AGORA


LA VERDE FATA E LE GOCCE DI FUOCO

Racconto di Donato Malangone


 

- Vi ho mai raccontato del fatto di sangue che mi vide protagonista in Camargue ...
Finii di sorseggiare il favoloso Laphroaig che il padrone di casa aveva generosamente versato nei pesanti bicchieri e incominciai a raccontare.
- Ero andato a trovare mio figlio, che faceva il suo anno di Erasmus ad Aix en Provence, nel Sud della Francia, e poiché lo trovai severamente impegnato con gli esami, che in Francia si svolgono quasi tutti mediante prove scritte e nel rispetto scrupoloso della Méthode, ne approfittai per fare il turista solitario.
- La Provenza, in quei giorni di fine maggio, era stupenda: la temperatura era mite, la luce favolosa per il cielo sempre terso o appena solcato da alte nubi che vi ricamavano sopra dei candidi calligrammi, a strisce, a vortici, a ventaglio, a fiamma ...
- Era grazioso dono del Mistral l'ineffabile blu di quel cielo e, prima di me, aveva già incantato Van Gogh, Cézanne e Yves Klein, detto 'il monocromo', il quale sognava di appropriarsene definitivamente apponendo la sua firma, a caratteri cubitali, lassù in basso a destra.
- Il Mistral, come dice il suo stesso nome, Maestrale, è un vento di tramontana che percorre veloce la valle del Rodano; gelido e tagliente in inverno, con delle improvvise e rapide folate che spazzano il suolo, nella bella stagione si sposta ad alte quote, diviene un benigno e tiepido zefiro che fa rabbrividire di piacere le foglie appena nate e accarezza i volti delle persone e a tutti trasmette una sensazione di purezza e di gioia di vivere ...
- Caspita ! il Laphroaig ti rende poetico altro che racconto di sangue, è puro whiskey, e di giallo vi é solo il colore del liquore!
- Ma é un giallo o una storia vissuta ...? Non ho capito ...! - chiese lamentosamente Adele, la padrona di casa.
- Tutte e due le cose - risposi con lieve disappunto per le interruzioni - é una storia vissuta perché mi è capitata di persona, ma ha anche dei tragici risvolti, risvolti di sangue.
- Ero dunque in giro per le dolci plaghe della Provenza, a bearmi di quella vivificante primavera avanzata, e scattavo, di tanto in tanto e senza eccessivo impegno, delle foto di paesaggi.
- Mi bastava fare il pieno di emozioni e colori, da conservare gelosamente nella memoria, e perciò fotografavo solamente, come dire, per dovere d'ufficio, per avere cioè delle immagini da mostrare agli amici del Club Fotografico, ai quali devi pur dare in pasto, di tanto in tanto, delle immagini da criticare e su cui discutere e discettare con il consueto rito, ormai trito e stantio.
- Fu anche per questo motivo che decisi di recarmi a Saintes Maries-de-la-Mer, un candido villaggio in riva al mare, ai margini delle zone paludose della Camargue.
- Qui ogni anno, il 24 Maggio, si celebra la festa delle Tre Vergini Marie, che la tradizione vuole siano sbarcate in quei pressi da un esile barchetta, e che appunto nell' anniversario vengono festeggiate dagli zingari convenuti numerosi da tutta Europa.
- La festa delle Tre Marie è essenzialmente una festa pagana, nonostante la spessa patina di cristianità con cui si é voluto mascherare il culto millenario, al limite dell'iperdulia, che tutto il popolo Rom manifesta per una possente Dea Nera, simbolo di fecondità, e dispensatrice di doni e favori.
- Il simulacro della Dea è conservato in una bassa grotta sotto l'altare nella grande chiesa di pietra serena; lì sotto l'atmosfera è appena respirabile a causa della ressa indescrivibile e delle numerose torce e candele che ardono in continuazione e che affumicano il basso soffitto rendendolo ancora più incombente.
- Delle vecchie zingare presiedono al rito della vestizione con monili e vesti portate in dono dai fedeli.
- Le variopinte vesti votive vengono poste tutte l'una sull'altra sino a trasformare la statua in un goffo fantoccio dalla piccola testa e dal ligneo corpo mostruosamente dilatato dalle vesti.
