Basilica di S.
Sabina (422)
Questa
basilica paleocristiana dell' Aventino è forse fin troppo conosciuta, prevalentemente
come chiesa "da matrimoni", col rischio di vanificare la conoscenza delle sue
pur ricche vicende passate, così come dei notevolissimi valori d'arte superstiti.
Dalla seconda metà
dell'Ottocento numerosi saggi di scavo hanno messo in luce le fasi più antiche della
storia del sito, dove, oltre a tratti delle mura Serviane che recingevano il colle al suo
margine verso il Tevere, furono costruite una serie di abitazioni patrizie, che si
sovrapposero tra il II secolo a.C. e il IV d.C., quando per ultima sorse una domus
di grande ricchezza, una sala della quale è immediatamente sottostante alla Chiesa e
analoga a essa per dimensioni.
La chiesa fu eretta intorno al
425, sotto il pontificato di Celestino I (422-432), ad opera soprattutto di Pietro
d'Illiria, completata poi sotto Sisto III (432-440).
Fu fondata su di un antico
"Titulus Sabinae" sorto probabilmente nella casa di una matrona Sabina che finì
poi per identificarsi con la omonima santa umbra.
Nel 824 fu aggiunta la
"Schola Cantorum", per cura del papa Eugenio II.
Durante il Medioevo ebbe numerosi
restauri e abbellimenti, per venire poi inglobata nelle fortificazioni costruite dal
partito imperiale sull'Aventino, passate poi ai Savelli, tracce delle quali sono ancora
visibili nel complesso edilizio; fu in S.Sabina che Papa Onorio III accolse nel 1222 la
Regola presentatagli da S.Domenico, e da allora la Chiesa è officiata dai Domenicani.
Consistenti modifiche si ebbero
quando, nel 1586, Domenico Fontana avviò il restauro della chiesa su incarico di Sisto V,
comportando la demolizione e dispersione di quasi tutti gli arredi e decorazioni
medievali; ulteriori modifiche si ebbero nel Seicento e nel Settecento, fino a che, tra il
1914 e il 1936, Antonio Munoz effettuò il restauro, in due tempi, della chiesa, talvolta
peraltro in modi discutibili.
Attualmente la chiesa prospetta
su un fianco lungo la piazza Pietro d'Illiria, aperta nel 1614 nelle fortificazioni dei
Savelli, e ad essa si appoggia un portico Quattrocentesco, con capitelli di recupero del V
secolo; sulla sinistra un portico costruito nel 1936, come il vicino convento, che dà
accesso all'atrio della chiesa, sistemato probabilmente ai primi del Duecento, in cui sono
conservati molti frammenti antichi e medievali provenienti dalla chiesa e dagli scavi.
Sulla sinistra un oblò consente
di vedere, nel chiostro duecentesco, l'albero di arancio che secondo la tradizione fu qui
piantato da S.Domenico.
La porta centrale è un monumento
di preziosità estrema poiché conserva ancora (oltre agli stipiti marmorei coevi), i
battenti lignei del V secolo, probabilmente di cipresso o cedro, con una splendida cornice
traforata a motivi vegetali e animali che inquadra ventotto specchiature, delle quali se
ne sono conservate diciotto, con storie dell'Antico e del nuovo Testamento in parallelo;
si noti specialmente, sulla destra, l'ascesa di Elia al cielo sul carro di fuoco.
Nel pannello di sinistra è presente una delle primissime rappresentazioni realistiche
della crocifissione di Cristo.
Per l'antichità, il materiale ligneo e lo stato di conservazione, questi battenti
costituiscono un vero e proprio unicum.
L'interno della basilica si
presenta di grande solennità, a tre navate suddivise da ventiquattro colonne corinzie in
puro marmo pario sorreggenti archi, eseguite appositamente, e per certi versi rammenta le
basiliche ravennati. Sopra gli archi corre un fregio di marmi policromi del V secolo.
S.Sabina è la prima Basilica
romana ad aver adottato, come sostegno delle pareti della navata centrale, gli archi al
posto degli architravi orizzontali.
Nell'intradosso delle arcate, e
negli spazi tra queste, è conservato un raffinatissimo fregio di marmi policromi lavorati
a opus sectile, i cui valori si presentano come oltremodo pittorici, raffigurante
insegne militaci sormontate da croci.
Nella controfacciata è
conservato l'unico altro resto della ricchissima decorazione (in mosaici, marmi, pitture e
stucchi) che un tempo ricopriva l'intero edificio, costituito da una solenne iscrizione
metrica in ricordo di Pietro d'Illiria, del Papa Celestino I, e Concilio di Efeso che in
quegli anni aveva sancito la maternità divina di Maria; le due figure ai lati
rappresentano l'Ecclesia ex gentibus, nata dalla conversione dei pagani, e l'Ecclesia
ex circumcisione, nata dalla conversione dei giudei.
Nella navata centrale, rara
pietra tombale a mosaico di Munoz de Zamora, generale dei Domenicani (1300); più avanti,
la schola cantorum, ricostruita nel 1936 utilizzando frammenti dal V al IX secolo,
di cui alcuni veramente splendidi; anche la cattedra episcopale è di recupero, mentre
nell'abside c'è un affresco di Taddeo Zuccari raffigurante il Cristo tra gli apostoli,
malamente sconciato dai restauri otto-novecenteschi, che riprende la composizione del
precedente mosaico.
Nella navata destra compaiono, a
livello inferiore, resti, tra cui una colonna del preesistente edificio romano; vi si apre
la cappella di S.Giacinto, affrescata da Federico Zuccari, con all'altare una pala di
Lavinia Fontana raffigurante la Vergine e S.Giacinto (1600).
Nella navata sinistra si apre la
cappella d'Elci, dedicata a S. Caterina da Siena, costruita nel 1671 da G.B. Contini, che
si mostra sfolgorante di marmi preziosi, con all'altare la Madonna del Rosario, capolavoro
del Sassoferrato (1643).
Alla fine della navata lo spazio
è ostruito dalla base del campanile, costruito all'inizio del XIII secolo e mozzato nel
Seicento.
(da le "Chiese medievali
di Roma" di Federico Gizzi ) |