L'Età Moderna
                 

Nel '500 la crisi commerciale, artigianale e manifatturiera che iniziava a colpire l'Italia, nonché il contemporaneo attenuarsi nello Stato Pontificio dei conflitti tra i vari potenti locali, incoraggiarono gli investimenti agricoli e spinsero i latifondisti a impiegare capitali nello sviluppo dei loro possedimenti. Anche gli Orsini di Monterano e di Bracciano furono presi dal desiderio di rendere produttivi i loro terreni con l'impianto di redditizi vigneti e colture più razionali. Nello stesso periodo una grave crisi politica era in atto negli stati toscani, dove i governi repubblicani di tradizione libertaria vennero sostituiti dal dominio assoluto della famiglia dei Medici, che fondò il Ducato di Toscana. In conseguenza ai lunghi conflitti e alle relative devastazioni, molti toscani e molti umbri, prevalentemente taglialegna e boscaioli, decisero di abbandonare la propria terra e si trasferirono nella Silva Mantiana, ben accolti dai proprietari locali. Castello degli Orsini a BraccianoI nuovi venuti si organizzarono in vari nuclei di capanne, principalmente ai piedi del monte Sassano, l'attuale Monte dell'Eremo. Quando le capanne vennero sostituite da edifici in miniatura, ebbero origine, con varie vicende, i primi insediamenti stabili degli attuali centri di Canale, Montevirginio, Manziana, Quadroni e Oriolo. La discendenza umbro-toscana delle popolazioni della zona è tutt'ora testimoniata da vari elementi: aspetti del carattere, motivi religiosi, e soprattutto dall'inflessione del linguaggio.

CANALE
I coloni stabilitisi nella prima metà del '500 sul versante occidentale del monte Sassano diedero vita al primo nucleo abitato dell'attuale Canale Monterano. Canale è sorto secondo un progetto-base assai semplice, frutto con ogni probabilità della sola esperienza delle maestranze locali, ed è cresciuto spontaneamente secondo le esigenze dei singoli coloni. Il nucleo principale, corrispondente all'attuale Corso della Repubblica, è stato ottenuto dal disboscamento delle falde del monte a forma di un "canale" con direzione da nord a sud, lungo il quale sono sorte le abitazioni, le botteghe artigiane e una piccola chiesa, oggi chiamata Oratorio. In origine l'abitato non aveva un nome preciso ed era indicato dai monteranesi col termine generico "le capanne"; successivamente venne chiamata Villa di Canale di Magliano o semplicemente Canale. Soltanto dopo l'annessione allo Stato Italiano assunse l'attuale nome di Canale Monterano.
Nella zona intorno a Canale, per un raggio di circa un chilometro, sorsero in vari periodi tanti piccoli insediamenti, ottenuti dal disboscamento della selva. Questi insediamenti venivano chiamati dalla popolazione castelli o castelletti, secondo una terminologia di derivazione tardo-romana. Si formarono così i castelli del Giglio, di Bonivento, della Carraiola, del Ghetto, dei Marioni, delle Case Nuove e nella parte alta i castelli di Monte Cavallo, della Riccia, del Castagno, dei Bravi e più lontano del monte della Rosetta e del monte Guasto. Quest'ultimo e il monte della Rosetta sono nel corso dei secoli rimasti separati dal restante abitato e sono ancora circondati da boschi di castagno. Per queste loro caratteristiche attualmente costituiscono gli ultimi esempi di castelli rurali canalesi e rappresentano una significativa testimonianza dell'evoluzione urbanistica del territorio.

L'EREMO
Eremo di MontevirginioNei primi del '600 gli Orsini di Bracciano e di Monterano, da poco proprietari anche di Oriolo, Vejano e Rota, manifestarono la loro intenzione di favorire la costruzione di un eremo sul monte Sassano. In particolare Virginio Orsini, frate carmelitano e figlio dell'omonimo duca, rinunciò ai suoi beni e impose al fratello, Paolo Giordano, l'onere di donare all'ordine religioso dei Carmelitani Scalzi una consistente somma di denaro per avviare la costruzione dell'eremo. I lavori, iniziati nel 1651 ebbero termine nel 1668. Il convento si presentava come un'imponente costruzione a pianta rettangolare. Nel primo piano erano sistemate le dodici celle dei frati, nove stanze per gli ospiti, i luoghi di preghiera e i servizi (cucina, refettorio, la dispensa, la libreria, la sala per le conferenze). All'interno della costruzione si apriva un ampio chiostro. L'eremo divenne presto anche una fiorente azienda agricola con terreni seminativi, orti, vigne, frutteti, stalle e ricoveri per il bestiame. Furono inoltre attivati due impianti industriali, una cava di pietra e una fornace di laterizi che rimase attiva fino al 1951.

