Gli amori

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Liliana Castagnola, al secolo Eugenia, era una splendida soubrette, donna piena di fascino, idolatrata come una dea da tanti uomini. Era circondata da un'aura di torbido mistero dovuto alle tragedie che aveva provocato: duelli, suicidi, patrimoni posti ai suoi piedi erano cronaca quotidiana per una bellezza che era solita accompagnarsi a regnanti, ministri, grandi industriali.

Totò e Liliana si innamorarono e vissero una stagione di intensa passione.

Il giovane attore napoletano aveva totalmente conquistato la donna che aveva avuto ai propri piedi gli uomini più ricchi d'Europa.

Il loro amore fu coinvolgente, pieno di passione e gelosia ma Totò si stancò presto di quella donna possessiva, ombrosa ed opprimente ed accettò una scrittura fuori a Napoli.

La relazione di Liliana fu eccessiva e definitiva: si tolse la vita ingerendo un intero tubetto di sonniferi.

Totò fu profondamente sconvolto dal suicidio di Liliana e volle che venisse seppellita nella tomba della famiglia De Curtis a Napoli. Ma il gesto non bastò a cancellare il ricordo. Quando, dalla moglie Diana, Totò ebbe una bambina, volle chiamarla Liliana in memoria di quel tragico amore.

 

Totò conobbe Diana Rogliani nel 1931, mentre recitava a Firenze.

Diana, appena sedicenne, si trovava ospite da alcuni parenti che una sera la condussero a teatro per vedere Totò.

A fine spettacolo vennero presentati e in seguito, rivedendosi a Napoli, si innamorarono.

Si sposarono nel 1932 e così iniziò per Diana una vita da girovaga, costretta a seguire il merito - gelosissimo - per tutta l'Italia.

Nel maggio del 1933, con la nascita della piccola Liliana, vi fu un po’ di tregua ma, quando ricominciarono a girare per le tournèes, ripresero anche gli screzi ed i primi seri litigi, soprattutto per l'abitudine di Totò di interessarsi eccessivamente alle innumerevoli donne, ballerine, attrici, soubrettes da cui era circondato.

Nel 1939 ottennero l'annullamento del matrimonio in Ungheria; malgrado questo, però, continuarono a vivere insieme per amore della figlia, assicurandole così il calore della famiglia ed un affetto intenso. Totò e Diana vissero sotto lo stesso tetto con la promessa di riprendersi la loro libertà solo quando Liliana fosse stata sposata e sistemata.

Ma durante le riprese di un film "47 morto che parla" Totò conobbe la bellissima Silvana Pampanini e subito se ne invaghì facendole una corte serrata, con invio di fiori e regali.

La notizia dilagò presto su tutti i giornali, che parlarono di grande amore fra i due.

Diana, credendo a quanto scritto dai giornalisti, reagì subito, accettando la proposta di matrimonio fattale dall'avvocato Tufaroli.

Totò, dinanzi alla mancata promessa scambiata anni prima a proposito di Liliana, fu talmente offeso che pochi giorni dopo scrisse la famosissima canzone "Malafemmena", dedicandola alla moglie.

Silvana Pampanini, però, rivendicò sempre di essere stata l'ispiratrice, con i suoi rifiuti.

Certamente Totò fu un uomo che si lasciò coinvolgere dalla bellezza delle donne, sulle quali esercitava un notevole fascino, dovuto alla simpatia ed alla grande signorilità che lo contraddistinguevano.

Il suo lavoro in teatro, del resto, non lo metteva certo al riparo dalle continue tentazioni.

Nel 1952 Totò conobbe Franca Faldini, una bellissima attrice esordiente.

Il comico aveva visto una sua fotografia sul periodico "Oggi"; ne fu subito attratto e, seguendo il suo impulso, le inviò dei fiori chiedendole un appuntamento.

Ebbe, così, inizio il loro amore che durò fino alla morte di Totò.

Si disse che si fossero sposati segretamente in Svizzera, con rito civile, ma questo matrimonio non fu mai confermato neppure dalla Faldini.

Totò temeva molto il ridicolo e la forte differenza d'età con Franca gli creava problemi; malgrado ciò i due si amavano e la loro unione fu abbastanza felice, nonostante i frequenti scontri delle differenti personalità e punti e punti di vista.

Nel 1954 ebbero un figlio, Massenzio, che purtroppo morì poche ore dopo la nascita. Totò ne fu prostrato, ma l'amore per Franca, che aveva rischiato di perdere la vita, gli diede la forza di continuare a vivere e lavorare.

Nel 1956 Totò, ormai attore cinematografico ricco e famoso, accettò di tornare al teatro. Malgrado i suoi film facessero sempre cassetta, l'antica passione aveva ripreso il sopravvento e si era lasciato convincere da Remigio Paone - suo antico impresario - a recitare nella rivista "A prescindere", che debuttò al Sistina di Roma.

Dopo due anni di cartello a Roma la troupe si spostò a Milano e qui Totò si ammalò di una grave broncopolmonite virale; si sarebbe dovuto curare a lungo e invece, dopo tre giorni, imbottito di antibiotici, tornò sul palcoscenico, anche se il fisico debilitato gli impedì di recitare.

L'aver trascurato le cure gli portò una grave emorragia all'occhio destro, della cui gravità si rese conto durante una tappa della tournèe a Palermo, mentre recitava, si accorse di essere diventato praticamente cieco anche perché già nel 1939 aveva subito una menomazione all'occhio sinistro.

Per mesi interi rimase al buio profondo ma, grazie alle cure intense, migliorò e poté tornare al lavoro cinematografico, proteggendo gli occhi con gli occhiali scurissimi che toglieva solo al momento di salire sul set.

Per Totò la semicecità fu un tormento acuto che gli causò una forte depressione, dalla quale si tirò fuori grazie alla dedizione della compagna, Franca Faldini, ed al conforto della figlia Liliana.

Quando riprese a recitare, nessuno si accorse che era ormai quasi cieco e, anche se il pubblico aveva saputo che era stato afflitto da disturbi alla vista, non immaginava il dramma che aveva sconvolto la sua vita.