- Dopo il rito religioso, celebrato da un sacerdote cattolico, ed interrotto spesso da invocazioni alle Saintes Maries, il simulacro viene portato in processione per le vie del paese e poi condotto al mare, dal quale si dice sia venuto, per la rituale abluzione purificatrice e propiziatrice.
- Una folta rappresentanza degli abitanti del paese precede e segue compunta la processione; gli uomini a cavallo, vestiti con abiti austeri e con le picche da butteri, dalle punte trilobate, appoggiate ad una staffa; le donne invece a piedi, ma doviziosamente ingioiellate e vestite con gli antichi costumi impreziositi da trine, merletti, guanti, ventagli.
- Segue poi, festante e vociante, la variopinta folla del popolo Rom, zingari, tzigani, gitani, gipsies etc che levano in alto i loro pargoli verso la statua o che cantano inni nei loro incomprensibili idiomi.
- Sui petti villosi ed abbronzati degli uomini spiccano pesanti catene da cui pendono i più strani amuleti, in massiccio oro, corni, ferri di cavallo o il simbolo del paese, un'ancora sormontata da una croce ansata, che riecheggia la croce egiziana della vita.
Le donne Rom indossano costumi delle più diverse fogge e dai colori più vistosi; il tutto alla insegna di un kitsch pesante ed eccessivo, come dimostrano i numerosi anelli, i pesanti bracciali e le vistose collane che traboccano sulle maestose scollature.
- Ma non tutte le zingare mostravano i segni di una opulenta ed ostentata ricchezza aurea.
- Ve ne erano di quelle che vestivano dimessamente e che, per racimolare qualche soldo, cercavano con insistenza di predirti la fortuna leggendola nel palmo delle mani.
- E fu appunto una zingarella di bassa statura, vestita dimessamente ed a piedi scalzi, a tirarmi prima per il gilet che indossavo - uno di quei gilet multi-tasche per conservare i parafernalia fotografici - e poi per la mano che era riuscita ad afferrare e su cui voleva esercitare le sua arti divinatorie
- Cercavo di divincolarmi ma ne ero impedito dalle macchine fotografiche appese al collo e poi, non volendo essere scortese oltre il dovuto, non esercitavo la necessaria forza, e perciò la pantomima durò qualche tempo durante il quale ebbi modo di accorgermi di alcuni lividi che ricoprivano il volto ed il collo della giovane, impreziosito da una collana di buona fattura, ma che allora mi apparve di bijotteria, e che era composta da pietre di color rubino e terminava con una piccola croce, sempre di pietre rosse.
- Un biglietto da 5O Franchi, che pescai in una tasca del gilet, riuscì a fatica a fare allontanare la zingara che insisteva nel predirmi la fortuna.
- Si avvicinava intanto un festoso gruppo di tzigani che avanzava suonando e cantando ed attingendo, di tanto in tanto, da capaci bottiglie.
- Vedendomi munito di copiosa attrezzatura fotografica, si disposero in circolo, ed a turno i solisti avanzavano per suonare i loro languidi violini e per farsi immortalare nelle loro performances.
- Dovetti scattare parecchie foto prima che, soddisfatti, mi facessero uscire dal cerchio e proseguissero oltre.
- Si era intanto fatta l'ora del pranzo e seguendo un gruppo di gitani giunsi davanti ad un locale la cui veranda era quasi per intero occupata da una nera, fumante e gigantesca paella la quale conteneva sicuramente una quantità dell'omonimo piatto capace di sfamare dozzine e dozzine di persone.
- Volevo unirmi al festino ma l'oste, offrendomi una imitazione di sangria, mi fece intendere che il locale era riservato ai gitani e così dovetti contentarmi di scattare solo alcune fotografie.
- Trovai posto per pranzare in un semideserto ristorantino greco in una piazzetta decentrata. Fu un pasto triste, le pietanze erano fredde e non molto ben confezionate. A tratti giungevano i suoni ed i canti dei festeggiamenti lontani ed allora, dal tavolo di fronte al mio, un inglese rossiccio ed atticciato si sentiva in dovere di alzare il bicchiere verso la mia direzione invitandomi a brindare mentre la sua ossuta e biondiccia moglie metteva in bella evidenza la sua equina dentatura.
