Articolo del

Giovedí - 25.gennaio.2001
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India, il gran giorno di santi e guerrieri Trenta milioni di fedeli hindu nel Gange per l’appuntamento più sacro del Kumbh Mela

Il bagno nel fiume è stato preceduto da una notte di riti propiziatori con la lettura dei «mantra»


DAL NOSTRO INVIATO
ALLAHABAD (India) - Uno spadone lungo due metri fende la livida luce dell’alba sul Gange. Lo libra nell’aria il guru dei Mahanirvana , la setta di naga cui spetta l’onore di aprire la processione verso le acque del sacro fiume. E’ seguito da altri due uomini santi che procedono impettiti sotto un baldacchino finemente ricamato. Sono avvolti in drappi di cotone immacolato e bardati di elaborate catene d’oro. Dietro di loro, una trentina di naga , gli antichi guerrieri della tradizione hindu, quanto di più vicino ai thugs salgariani possa offrire l’India contemporanea. Non li copre altro che un sottile strato di cenere.
Il guru con lo spadone arriva alla punta del promontorio disegnato dalla confluenza fra il Gange e lo Yamuna. Recita alcuni mantra , le formule rituali attraverso cui gli hindu invocano gli dei. Poi abbassa l’arma fino a sfiorare l’acqua. L’urlo « Ganga Mai ki Jai » (Gloria a te, Madre Gange) accompagna la corsa dei naga verso il sangam , il mitico punto in cui il Saraswati riemerge dalle viscere della terra per unire il suo corso a quello dei due fiumi di superficie. Sono le 5.43 del mattino, l’ora del più favorevole allineamento fra Giove (in Ariete) e il Sole e la Luna (in Capricorno). Prima del tramonto, una trentina di milioni di persone, circa la metà della popolazione italiana, si saranno immerse per purificarsi e cancellare i loro peccati.

Per permettere ai fedeli di raggiungere il punto sacro del fiume sono stati costruiti ponti provvisori galleggianti su cisterne vuote. (Foto Ansa)

