La Ricciola e La Leccia

              CHI E’

            La ricciola (Seriola dumerilii) Conosciuta comunemente anche come leccia, è senza dubbio la più bella preda che possa arricchire il carniere di un subacqueo.

            Le sue caratteristiche fisiche sono quelle del pesce abituato a vivere in acque aperte dove compie misteriose e lunghe migrazioni: corpo di una forma ovale allungata molto filante, muso conico leggermente compresso e perfettamente inserito nella linea sfuggente della figura, pinne dorsali appena accennate e riunite da una sottile membrana, coda grande a forma di mezza luna, separata dal resto del corpo da un intervallo piuttosto pronunciato. La pelle è liscia, tanto da sembrare priva di squame, di un colore grigio argenteo, sfumato sul dorso in una tinta azzurrognola più scura.  

            E’ dotata di una possente muscolatura che, agendo sulla coda con un angolo di leva notevolmente lungo, gli permette di spostarsi velocemente pur compiendo movimenti di una studiata lentezza.

            La ricciola viene spesso scambiata per la sua strettissima parente, la leccia, propriamente detta (Lichia amia). Le differenze tra le due specie sono effettivamente poco marcate e come tali sfuggono all’occhio non abituato: il corpo delle leccia risulta più compresso di quello della sorella soprattutto al centro della figura che, nella parte ventrale, non appare lineare, ma compie un leggero angolo verso il basso.

            Le sue pinne ventrali e dorsali sono, inoltre, più lunghe e sottolineano la lieve struttura romboidale del corpo.

            Ambedue queste specie, le cui carni sono molto apprezzate, raggiungono dimensioni eccezionali per i nostri mari e non è raro incontrare qualche esemplare che supera il metro di lunghezza e i 30 chili di peso, mentre sono documentate catture che passano i 40.

 

            DOVE VIVE

 

            La vita della ricciola è uno dei tanti segreti che il mare custodisce ancora gelosamente.

            Non si sa dove trascorra i lunghi mesi invernali, quali siano le sue periodiche migrazioni e quali regole condizionino la sua esistenza di pesce gregario fino ad una certa età e di colosso solitario da una certa mole in su.

            Sappiamo soltanto che verso maggio - giugno ricompare lungo le coste per il periodo degli accoppiamenti, raggiungendo profondità accessibili al subacqueo.

            Il fatto certo è che d’estate la sua presenza è condizionata dalla disponibilità dei pesci di cui si nutre abitualmente ed è pertanto legata all’ambiente di questi ultimi.

            Come i branchi di acciughe e di aguglie preferisce, quindi, il mare aperto e in modo particolare le secche rocciose che si spingono sino a pochi metri dalla superficie.

            E’ su questi cappelli di roccia, infatti, che le correnti marine si infrangono, provocando quel rimescolio tanto gradito al plancton che rappresenta il primo anello della catena plancton - aggioga - ricciola. Per la sua caratteristica di pesce di passo la ricciola è portata a ricomparire sempre negli stessi luoghi che abbandona però se disturbata troppo spesso dalla presenza umana. Perciò se avremo avuto la fortuna di incontrare un esemplare nei pressi di una punta o nelle limpide acque di una secca, non dimentichiamo il posto e facciamoci una capatina di tanto in tanto. Prima o poi potremo azzeccare la giornata giusta.  

            Le ore in cui il suo incontro è più frequente sono quelle che seguono e precedono rispettivamente il sorgere ed il calare del sole.

            Per avere più probabilità di fare la sua gradita conoscenza dovremo, dunque, diventare mattinieri oppure calarci in acqua nel tardo pomeriggio.

 

            COME SI COMPORTA

 

            Per la maggior parte della vita la ricciola è pesce gregario.

