta. Potremo così affrettare il recupero che talvolta risulta impossibile prima della morte dell’animale e risparmiarci in tal modo i reiterati ed inutili tentativi di estrarre il pesce ancora vivo.

            2) Una seconda tana “tipo” è quella ricavata da una spaccatura che si apre direttamente su di una parete rocciosa. Generalmente è priva di una seconda uscita e molto spesso anche di altre aperture più piccole.

            Prima di sparare in una spaccatura siffatta dovremo studiare con attenzione sia la disposizione del pesce che le caratteristiche del rifugio che di solito contrappone alla sezione iniziale, piuttosto ampia, una seconda parte che va sempre più stringendosi fino a permettere a mala pena il passaggio del pesce. Neanche a farlo apposta la cernia vi si andrà ad incastrare subito ed un tiro troppo affrettato potrà pregiudicarci completamente un recupero che già di per se stesso si presenta molto difficile.

            Prendiamo, quindi, tempo e studiamo attentamente il percorso che dovremo far ripercorrere alla cernia per tirarla fuori, tenendo presente che, una volta incastrata in tal modo, può esercitare, aprendo le branchie a mo’ di alette di arpione, una resistenza incredibile, tale da avere ragione di qualsiasi trazione che venga effettuata cercando di estrarla dalla parte posteriore.

            3) La caccia spietata, effettuata spesso con l’autorespiratore, cui è fatta cenno la cernia ha provocato un progressivo slittamento di questa specie dalle tane “classiche”, precedentemente trattate, a rifugi più sicuri, e non di rado inespugnabili, quali le franate.

            Queste ultime, con il loro disordinato sovrapporsi di sassi di tutte le dimensioni rendono, il più delle volte, impossibile rintracciare l’animale che, intanatosi, riesce a porre tra sè e gli occhi del subacqueo l’impenetrabile scudo di qualche sasso posto di traverso all’imboccatura principale.

            Di fronte a questo rifugio il cacciatore ha, quindi legate e può sperare solo nell’ingenuità della preda. Può accadere, infatti, che questa sentendosi sicura nella miriade di labirinti creati dai massi, commetta l’imprudenza di andare ad affacciarsi ad una imboccatura poco distante. Per non lasciarci sfuggire tale occasione non sarà male, appena vedremo scomparire la cernia nell’ingresso della sua dimora, correre ad affacciarsi alla prima apertura che ci vien fatto di notare nelle vicinanze. Nel far ciò evitiamo sempre di farci precedere dalla pila o dalla punta del fucile, perchè il nostro arrivo deve essere improvviso come del resto il tiro, alla rapidità del quale sono legate le poche speranze che abbiamo di catturarla.

            Se la prima immersione non da esito positivo non arrendiamoci e, uno per uno, andiamo a curiosare da tutti i buchi che si aprono nel raggio di 10 - 15 metri.

            Può darsi, infatti, che la cernia abbia cercato di sviare le nostre ricerche imboccando una apertura lontana dal punto dove normalmente corre a rifugiarsi.

            Se la caccia alla regina dello scoglio dovesse concludersi a questo punto, cioè con l’avvistamento e col momento dello sparo, ben poco avremmo da raccontare al ritorno di una fruttuosa battuta e il valore della nostra preda si ridurrebbe, dimensioni a parte, alla cattura di un sarago o di una ombrina.

            In realtà non è così. le difficoltà cominciano proprio un attimo dopo che abbiamo premuto il grilletto. quando cioè la cernia ferita, rispondendo alla ferree regole dell’istinto, cerca disperatamente di sottrarsi alla cattura piantandosi tra roccia e roccia con tutte le sue forze.

            E’ proprio la difficoltà del recupero, quindi, che innalza la cernia da preda banalissima a “tesi di laurea” del subacqueo.

            La fase di recupero deve iniziare ancora prima di sparare al pesce. Come ho già accennato dovremo studiare attentamente l’apertura da cui effettuare il tiro e molto spesso anche l’angolazione di questo, dal momento che questo fattore si dimostrerà di fondamentale importanza tutte le volte che potremo disporre di una sola imboccatura da cui effettuare il tiro. Fatti i nostri calcoli premiamo il grilletto e, non appena avveriamo ala furiosa reazione dell’animale, mettiamo subito in trazione la angola cedendo al pesce meno terreno possibile.