A questo punto interruppero il mio racconto una serie di risatine e sghignazzamenti vari, provenienti dai miei ascoltatori; il tutto si concretizzò, poco dopo, in una domanda precisa: "E' stato il tuo fascino latino a fare colpo su quel gay anglosassone ovvero era la sua vogliosa moglie a concupirti per interposta persona?"
- Vi costeranno un altro paio di Laphroaig queste malignità da borghesucci malpensanti, o addirittura l'intera bottiglia, se non mi darete modo di finire la mia storia.
- Ad ogni modo, per rispondervi, ritengo che quello era il loro modo di partecipare alla festa ed il massimo di allentamento di freni inibitori che il ferreo self-control britannico permetteva loro.
- Non avevano certo problemi di self-control gli zingari - continuai- i quali, dopo la lunga pausa per il pranzo, avevano di nuovo invaso le vie del villaggio.
- Ovunque si formavano spontanei capannelli al centro dei quali si esibivano improvvisati cantanti o ballerini accompagnati da chitarre, nacchere, tamburelli ed incoraggiati da sonori e festanti ... olé, olé!
- Si sentiva che il rosso vino delle colline provenzali era corso a fiumi e continuava a scorrere dopo ogni esibizione.
- Ogni tanto qualcuno cadeva a terra esausto ed era prontamente sostituito da altri danzatori più riposati mentre i suonatori continuavano imperterriti o si interrompevano brevemente per partecipare anche loro alle bevute collettive.
- Non mancavano anche le occasioni di risse e tafferugli ed in uno di questi rimasi coinvolto quando uno zingaro, sudato ed 'emborrachado', si adombrò perché lo avevo fotografato senza permesso e cominciò ad inveire contro di me, trattenuto a stento dai suoi. Per quanto mi riguarda prudentemente mi allontanai, persuaso anche dalla vista del lungo coltello ricurvo che l'uomo aveva accennato ad impugnare.
- Dicci la verità ...! E' riuscito a punzecchiarti le natiche mentre scappavi - interruppe Riccardo con la sua solita ironica, sussultante risata - ed é appunto questo il fatto di sangue che ci volevi raccontare ...
- No ! le mie natiche sono ancora integre ... grazie a Dio, ma, vi assicuro, gli occhi ed il viso di quell'uomo avevano qualcosa di bestiale e la sua reazione non si giustificava neppure con l'abbondante vino che aveva di sicuro tracannato. - C'era qualcosa di più, era forse il misterioso effetto delle 'gocce di fuoco', della Fée Verte, la Fata Verde, una specie di ecstasy campestre, molto in voga una volta nel Sud della Francia.
Mi interruppero in molti chiedendo lumi su quelle potenti e fatali gocce e sulla misteriosa Fata che le distillava.
- Non mi accusate allora di essere prolisso nei miei racconti - risposi fintamente indignato. - Volete veramente volete sapere chi era la Fata Verde ? e che cosa era capace di fare ...? Ed io ve lo dico ...
- Io lo so - interloquì - Nico, detto l'Apotecario Agirino, e gli occhietti gli brillarono maliziosamente sopra il naso proteso - é la gemella della nostra Fata Gialla Gabriella che folleggiava nelle danze qualche carnevale fa.
L'interessata lo guardò di malagrazia e minacciò, a gesti, che gliela avrebbe fatta pagare.
Ristabilito l'ordine, mi accinsi a svelare il mistero della Fata Verde.
- Nelle assolate colline della Provenza - ripresi - crescono numerose piante officinali, tra le più conosciute la Lavanda, dal delicato profumo e dal vibrante colore. Ma crescono anche delle piante dai misteriosi poteri da cui i montanari ed i contadini hanno imparato a ricavare utili medicine e droghe potenti.
- Se vermi ed ossiuri infestano gli intestini dei bambini, poche gocce della Fata Verde, su una zolletta di zucchero, bastano a liberarli dai fastidiosi parassiti. - Se le giovanette in pubertà si mostrano inappetenti o addirittura anoressiche, ecco che interviene la Fata Verde, con le sue gocce e le fanciulle rifioriscono ed apprendono a sognare ad occhi aperti.
- La Fata Verde é compiacente anche con gli adulti; si fa gocciolare quell' amarissimo, bruciante liquore verde su una zolletta di zucchero, lì sul tradizionale cucchiaino forato posto sopra un bicchiere, si innaffia il tutto con del vino bianco ed ecco pronto il fatato elisire che fa dimenticare la stanchezza e fuga la malinconia.