            Si riunisce in branchi che vanno dai quattro - cinque individui ai trenta - quaranta ed anche più. In questi gruppi non esiste il criterio di uniformità che regola la vita dei muggini, delle salpe e delle ombrine, imbrancate tutte secondo la stessa misura; gli individui più grossi convivono tranquillamente con le leccette di 5 - 6 chili sulle quali esercitano una funzione di guida, prendendo le decisioni che tutto il branco segue alla lettera, fidandosi della maggiore esperienza degli anziani.

            Anche per la ricciola arriva, però un’età in cui misteriose leggi hanno il sopravvento sull’istinto gregario.

            E’ così che gli animali più grossi si separano dai compagni in piccoli gruppetti di due o tre, per condurre un’esistenza solitaria che piano piano li porta a vivere completamente soli ai margini dei grandi branchi.

            E’ l’incarnazione stessa del pesce completamente libero, padrone dell’ambiente in cui vive ed in cui si sposta continuamente, avvalendosi delle sue eccezionali capacità di nuotatore instancabile.

            Anche nei confronti dell’uomo immerso rivela appieno questa sua totale indipendenza e sicurezza di se. Non riusciremo mai ad avvicinare una ricciola se non sarà lei a voler ridurre le distanze. A maggior ragione perciò, risulterà infruttuoso l’inseguimento, durante il quale si comporterà come il dentice, tenendosi sempre ad una distanza di sicurezza, continuando a pinneggiare con una calma esasperante.

            Se l’elenco delle sue caratteristiche si fermasse qui sarebbe imprendibile e la sua cattura resterebbe un sogno irrealizzabile. Fortunatamente per noi, ha un grosso punto debole: la curiosità.

            Una curiosità morbosa, non sospettosa e vigile come quella del dentice, ma totale ed incondizionata, piena di una ingenuità che non sospetteremmo mai in dei bestioni di quella mole.

            Ci capiterà di trovarcele a mezzo metro di distanza quando meno ce l’aspettiamo, durante l’esplorazione del fondo o mentre usciamo da una tana dopo avere sparato ad un saraghetto di tre etti....

            Nella caccia dovremo sfruttare questo suo irrefrenabile impulso a ficcare il naso negli affari altrui senza curarsi delle eventuali conseguenze, sia che ci troviamo in acqua libera, lontani cioè dal riparo occasionale che ci potrebbe offrire un sassone o uno spuntone di roccia , sia che, invece, si operi su un bel fondale accidentato, adatto all’appostamento.

            Nel primo caso evitiamo di avvicinarci direttamente al pesce che si insospettirebbe immediatamente; immergiamoci invece ad una ventina di metri di distanza, sempre facendo attenzione a compiere movimenti lentissimi e controllati.

            Dopo una capriola perfetta lasciamoci andare “a piombo” fino alla profondità di sei sette metri . Una volta raggiunta questa quota fermiamoci e diamoci da fare per incuriosire la nostra preda.

            A questo proposito esistono una infinità di teorie che si dimostrano più o meno valide a seconda delle diverse reazioni dell’animale. C’è chi comincia a liberare attraverso il boccaglio una serie di piccole bollicine d’aria distanziate tra loro di uno o due secondi, chi preferisce puntare sul righiamo prodotto dal lampeggiare della parabola della pila colpita dai raggi del sole, chi infine si limita a restare del tutto immobile evitando di rimanere in posizione frontale rispetto alla ricciola, senza però perderla di vista con la coda dell’occhio. Non si può dire quali tra questi sistemi dia i frutti migliori, una volta andrà bene uno, una volta andrà bene un altro; tutto dipenderà dalla maggiore o minore disponibilità del pesce verso il nostro comportamento.

            Nel caso che ci si trovi ad operare su di un fondale accidentato, irto di sassoni o di pareti di roccia che si innalzano ripide dal profondo fino a pochi metri dalla superficie, dovremo ricorrere alla tattica, usata per il dentice, di nasconderci parzialmente alla vista dell’animale.

