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IN MEMORIA DEL PIROSCAFO "CONTE ROSSO"

Dal "Notiziario della Marina - Anno XXXI N.7 - Luglio 1984 - A cura di Tullio Marcon

Nell'arco di soli otto mesi - tra il maggio 1941 ed il gennaio 1942 - scomparvero per causa di guerra sulle rotte libiche, alcuni dei più bei nomi della Marina mercantile italiana, nomi di bastimenti già destinati al servizio passeggeri intercontinentale e poi requisiti per il trasporto veloce di truppe: p/fo Conte Rosso (tonn. 17.856), p/fo Esperia (tonn. 11.398), m/n Neptunia (tonn. 19.475), m/n Oceania {tonn. 19.507); m/n Victoria- (tonn. 13.098).
Vittime dei siluri, che avevano buon gioco sulle loro strutture create per resistere al mare ma non al tritolo, questi bastimenti finirono sul fondo, senza tuttavia segnare la fine di chiunque vi fosse a bordo - ed erano migliaia - ché anzi, quando l'affondamento poté avvenire lentamente, l'abnegazione delle unità di scorta fu sempre tale da limitare le perdite umane a meno del 10%, oltre ogni speranza.
Una sola eccezione vi fu, quella del Conte Rosso, cui spettarono tre infausti primati: aprire la serie per i transatlantici, colare a picco in neppure un quarto d'ora, comportare perdite umane prossime al 50%.
Queste tristi concomitanze possono spiegare, almeno in buona parte, il motivo per cui l'evento continui ad essere oggetto, seppur a distanza di decenni, di toccanti commemorazioni.
All'alba del 24 maggio 1941, salpava da Napoli diretto a Tripoli, un convoglio veloce composto da Conte Rosso, Marco Polo, Victoria ed Esperia, con a bordo alcune migliaia di uomini complessivamente; lo scortavano quattro siluranti e, da Messina in poi, anche la 3° Div. incrociatori.
Sul Conte Rosso, che alzava l'insegna del capoconvoglio C.A. (r) Canzoneri, v'erano 2.482 uomini, oltre ai 247 dell'equipaggio comandato dal triestino Fabris (come convenivasi ad una nave appartenente, appunto, al Lloyd Triestino).Tra i trasportatori, apparivano rappresentate tutte le Armi dell’Esercito con fanti, artiglieri, cavalleggeri, genieri, carristi; molti erano anche gli specialisti dell’Aeronautica (tra i quali Felice Rebecchi, marito di Teresa Temofonte e padre di Maria Luisa (poi Musilli), di Maria Pia (poi Grossi) e di Feliciana), e molti infine gli uomini della Milizia. 

Tanto campionario umano annoverava gente in dimestichezza con il mare, e gente che invece lo vedeva per la prima volta; richiamati delle classi anziane e giovanissimi volontari, spesso universitari; né addirittura mancava qualche clandestino, come l'allievo ufficiale Bartolotta del 4° Rgt. Carristi, che s'era nascosto in una scialuppa pur di seguire in Africa il proprio reparto, malgrado l'ordine di restare a terra.
Zigzagando a 18 nodi in un mare tranquillo, il convoglio seguiva la rotta a levante della Sicilia, più rapida dell'altra a ponente, ma più pericolosa per la vicinanza di Malta. Al tramonto del 24 maggio, esso si trovava all'altezza di Augusta, circa 10 miglia al largo, su due file, con la scorta diretta su entrambi i lati, e gli incrociatori sempre di poppa, ad un paio di miglia. Sul cielo volteggiava qualche idrovolante in missione antisom.
Narra il geniere Rosin: " Avevamo da poco cenato ed il mare era un po’ mosso, tanto che numerosi soldati ne soffrivano. Incominciavano a scendere le prime ombre della notte, e ci era rimasta ancora impressa negli occhi la visione dell'ultimo lembo della costa italiana da cui stavamo velocemente allontanandoci. Prendemmo ciascuno una coperta, andammo sul ponte superiore e ci sistemammo al riparo delle grosse zattere che erano allineate ai due lati della nave assieme alle numerose scialuppe ".