- Anche le donne indulgono alle gocce fatate quando vogliono provare inebrianti sensazioni o risvegliare a nuovo calore i sensi intorpiditi.
- Peccato che le gocce di fuoco della Fata Verde, consumate frequentemente, siano tossiche, esiziali addirittura.
Quella sferzata di benessere, quel flash di energia, a lungo andare va ad intaccare i centri nervosi provocando spaventose crisi epilettiche, di cui si dice sia rimasto vittima anche Van Gogh, abituale frequentatore delle bettole di Arles.
Altre illustri vittime furono Baudelaire, Rimbaud, Toulouse-Lautrec, Verlaine ...
Di Verlaine esiste anzi una caricatura di Cazals che lo ritrae seduto in un bistrot con in una mano il suo bastone da zoppo e nell' altra l'immancabile bicchiere del verde liquore, la fée verte, mentre la didascalia in fondo pagina riporta un verso dello stesso poeta : "Moi, ma gloire n'est qu' une humile absinthe ephimere ..."
Tremende sono le ubriacature del péril vert, come fu chiamato; scrive Alfred Delvau: "... non è l'ubriacatura pesante della birra, né quella feroce dell'acquavite e neppure la giovale ubriachezza del vino... No, esso vi fa girare la testa alla prima fermata, vale a dire al primo bicchiere, vi salda sulle spalle un paio d'ali di grande portata e si parte per un paese senza frontiere e senza orizzonti, ma anche senza poesia e senza sole."
- Oramai la Fata Verde, o meglio l'assenzio, tale infatti é il nome profano della Fata, é fuori legge dal 1915 e non si può produrre né consumare in tutta la Francia.
- Ma le vecchie tradizioni sono dure a morire e sicuramente vi é ancora chi, in gran segreto, imitando maldestramente gli antichi distillatori, maestri nell'alchemica arte, fa macerare in acquavite una manciata di foglie e di capolini fiorali di Artemisia, di Anice, di Issopo o della temibile Genziana e di altre erbe ancora, che solo i più vecchi conoscono, per ricavarne una terribile mistura che poi gli alambicchi si incaricheranno di concentrare, una volta evaporata 'la parte degli angeli', in poche, fatali gocce.
- Forse i cucchiaini d'argento traforati a losanga che fanno bella mostra di se in taluni bar e locali della regione non sono lì solo come cimeli. Le antiche droghe forse si smerciano e si assumono ancora specialmente nelle ricorrenze delle feste, come quelle che celebrano i mai dimenticati riti pagani.
- L' espressione di quello zingaro, le sue pupille dilatate e la leggera bava alla bocca erano forse un malefico dono della verde Fata.
_ Scusatemi tutti ...! - ed era mia moglie Angela ad intervenire - forse non sapete che oltre alla laurea in Farmacia, mai peraltro utilizzata, ho un diploma in erboristeria e queste erbe officinali le ho studiate, e non mi sembrano così pericolose: l'Artemisia viene usata nella fabbricazione dei Vermouth, dalla Genziana, nelle zone alpine, ricavano un ottimo aperitivo e digestivo, il Genepì e l'Anice lo conoscete e lo consumate tutti d'estate nello Zammù ...
- Giusto ha ragione Angela - intervenne l'abbronzatissimo Francesco, più noto a Giarre come 'le tombeur des femmes', - a lei va il mio plauso e la mia solidarietà ... - Donato ci sta raccontando un sacco di balle e poi perché mai questo distillato si dovrebbe chiamare pomposamente la 'Fata Verde' ?
- Rispondo subito a questa ultima domanda - dissi con calma - il nome di Fata Verde oltre che per i pigmenti presenti nelle piante, é stato dato dagli antichi distillatori per la debole ma percettibile fosforescenza verdastra che assumono i contenitori di vetro della mistura e le stesse gocce quando cadono lentamente dagli alambicchi. Ma poi nel simbolismo dei colori, lo sanno tutti, il giallo-verde é il colore del malsano, del veleno, delle marcescenze fungine, insomma di tutto quello da cui gli uomini si devono guardare.
- La personificazione con una Fata é poi un chiaro riferimento agli effetti della droga, alle sue proprietà euforizzanti e forse allucinogene, se è vero ciò che é stato scritto in proposito e cioè che l'assenzio, specie l'assenzio alla genziana, riunirebbe in se le proprietà dello hascisc e del peyote.
