A la –vo’, Tresa, a la–vo’           

Ancora si piange

nella piana “degli aranci”

Piangono gli uccelli

sopra i rami dei pioppi

piantati attorno alla terra

che fu tua

dove la luna splendeva

 nella notte buia

di “cucchi e cacapali”

ed il sole spuntando

scorgeva persone arrivare a piedi

dal paese

per custodire il frutto rosso e dolce

di quegli alberi verdi

nei giorni di festa

impotenti contro le “gelate”

terra inumidita dentro la conca

dove però niente vi poteva il vento

terra tua calpestata

dopo una vita di lavoro

in un paese straniero

aldilà del mare

 per guadagnate un pezzo di pane

e qualche soldo

da inviare alla famiglia

lontana.

E non vi fu nota di tango

ma “punti” da sarta ti resero maestra

con l’arte nelle mani 

e gli occhi pieni di pianto

di orfanella ragazza

e di ricamare notte e giorno

madre per fratelli e sorelle.

Così mi ricordo di te

così ti rivedo in sogno

da quando stai accanto alla mamma

e ormai non esci la sedia

 sull’uscio della “Strada Grande”

e non ci narri una storia

o la trama di un romanzo:

ed in inverno

a realizzarci dei golf di lana

e a rifinire abiti nuovi da indossare

per le festività o per la ricorrenza dei defunti.

E quando il male non ti risparmiò

tuo nipote passò il suo compleanno accanto a te

come soleva fare da bambino

quando veniva a trovarti per la strenna

l’ultima volta

il tre Febbraio del Novantadue.   

 

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