Alle 20,40 le navi cessarono di zigzagare per poter fare il punto prima del buio, mentre i Cant-Z rientravano ad Augusta, avendo per unici sensori gli occhi dei piloti, che al buio non servivano più. Il convoglio era adesso dieci miglia a levante di Capo Murro di Porco, circa in lat. 36°38' e long. 15°40'.
Qualche miglio più al largo, il Comandante Wanklin del sommergibile britannico Upholder, vedeva apparirgli nette nel periscopio, le sagome delle navi stagliantesi sullo sfondo del luminoso tramonto. Il battello nemico, appartenente alla Flottiglia di Malta, era in mare già da venti giorni e finora era riuscito ad affondare solo un piccolo piroscafo; gli erano rimasti due siluri. Wanklin decise di spenderli entrambi in quel momento, e fu fortunato. Gli ordigni sfiorarono il Freccia, caposcorta, che sparò il Very verde per dare l'allarme e mise barra a sinistra per dare caccia. Ma sul Conte Rosso, che gli navigava sulla dritta a poca distanza, il segnale non fu avvertito o, se lo fu, mancò il tempo per reagire con la manovra; fecero più presto i siluri, squarciando lo scafo sulla sinistra, a proravia.
" Sulle prime - ricorda l'allora 3° ufficiale di guardia, Predonzan - sembrò che le esercitazioni di salvataggio fatte all'inizio del viaggio dovessero dare i loro frutti. I militari, secondo le disposizioni, si erano rapidamente concentrati a poppa, dove corsi anch'io. Ma dopo cinque minuti la nave cominciò ad appruarsi. Risuonò sinistro il "si salvi chi può". E fu il caos. Urlai allora ai militari infagottati nel salvagente di buttarsi in acqua. Ne spinsi parecchi oltre la murata ma altri, che non sapevano nuotare, non trovando la forza di muoversi si accovacciarono, vinti, ad attendere la morte... Tutto l'equipaggio si prodigò per ridurre le dimensioni del disastro: molti marinai pagarono con la loro vita la salvezza di oltre 1.300 soldati ".
Non erano passati 10 minuti dal siluramento, che il Conte Rosso aveva già la poppa rivolta al cielo con le eliche che giravano ancora lentamente, sempre più alte sull'acqua. Il mare intorno, brulicava di zattere e di teste, tutta gente in lotta disperata per la vita, tesa ad allontanarsi dal bastimento per evitare il tanto temuto gorgo. Dalle fiancate, ormai quasi verticali, grappoli di uomini scivolavano giù, appesi a penzoli in posizione in naturale.
Poi vi fu come un tuono, un immane ultimo respiro della nave, fatto di sibili e di schianti; lo scafo andò a picco veloce e diritto, quasi senza gorgo, mentre enormi bolle d'aria e di nafta salivano a galla, portando con se alla salvezza, uomini già condannati.
Il Freccia, prima di dare caccia al sommergibile, aveva subito ordinato a Pegaso e Procione di andare al salvataggio, e lo stesso ordine era stato impartito dalla Divisione a Corazziere e Lanciere; solo l'Orsa era rimasto con le altre tre navi che, sulle prime si erano sbandate, ma poi dovevano riprendere la rotta per Tripoli, ove sarebbero giunte indenni l'indomani.
Le quattro siluranti, quindi, presero a rastrellare il mare a lento moto, aiutandosi a tratti con i proiettori; frattanto, da Augusta salpavano in fretta una decina di pescherecci del dragaggio, diretti anch'essi verso la zona del disastro.