E’ il gran giorno del Maha Kumbh Mela. (Festival del Grande Vaso), il più colossale spettacolo a sfondo religioso che si sia mai visto al mondo. Ricorre ad Allahabad ogni 12 anni, che corrispondono ai 12 giorni divini impiegati da Garuda , il cavallo alato, per trasportare in cielo il vaso contenente il nettare dell’immortalità, dopo averlo sottratto ai demoni. Durante il viaggio, si fermò in altre tre città.
Questa è tuttavia la più sacra: il suo antico nome, Prayag , significa «luogo della purificazione». La mitologia hindu sostiene che il dio Brahma , per togliere ogni contaminazione all’atmosfera una volta creato l’universo, fece qui un memorabile sacrificio.
Il più benigno dei bagni è stato preceduto da una notte di riti propiziatori. Nel Kumbhnagar , la tendopoli in cui si ammassano i pellegrini e che occupa un’area di 50 chilometri quadrati attorno alla confluenza dei fiumi, nessuno ha dormito. All’interno degli ahkara , i padiglioni che ospitano le due congregazioni principali ( sannyasi e udasin ) e le centinaia di sottordini in cui è divisa la gerarchia religiosa hindu, i guru hanno recitato molti mantra e fumato molti chilam , le pipe in cui bruciano hashish, marijuana o oppio. Intanto, i loro discepoli pulivano alla meglio gli sgangherati trattori e gli sfarzosi carri per la processione dell’alba.
Diffusi da gracidanti amplificatori, i mantra sono stati ripetuti dai devoti e dai semplici fedeli. La differenza sta solo nella diversa capacità di contribuire con offerte in danaro alla maggior gloria della setta. I devoti, riconoscibili per una targhetta applicata al petto, sono ammessi all’interno dell’ ahkara e lì dormono, sotto tende militari.
I poveracci che costituiscono la gran massa dei fedeli si distendono semplicemente sulla sabbia e si infagottano sotto una coperta per ripararsi dal freddo invernale (il termometro scende fin quasi allo zero). Arrivano qui portandosi sulla testa valigie, borse e sacchi pieni di cibo che mettono a disposizione della mensa comune, gestita dall’ordine al quale aderiscono.
Tre volte al giorno vengono distribuiti pasti rigidamente vegetariani. I fedeli siedono a terra, in lunghe file perfettamente allineate, e ricevono da mangiare su foglie di banano. Fra un pranzo e l’altro, porgono omaggio ai loro guru. A volte ascoltano lunghi brani tratti dalla mitologia sanscrita, più spesso gli si inginocchiano davanti, gli toccano i piedi, versano un obolo (in media 10 rupie, circa 500 lire italiane). In cambio, i sant’uomini immergono il pollice nella cenere del fuoco sacro e ne applicano un baffo sulla fronte, fra le sopracciglia. «Qui c’è molta fede e altrettanto spiritualismo», diceva l’altra sera Shiv Gauvrav Vig, un mercante di un villaggio fra Allahabad e Lucknow, davanti alla tenda di Sri Digambar Baba, un naga penitente che si è cerchiato il pene con due anelli. «Ma alla fine, come sempre, è una questione di soldi. E’ Laxmi, la dea della ricchezza, che suggella il patto fra gli uomini santi e i fedeli».
Le luci da luna park del Kumbhnagar (colorate e intermittenti, a disegnare il profilo degli ahkara e a decorarli con ruote, fontane e pinnacoli) sono ancora accese nel momento in cui, alle 4.30 del mattino, la processione comincia a muoversi dal settore numero 5, dove sono concentrati gli ahkara più importanti. I carri trascinati dai trattori sono tutti uguali. Vi sono montati troni d’argento, abbelliti da ghirlande di fiori e adornati da baldacchini. Trasportano i guru più importanti di ogni setta. Gli altri seguono a piedi, mentre i devoti fanno da ala al loro procedere su un percorso lungo 5 chilometri e delimitato da staccionate di legno che arginano la massa dei pellegrini. A loro, i guru rivolgono condiscendenti benedizioni con un impercettibile movimento della mano destra.
Quando la setta dei Mahanirvana , alla testa della parata, raggiunge il promontorio che segna la confluenza di Gange e Yamuna, l’accesso all’acqua è sgombro. Così rimarrà fino alle prime ore del pomeriggio, con l’arrivo dell’ultimo di un migliaio di carri. Poliziotti a cavallo hanno cominciato a spinger fuori i bagnanti notturni che erano da poco passate le 3. Temendo la violenta reazione dei naga , hanno cercato di liberare il campo anche dai fotografi, prima di confinarli in un angolo della spianata. Ma è una preoccupazione eccessiva. Questi, ormai, sono asceti con una vistosa inclinazione all’esibizionismo. Non minacciano né si nascondono. Al contrario, cercano gli obiettivi.
Lontanissimo è il 1977, quando Michelangelo Antonioni e la sua troupe furono costretti a una precipitosa ritirata per aver voluto filmare da vicino la discesa al sangam . E, ancora di più, il 326 a.C., quando Alessandro il Grande, raggiunta la riva dell’Indo, avvistò un gruppo di naga seduti al sole, nudi. Incuriosito, inviò un ufficiale a chieder loro chi fossero e quale saggezza potessero dispensare.
«Trasmettere la conoscenza attraverso un interprete sarebbe come cercare di distillare acqua limpida attraverso strati di fango», fu la risposta, secondo la tradizione. «Se il re vuole davvero imparare, si spogli dei suoi magnifici vestiti e sieda anche lui al sole».
Di questa mitologica sapienza, ciò che certamente rimane attuale è la fangosa consistenza dell’acqua alla confluenza dei fiumi sacri. E’ la stagione secca, il livello raggiunge appena le cosce di un adulto e banchi di sabbia emergono proprio là dove dovrebbe essere il sangam .
Fino a che è buio, i bagnanti rimangono sulla riva dello Yamuna, i cui argini per quasi 2 chilometri l’esercito ha modellato a gradini da cui scendono muri compatti di fedeli. Poi, quando una decina di minuti prima delle 7 il sole spinge il suo limpido cerchio rossastro sopra l’orizzonte, barche con la chiglia quasi piatta occupano il centro della corrente.
Trasportano i pellegrini che possono pagare 30 rupie a testa (circa 1.500 lire) per avvicinarsi il più possibile al mitico punto, comunque protetto da pali conficcati sul fondo.
C’è qualcosa di magico (com’è comune a tutte le religioni) nell’attrazione che il Gange suscita negli hindu. «Ciò che il nettare è per gli dei, l’acqua del Gange è per il mondo degli uomini», è scritto nel Mahabhara ta , il grande poema epico indiano. «La storia del Gange, dalla sorgente al mare, dall’antichità a oggi, è la storia della civiltà e della cultura dell’India, della nascita e della caduta di imperi, di grandi e orgogliose città, dell’avventura umana e della conquista della mente, della ricchezza e della rinuncia, della vita e della morte», dice Jawaharlal Nerhu, uno dei padri dell’indipendenza, nella Scoperta dell’India. Fra i 108 nomi che gli sono assegnati, uno suona «miniera di nettare». Gli imperatori Moghul tenevano la sua acqua in speciali cisterne. Era talmente pura che (vuole la leggenda) poteva depurarsi di ogni batterio, perfino di quello del colera.



Bagnarvisi dà maggiori meriti che sacrificare mille cavalli o fare 10 mila circumnavigazioni della terra, sostiene il Vishnu Purana , uno dei sacri testi sanscriti. Tuttavia, non così cristallina la sua acqua appare nelle bottiglie e nei recipienti di plastica trasparente che i pellegrini riempiono dopo essersi immersi. E’ verdastra, tendente al marrone, e vi rimangono sospesi residui tanto vari quanto imprecisati.
Viene raccolta, e portata a casa, per accompagnare le preghiere in occasioni particolari. Perfino Shiv Gauvrav Vig, il mercante vagamente scettico, riconosce che «soltanto avvicinarsi al sangam purifica l’individuo, gli toglie la polvere delle esperienze negative, restituisce limpidezza alla mente». Per i fedeli meno coltivati, gli effetti del bagno sono semplicemente miracolosi. «Ho raggiunto oggi l’obiettivo della mia vita», dice Dharam Kumar, un contadino di Hoshangabad, nello Stato del Madhya Pradesh, India centrale. «Ho 65 anni, questo è il mio primo Kumbh Mela e forse sarà anche l’ultimo. Ma, qualsiasi cosa accada, niente sarà più come prima. Adesso posso morire in pace».

Lanfranco Vaccari

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