-Quanto alle giuste osservazioni di mia moglie, faccio solo osservare che si tratta di piante di specie diverse; lei ha studiato la Artemisia Glacialis, la Spicata o forse l'Artemisia Dracunculus da cui si ricava l'Estragone o Dragoncello, il noto condimento, ma io parlo della Artemisia Absynthium e soprattutto della temibile Gentiana Lutea ...
- Ma a me non interessa un cavolo di queste vostre storie di farmacisti e botanici - interruppe fragorosamente e tra l'approvazione di molti il bel Francesco - io voglio solo sapere come va a finire la storia dello zingaro assatanato ... che si voleva ... fare Donato!
- Ha ragione Francesco - risposi conciliante ed ignorando la provocazione - troppe digressioni, specie se inutilmente dotte, rovinano i racconti e la 'suspense' o 'suspence' che dir si voglia e quindi torniamo all'episodio dello zingaro. -Come stavo dicendo l'inopinata aggressione di quell'uomo mi aveva oltremodo turbato e, pur continuando a fotografare i capannelli festanti, me ne tenevo prudentemente a distanza.
- Dopo un poco anzi, ormai stanco ed a corto di rullini, decisi di rientrare ad Aix per una calda doccia ed un sonno ristoratore.
- La doccia fu rilassante ma il sonno, che prometteva davvero di essere ristoratore, fu bruscamente interrotto nel cuore della notte.
- Il suono stridulo ed insistente del campanello del mini-appartamento in cui alloggiavo non riusciva a scuotermi dal profondo sonno in cui ero piombato; anche il telefono era solo un fastidioso ronzio e solamente ripetuti e robusti colpi alla porta d'ingresso riuscirono a destarmi.
- Raggiunsi la porta in mutande e con una sola pantofola e subito dopo l'appartamentino fu invaso da una folla di persone, tra le quali l'assonnato direttore del residence ed agenti della gendarmeria.
- Mentre costoro mi chiedevano i documenti ed occhiutamente li verificavano, altri, in borghese, avevano preso ad aprire armadi, valigie, borse, persino la cesta della biancheria sporca.
- Io, inebetito dal sonno bruscamente troncato e stordito da quella rumorosa irruzione, lasciavo fare.
- Reagii e bruscamente con un : "Ma insomma chi siete e che cazzo volete!" solamente quando cominciarono a frugare maldestramente nella borsa fotografica facendo cadere a terra rullini ed aggeggi vari.
- Questo mio grido, che era riuscito tra lo stridulo ed il rauco, ebbe il potere di fermarli. Il direttore del residence, in perfetto italiano, mi informò, indicandomi un funzionario di polizia che si era mantenuto in disparte, che la locale gendarmeria aveva necessità di eseguire degli accertamenti.
- Il funzionario chiamato in causa, mi notificò, in tono gentile ma fermo, che era necessario che io lo seguissi alla gendarmeria per delle indagini a mio carico.
- Cari amici vi assicuro che passai dei brutti momenti, hai voglia a dirti che hai la coscienza a posto e che non hai commesso niente di male, ma la kafkiana sensazione di essere preda impotente di una forza ineluttabile ti fa sentir male sino nel profondo delle viscere ...
- ... e quindi te la sei fatta addosso e questa volta fisicamente e non solo metaforicamente, come con lo zingaro ... - mi interruppe Roberto.
Fu bruscamente zittito dagli altri ascoltatori e per farsi perdonare la inopportuna interruzione, venne a riempirmi il bicchiere semivuoto, e battendomi la mano sulla spalla, mi invitò a proseguire.
- Per farla breve - ripresi - dopo essermi sommariamente lavato e rivestito, fui trascinato come un pacco, un voluminoso pacco direste voi, alla gendarmeria ove tutta la loro urgenza investigativa venne meno perché mi lasciarono a marcire per ore in un freddo e 'spifferoso' corridoio.
- L' unica risposta che riuscivo ad ottenere dal gendarme in fondo al corridoio era: Attendez-vous, s'il vous plaît!
- Dopo alcune ore si notò in quell'ufficio una certa animazione e poco dopo si fece vivo quello che doveva essere il capo, il quale dopo essersi informato con il piantone sulla mia identità, gli fece cenno di introdurmi nell sua stanza.