            Per aumentare ancor più il suo interesse nei nostri confronti potremo fingerci occupati in qualche misteriosa operazione come  a razzolare sullo scoglio, a mo’ di triglia sempre dimostrando la massima indifferenza nei confronti del bestione che, incuriosito, si farà sotto per vedere che diavolo stiamo combinando.

            Se la ricciola non si farà stuzzicare dal nostro armeggio non ci resterà altra via di uscita che l’attacco diretto. Anche allora evitiamo l’immersione troppo vicina all’animale e cominciamo l’avvicinamento a qualche metro di distanza, tenendoci su di una rotta parallela a quella del pesce. Non dobbiamo dare l’impressione di seguirla, quanto di nuotare insieme a lei come se volessimo unirci al branco.

            Così facendo potremo azzardarci a grattare qualche metro fino a giungere a distanza utile per il tiro.

            Dal momento che la ricciola non possiede nè i riflessi nè lo scatto bruciante del dentice, sarà possibile concludere la fase di avvicinamento con un brusco scatto in avanti che ci farà guadagnare l’ultimo prezioso mezzo metro. La reazione del pesce consisterà in una progressiva accelerazione, abbastanza lenta però, da permettere al subacqueo di prendere la mira e di sparare prima che il breve vantaggio acquisito sfumi sotto le sue possenti pinnate.

            Riguardo al tiro un’ultima cosa: attenzione a non sottovalutare la distanza che ci separa dalla preda.

            La mole del pesce ce lo farà sembrare molto più vicino di quanto realmente non sia e spesso avremo la delusione di veder l’asta arrestarsi poco prima di raggiungere il prestigioso bersaglio.

            L’aver colpito la ricciola non vuol dire, tuttavia, aver vinto la partita; la vera lotta CON l’animale comincia proprio non appena il ferro è penetrato nelle carni dell’animale. La sua reazione è violentissima e si esplica nel tentativo di raggiungere il fondo per strusciare la schiena sulle asperità degli scogli e strapparsi in tal modo l’arpione di dosso.

            In tale circostanza l’utilità del fucile sagolato al pallone viene fuori in modo evidente. Difficilmente sarebbe possibile trattenere con le nostre forze, provate inoltre da un una lunga apnea, l’impeto di venti chili di muscoli scatenati nella lotta per la sopravvivenza.

            Con questo prezioso accessorio potremo, invece, abbandonare il fucile per risalire in superficie, da dove ci sarà più facile seguire gli spostamenti della nostra preda che si dibatte disperatamente sul fondo.

            Mentre riprendiamo fiato cerchiamo di consentirgli di portare a buon fine i tentativi di liberarsi, recuperando il sagolone quel tanto che basta per impedirgli di entrata in contatto con la roccia.  Non appena ne saremo in grado, immergiamoci di nuovo e raggiungiamo, scivolando lungo il sagolone la preda ferita. Nel caso che non abbiamo a disposizione un altro fucile con cui impartirgli il colpo di grazia, assicuriamoci che l’asta sia passata da parte a parte e che l’arpione offra una buona resistenza sul corpo dell’animale. In ogni caso evitiamo con cura di recuperare il pesce dalla superficie tirando il sagolone, perchè così facendo sommeremmo le nostre forze a quelle della ricciola, facendole gravare ambedue sull’arpione, già vicino al limite di rottura.

            Il recupero dovrà avvenire solo dopo che il pesce avrà esaurito gran parte delle sue energie ed anche in tal caso sarà preferibile immergerci ed andare ad agguantare direttamente l’asta, per ridurre al minimo le probabilità che la leccia si disarpioni proprio all’ultimo momento.

            La buona riuscita del recupero dipende, però, in maniera preponderante dal punto in cui avremo piazzato il tiro. A questo proposito, ricordiamoci che la parte di maggior tenuta è quella immediatamente seguente alle branchie, poco al di sopra delle pinne pettorali.