MONTEVIRGINIO
I coloni agricoli del versante settentrionale del monte Sassano diedero origine a un borgo cui dettero lo stesso nome del monte. Tale borgo fu espropriato nel 1615 dal duca Virginio Orsini per poter costruire l'eremo, e in cambio conferì agli agricoltori una buona estensione di pascoli e boschi ai piedi del monte che per tali motivi venne chiamato Virginio.
Gli agricoltori, viste abbattute le proprie case per fare posto alla fabbrica religiosa, iniziarono l'edificazione di un nuovo abitato più a nord, che venne chiamato Montevirginio. Dopo l'acquisto del feudo, gli Altieri favorirono lo sviluppo della sistemazione urbanistica di Montevirginio imperniata su un'ampia e comoda piazza, collegata con il palazzo dei principi e con Oriolo da una bella strada bordata da più file di olmi.

IL NEPOTISMO
Gian Lorenzo BerniniI papi del '600 si distinsero per la protezione accordata agli artisti che dettero vita alle sfarzose architetture, sculture e pitture del barocco romano. Il cardinale Emilio Bonaventura Altieri, diventato papa nel 1670 col nome di Clemente X, favorì i propri familiari, peraltro adottivi, nell'acquisizione di nuove terre e mise a disposizione di questi i maggiori artisti della capitale.
Solo un anno dopo l'elezione a papa del loro congiunto, gli Altieri, diventati la più potente famiglia romana, acquistarono i feudi di Monterano, Oriolo e Viano, e perseguirono l'ampliamento e il miglioramento urbanistico dei centri appena acquistati. Monterano in particolare fu abbellito con notevoli costruzioni, della cui progettazione venne incaricato il massimo artista del barocco romano, Gian Lorenzo Bernini. L'architetto stilò i progetti della chiesa di San Bonaventura e del relativo convento, della fontana ottagonale e riordinò in maniera mirabile la facciata del palazzo feudale.

IL CONVENTO
Chiesa di S. BonaventuraLa chiesa e il convento di San Bonaventura, progettati dal Bernini, furono realizzati fra il 1677 e il 1679 sotto la direzione di Mattia de Rossi. La chiesa, a pianta centrale, presentava quattro cappelle laterali e nella parete absidale si aprivano due porte di collegamento con le sacrestie e il convento. La facciata era semplice con quattro pilastri dorici a sostegno dell'architrave e del frontone triangolare; ai lati si innalzavano due campanili. La copertura sormontata da una lanterna era internamente a cupola ed esternamente a tetto ottagonale.
Il convento, unito alla chiesa, aveva pianta rettangolare con il braccio occidentale incompleto mentre nella parte centrale si apriva il cortile circondato da un grande portico.
Chiesa di S. BonaventuraLe vicende del convento furono piuttosto curiose. Il fabbricato, pur pregevole e comodo, cambiava continuamente inquilini ed era comunque abitato malvolentieri. Venne inizialmente realizzato per i frati delle Scuole Pie, che però non raggiunsero mai Monterano, forse per un disaccordo con gli Altieri o per l'ubicazione disagevole. Vennero allora ospitati gli Agostiniani Scalzi che però furono allontanati una ventina d'anni più tardi poiché non celebravano le messe di suffragio in numero pattuito. Li sostituirono i sacerdoti secolari che però furono dimessi nel 1719 perché troppo costosi, e il convento venne affifato agli eremiti del Senario. Infine i nuovi inquilini si lamentarono dell'aria insalubre del luogo e acquistarono una residenza estiva nel vicino paese di Canale, ma rimasero fedeli al convento per cira 80 anni, fino alla distruzione dell'intero abitato.

IL PALAZZO E LE FONTANE
Castello di MonteranoIl palazzo feudale dominava la cittadella fortificata. Costruito nel periodo dell'alto medioevo, fu più volte rimaneggiato e trasformato nel corso dei secoli successivi.
Alla fine del '600 la facciata fu mirabilmente ordinata su progetto del Bernini. Le due torri, circolare quella di destra e quadrata quella di sinistra, furono collegate da una loggia a sei arcate sistemate a finto rudere, a imitazione degli archi del vicino acquedotto. Sotto la loggia fu costruita una fontana veramente geniale, appoggiata alla base rocciosa che sosteneva le mura portanti del palazzo. Alla sommità della scogliera venne collocato un leone di pietra, raffigurato nell'atto di scuotere la roccia con una zampa per far sgorgare un'abbondante cascata d'acqua che precipitava tra gli scogli e si raccoglieva in una vasca bordata da grandi massi. L'effetto scenico doveva essere di notevole suggestione.
Altre opere degne di nota all'interno della cittadella fortificata erano la cattedrale altomedioevale di S. Maria, la chiesetta probabilmente dedicata a San Rocco sulla piazza principale, e il belvedere sul lato nord del palazzo che dominava la valle del Mignone.
Nel lato orientale si ammira il doppio ordine di archi dell'acquedotto che attraversava la piccola valle antistante le mura cittadine e anche una mostra d'acqua a cinque cannelle, posta alla base dell'arcata nel luogo dove ora sorge il fontanile rurale.