- Come credo sia usanza in tutte le polizie di questo mondo mi fece declinare, per prima cosa, la mia identità, sebbene sapesse perfettamente con chi aveva a che fare.
- Mi domandò poi bruscamente che cosa ci facevo a Saintes-Maries-de-la Mer il giorno precedente.
- Non mi aspettavo proprio quella domanda e perciò risposi, tra il sorpreso ed il seccato, che avevo fatto quello che altre migliaia di persone accorse al villaggio avevano fatto e cioè assistere alla grande festa dei Rom, fotografare la processione e godere di una giornata di sole.
- Il commissario, il funzionario della gendarmeria insomma, incassò in silenzio, aprì un cassetto della scrivania e ne trasse fuori un sacchetto con dentro dei rullini fotografici, i miei verosimilmente, e mi domandò a bruciapelo: "Sono tutti suoi questi rullini, li ha scattati tutti in quel giorno, e come ha trovato il tempo di ammazzare anche la zingara?"v - Divenni pallido per l'emozione e riuscii a farfugliare solamente: "Quale zingara ? io non ho ucciso nessuna zingara"
- Il funzionario interpretò la mia emozione come una qualche ammissione e per darmi, secondo lui, il colpo di grazia, mi sbatté sotto il naso un fascio di fotografie della morta.
- Vincendo l'emozione diedi uno sguardo alle foto e riconobbi il corpo esangue e straziato della zingarella, quella zingarella che voleva predirmi la fortuna e che non aveva saputo predire la sua tragica fine.
- Riferii allora le circostanze nelle quali avevo conosciuto la povera zingara, affermando energicamente che non ero stato io a ridurla in quello stato e che anzi avevo già allora notato che aveva dei lividi sulle guance e sul collo.
- Nell'indicare sulle foto il punto esatto dei lividi mi sovvenne il particolare della collana, la collana di pietre rosse o di rubini che essa portava al collo. Lo riferii al commissario il quale si fece più attento e volle che ripetessi più volte le occasioni dell'incontro con la zingara e tutto ciò che avevo potuto notare.
- Alla terza volta cominciai a dare segni di impazienza ed esclamai: "Ma non mi tormentate più, cercate piuttosto di scavare nel suo ambiente, tra i suoi simili, tra gli zingari ..."
- Appena pronunciate queste parole si materializzò la faccia, o meglio, il ghigno dello zingaro in preda alla Fata Verde, e mi venne in mente il motivo per cui avevo deciso di fotografarlo.
- Mi aveva colpito, allora, oltre che la sua aria assente, qualcosa di brillante che gli pendeva dal taschino, o meglio da un buco del taschino della sua camicia, e ciò che brillava era, ne ero sicuro, una croce di pietre dure, pietre di color rosso, come il rosso dei rubini della collana della zingara.
- Con concitazione raccontai tutto all'incredulo commissario il quale alle fine sembrò aver capito e mi chiese, questa volta in tono gentile: "Saprebbe indicarmi in quale di questi rullini si trova l'immagine di quello zingaro?"
- E no! - risposi - Fateli sviluppare tutti e troverete il vostro uomo!
- Il funzionario chiamo un gendarme e gli impartì ordini in tal senso e poi rivolto a me: "Venga, venga con me. Andiamo a scovare quell'uomo, se é vero che esiste"
- Non fu difficile trovare il turpe soggetto nel villaggio di Saintes Maries, era in una bettola in preda alle sue allucinazioni. Addosso gli trovarono il coltello ancora macchiato di sangue e nel suo carrozzone fu trovata anche la collana, che risultò essere stata rubata, dalla zingarella, ad una dama del paese.
Sulla via del ritorno chiesi al commissario come mai avevano pensato a me per quel fatto di sangue.
- Mi rispose: "Caro Signore, le zingare, si sa, hanno l'abitudine di rubacchiare e dalle sue tasche é stato rubato il cartoncino con il nome del residence e la tessera magnetica, a suo nome, per accedere al garage."
"Un'altra volta stia più attento, é sempre pericoloso farsi derubare! Passi domani dal mio ufficio per ritirare la tessera e le sue foto sviluppate, omaggio della gendarmeria.
Au revoir ! "

*Deodatus, absinthii effusus, scripsit
Giarre Gennaio 1996

 

 


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