Il problema di riuscire a muoversi agevolmente e operare sott'acqua - ad esempio allo scopo di recuperare materiale disperso sui fondali - si affaccia assai presto alla mente dell'umanità?.

I Greci lo risolvono facendo ricorso alla cosiddetta "campana pneumatica", grosso contenitore privo di fondo sotto la cui protezione il subacqueo puo&grave immergersi e respirare: la pressione dell'aria contenuta nella campana, infatti, impedisce l'ingresso immediato dell'acqua.

La quantità di ossigeno presente, tuttavia, è ridotta e destinata ad esaurirsi rapidamente e ciò rende lo strumento di scarsa efficacia, in quanto limita sensibilmente l'autonomia dell'operatore.
Nonostante ciò, dispositivi di questo genere rimangono in uso ancora per secoli e ad essi verosimilmente si riferisce il filosofo inglese Ruggero Bacone, il quale nel XIII secolo annota che "si possono pure fare strumenti per camminare sul fondo del mare o dei fiumi senza pericoli per la propria vita", ricordando che Alessandro Magno se ne serviva spesso per esplorare i fondali marini.

Miniatura tardomedievale che raffigura Alessandro Magno mentre viene calato in mare chiuso in un curioso contenitore. Immagine ingrandita [37 Kb]

Come abbiamo visto, la campana pneumatica non riesce a garantire due esigenze fondamentali per il lavoro subacqueo: la libertà di movimento e la permanenza sul fondo per tempi prolungati. Si rende dunque necessaria l'adozione di un dispositivo diverso, più agile e che soprattutto consenta il costante rifornimento d'aria tramite un collegamento permanente con la superficie.

La nuova soluzione, che si affaccia nei trattati tecnici del '400 come quelli del senese Mariano di Jacopo, detto Taccola, e del cosiddetto Anonimo della guerra Ussita, è quindi quella del palombaro
Le proposte avanzate da questi autori, tuttavia, appaiono appena abbozzate e non analizzate tecnicamente e per di più il problema della respirazione viene risolto in maniera alquanto semplicistica, tramite cioè l'adozione di un elmo o cappuccio munito di un lungo tubo, mantenuto alla superficie mediante galleggianti.
Anche Leonardo adotta la soluzione del palombaro, ma diversamente dagli autori contemporanei il suo approccio è rigorosamente tecnico-scientifico.

Mariano di Jacopo, detto il Taccola (sec. XV). Progetto di palombaro.



Anonimo della guerra Hussita (sec. XV). Progetto di palombaro. Immagine ingrandita [53 Kb]

Egli realizza immediatamente che il sistema di respirazione a tubo semplice è del tutto inadeguato, in quanto non consente un efficace ricambio: a lungo andare, infatti, l'aria espirata finirebbe per ristagnare nel tubo, ostacolando se non impedendo l'afflusso di quella fresca.
Per funzionare, il sistema deve quindi incanalare aria fresca e aria viziata in condotti separati e l'artista adotta infatti due tubi, muniti ciascuno di una valvola che ne regola l'apertura e la chiusura. La due valvole vengono azionate dalla respirazione ed hanno funzionamento alternato: quando una si apre, l'altra si chiude. In tal modo, con l'inspirazione l'aria fresca può affluire dal primo tubo, mentre con l'espirazione l'aria viziata viene immessa nel secondo e fatta defluire verso l'esterno. Il sistema è mantenuto alla superficie dell'acqua mediante un grosso galleggiante a forma di cupola.

Leonardo da Vinci. Sistema di respirazione per palombaro con particolari sui giunti di raccordo (Cod. Arundel, c. 24 v).

Leonardo è attento anche alla struttura dei tubi, che realizza utilizzando più canne collegate fra loro mediante giunti speciali. Allo studio di tali giunti egli dedica particolare attenzione, munendoli di molle interne di acciaio temperato e rivestendoli di una doppia guaina in cuoio, in modo da renderli resistenti alla pressione dell'acqua che potrebbe altrimenti schiacciarli, interrompendo l'afflusso di ossigeno.

Leonardo da Vinci. Studio per il respiratore ed il funzionamento delle due valvole (Cod. Atlantico, c. 647 v, ex 237 v b). Immagine ingrandita [17 Kb]

Ma l'artista non si occupa soltanto del sistema di respirazione, differenziandosi anche per questa via dai tecnici contemporanei. Egli affronta il progetto del palombaro in un'ottica globale, non trascurando alcuno dei problemi legati all'immersione, e la dotazione che prevede lo dimostra ampiamente: un abito apposito formato da calzoni, giubba e cappuccio; sacchetti di sabbia con funzione di zavorra ed un otre gonfiabile e sgonfiabile per favorire la discesa e la risalita; un coltello per liberarsi, nel caso il subacqueo rimanga impigliato in una rete e perfino dei sacchetti in cui raccogliere eventuali rifiuti organici.

Il palombaro di Leonardo nella ricostruzione del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano.

Contrariamente all'impiego civile, che sembra contraddistinguere i progetti degli altri autori, il palombaro di Leonardo ha tuttavia un utilizzo eminentemente bellico. Lo ritroviamo infatti in chiara connessione con studi di strumenti per provocare squarci nel fasciame di navi nemiche e assai significativa è la raccomandazione che l'artista rivolge al suo potenziale subacqueo di fare prigionieri. Né Leonardo trascura l'aspetto economico, suggerendo al suo uomo di garantirsi il compenso - pari alla metà della taglia (il riscatto dei prigionieri?) - mediante stipula di un regolare contratto: "ma prima fa patto per istrumento, come la metà de la taglia sia tua, libera senza alcuna accezione".

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