LA MALARIA
La fioritura artistica e il benessere di Monterano, dovuti all'intraprendenza e ai lavori fatti eseguire alla fine del '600 dai nuovi proprietari, gli Altieri, ebbero vita breve. Deceduto il papa Altieri, svanita l'autorità dell'ambizioso primo ministro della stessa casata e terminate le opere berniniane, i monteranesi si ritrovarono nuovamente di fronte a gravi difficoltà legate al disordine amministrativo, al malgoverno e alla crisi economica cronica dello Stato Pontificio. Oltre alla decadenza della principale attività produttiva, l'agricoltura, agli inizi del '770 apparve nuovamente una grave flagello, la malaria, una malattia che probabilmente si presentava a ogni periodo critico dell'antico centro.
Le sottostanti valli di Mignone e Bicione, non curate adeguatamente, si riempivano in estate di stagni che favorivano il diffondersi delle febbri. I più colpiti dalla malaria erano i contadini, la stragrande maggioranza della popolazione, che si dovevano recare ogni giorno al lavoro nelle campagne malsane.
Probabilmente alla malaria e alla lenta decadenza della città si accompagnò un progressivo spopolamento a vantaggio dei vicini paesi di Canale e dMontevirginio, fino al completo abbandono, seguito all'improvvisa e violenta distruzione dell'intero abitato.

LA DISTRUZIONE E L'ABBANDONO
La fine del '700 vide il diffondersi anche in Italia delle idee di libertà e di uguaglianza che avevano spinto i francesi alla rivoluzione. Nel 1798 decadde il potere temporale del Papa e sorse nel Lazio in Umbria e nelle Marche la Repubblica Romana, protetta dalla Francia. L'anno seguente la Repubblica cadde sotto i colpi dell'esercito borbonico e lo Stato Pontificio fu restaurato.
Nello stesso anno 1799 avvenne, inaspettata e improvvisa, la distruzione di Monterano a opera delle truppe francesi, con un atto di violenza gratuita. I motivi banali ebbero tuttavia come conseguenza la distruzione di un centro abitato le cui origini risalivano alla preistoria.
Il castello di Monterano e l'acquedottoEcco i fatti. Il vicino paese di Tolfa, reduce da una cruenta insurrezione antifrancese, era alle prese con un fatto ordinario di minore importanza, l'insufficienza del mulino a soddisfare le necessità cittadine. Tornata la calma dopo la ribellione e la conseguente repressione ad opera dei francesi, gli agricoltori tolfetani che non potevano macinare il grano, si recarono alla mola di Monterano. I monteranesi, memori delle stragi, impedirono ai tolfetani di macinare per evitare ogni possibile guaio. Il comandante francese di Tolfa, avvisato del rifiuto, rimandò indietro gli agricoltori tolfetani accompagnati da una nutrita scorta militare: alla vista dei soldati gli abitanti di Monterano, presi dalla paura, raccolsero quanto poterono e lasciarono il paese. Le truppe francesi, per una esagerata rappresaglia oppure per dare una dimostrazione di forza saccheggiarono e incendiarono l'intero abitato e l'adiacente convento.
Partite le truppe francesi e gli agricoltori tolfetani, con il loro grano finalmente trasformato in farina, i monteranesi tornarono per constatare i danni del saccheggio e dell'incendio.
La scena che si presentò ai loro occhi fu impressionante e senz'altro peggiore di quanto potevano immaginare: l'abitato già fatiscente era distrutto, il palazzo e gli altri edifici erano diventati inabitabili e ogni possibilità di reatauro venne ritenuta impraticabile o comunque troppo costosa. Gli sfortunati abitanti, allora, scartarono l'idea di restaurare le case e decisero di trasferirsi nei vicini paesi di Canale e Montevirginio dove, tra le altre cose, l'aria era salubre tutti i mesi dell'anno e le strade di collegamento con gli altri paesi più comode. Solo i due frati del convento di San Bonaventura furono restii ad abbandonare il luogo e chiesero più volte l'intervento dei proprietari, gli Altieri. Ma i principi, che avevano subito troppe perdite con l'avvento della repubblica Romana, risposero negativamente a ogni richiesta. Nel marzo del 1800 i due frati furono costretti a lasciare il convento. Da allora il pianoro monteranese è rimasto praticamente disabitato.

tratto da "Monterano - Appunti sul territorio e la storia" di Francesco Stefani


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