            Per meglio riuscire nella manovra cerchiamo di incastrare il fucile tra le rocce, sempre tenendo in tensione la cima.

            Così potremo tornare in superficie senza che la cernia, libera nei suoi movimenti, riesca ad arroccarsi saldamente tra una parete e l’altra.

            A questo punto comincia il recupero vero e proprio. Se la tana è abbastanza larga, magari con un fondo cosparso di sabbia o ghiaino che assicuri una scarsa tenuta, possiamo provare ad estrarre direttamente il pesce: piazziamoci con i piedi uno da una parte ed uno dall’altra rispetto all’imboccatura della tana e, afferrata saldamente la sagola, esercitiamo una trazione continua alternata con strappi più violenti; se la cernia non avrà a disposizione un solido punto d’appoggio comincerà a cedere lentamente ed al massimo dopo un paio di immersioni sarà nostra.

            Di solito, però, la tana presenta una strozzatura in cui si è solidamente conficcato l’animale mettendo a frutto l’eccezionale qualità di dilatare le branchie e, al tempo stesso, di inarcare le spine dorsali, disponendo così di ben tre punti di forza che potranno essere vanificati solo se riusciremo ad estrarre l’animale dalla parte del muso.

            Normalmente ciò non risulta possibile per il fatto che la cernia, ben conoscendo questo suo punto debole, evita di farsi sorprendere o per lo meno di rimanere con il muso rivolto all’uscita. Potremo comunque compiere qualche tentativo per rigirarla: sparargli di nuovo da un’altra apertura e cercare di spostarla tirandola dall’altro lato, oppure cercare di sospingerla in quel tratto di tana dove lo spacco accenna ad allargarsi e dove la potremo comodamente far girare su se stessa soprattutto se disporremo del preziosissimo raffio.

            Naturalmente non è che il pesce faccia di tutto per favorire queste manovre e potrà, quindi, rendersi necessario colpire ancora qualche volta l’animale in un punto vitale per affrettarne la morte e di conseguenza il recupero, ricordando di montare sul fucile di riserva un arpione senza alette in modo da poter facilmente recuperare l’asta ogni volta.

            Quando dovremo, invece, risparargli per disporre di un altro punto di trazione, facciamo bene attenzione che l’asta del secondo fucile non venga ad impicciare l’operazione di recupero, ponendosi perpendicolarmente alla direzione d’uscita.

            Se la situazione si presenterà più complessa per l’assenza di altre aperture da cui arrivare alla cernia o per l’impossibilità materiale di rigirarla dovremo ricorrere agli estremi rimedi. Uniamo direttamente la sagola dell’asta o il raffio al sagolone e dopo esserci accertati che la cima non entri a contatto con la roccia (in tal caso si trancerebbe immediatamente) fissiamo il sagolone alla barca.

            Nel caso che l’angolazione dell’apertura della tana sia tale da rendere inevitabile lo sfregamento della sagola con la roccia, cerchiamo di porre tra il nylon e quest’ultima un corpo qualsiasi quale un remo, un pezzo di legno, una pinna, uno straccio, qualcosa insomma che ne eviti lo sfilacciamento.

            Poi se avremo la fortuna di avere in barca un compagno che sappia far funzionare il motore, rimanendo in acqua, impartiamogli indicazioni precise sulla direzione da tenere e sullo sforzo che il motore dovrà esercitare (è sempre meglio partire lentamente e dare gas via, via).

            Se invece dovremo arrangiarci da soli, contare su un’altra soluzione consistente nel fissare ben teso il sagolone ad uno scalmo della barca, lasciando alla spinta di galleggiamento e al rollio dell’imbarcazione il compito di sradicare la cernia dal suo rifugio.

            Oltre a questi citati si potranno scovare di volta in volta altri espedienti che ci consentano di portare a termine felicemente molti recuperi che a prima vista sembrerebbero impossibili, e il bello di questa caccia consisterà proprio in questo, nel riuscire cioè a trovare la soluzione atta a risolvere situazioni sempre nuove de imprevedibili.