Nessuno saprà mai quanta, tra la gente che era in acqua aggrappata ai rottami od alle zattere o sostenuta dal salvagente, perì prima di poter essere salvata; certo, l'ingestione di nafta o il colpo dei sugheri alla carotide dovettero mietere subito molte vittime. Ma per il resto, si può affermare che qui, almeno, mancarono altri elementi nefasti caratteristici di analoghe tragedie; infatti, il mare, seppur un po’ mosso, non era inclemente; l'acqua, seppur ancora fredda, non era gelida; la terra seppur non vicinissima, era tuttavia a poche miglia, con indubbi effetti sul morale. E, soprattutto, le quattro siluranti si erano subito prodigate " con slancio e zelo superiori ad ogni elogio " - come poi ebbe a scrivere il Col. Costa, comandante del 4° Rgt. carristi -nell'opera di salvataggio.
Tutto ciò, per centinaia di uomini, costituì quindi la differenza tra la morte e la vita; con esattezza, per 1.432 di essi, tanti quanti furono i superstiti che, sin dalle prime ore del 25, cominciarono a sbarcare ad Augusta.
Qui, il Comando della base navale era già in allarme, e pronto a riceverli, anche se il loro numero elevatissimo poneva subito dei problemi di varia natura: logistica, ospedaliera, assistenziale. La città viveva invece ore ancora incerte; s’era saputo della tragedia, ma ne sfuggivano le proporzioni.
Quando una prima colonna di camion carichi di naufraghi passò in via Principe Umberto diretta al Comando di Terravecchia, e la gente dai marciapiedi e dalle case poté vedere decine di giovani denudati sui cassoni, coperti dai soli teloni, con dipinta sul volto l'immagine della durissima prova sopportata, allora capì. E si commosse.
Da un balcone, una mano gettò su un camion un pane, perché portasse un primo conforto ai naufraghi; fu l'inizio di una gara, che, trovò il limite solo nelle ristrettezze d'un paese che non era ricco, non era grande, e per di più già' risentiva delle restrizioni di guerra.
" Ricordo ancora la generosa popolazione di Augusta, che con le lacrime agli occhi ci fece una commovente accoglienza " ha scritto ieri Eleuteri, un superstite. Ed un altro, Rustia, la cui lettera sta in cornice nello studio del Sindaco, in precedenza aveva scritto: " A noi naufraghi, fu riservata una accoglienza affettuosa e piena di attenzioni, che mai potremo dimenticare. Augusta praticamente ci adottò ".
Per altro, questa " pietas " non si arresto ai vivi, ma s’estese anche ai morti. 239 erano le salme recuperate tra i 1.297 scomparsi, tutte deposte sulla banchina sommergibili, che stentava a contenerle; tra esse, quella del comandante militare del Conte Rosso, C.V. De Bellegarde. Ai funerali partecipò la gente, frammista ai superstiti che seguivano i feretri infagottati nelle tenute di fatica dei marò, in attesa che dai depositi giungessero le nuove divise.
(Quelle salme, metà delle quali proseguirono per Siracusa per motivi di spazio, ricevettero un omaggio assiduo negli anni successivi, fin quando, verso il 1960, non ne venne disposta la definitiva traslazione ai paesi d’origine, od al Sacrario messinese di Cristo Re).
Dopo un paio di settimane, i superstiti del Conte Rosso cominciarono a lasciare Augusta; li attendevano una breve licenza, e poi il ritorno al reparto e la successiva destinazione al fronte. La guerra non poteva infatti avere riguardi per chi, seppur ancora scosso nell'intimo, era tutta via rimasto integro nel fisico.
Conclusi gli addii, sembrava quindi che anche quest'episodio, seppur imponente per le sue dimensioni, dovesse ben presto fondersi e confondersi con i tanti altri, di cui la storia di quei giorni davvero non difettava; e perciò, sfumare nel ricordo con il trascorrere del tempo.
Ma per il Conte Rosso, sarebbe stato diverso.
Tra i reparti decimati dall'affondamento, v'era la 12° Compagnia Speciale Genio, mutilata di 74 uomini. Pochi mesi bastarono, però, perché essa si ricostituisse con alcuni volontari scampati, al comando del Cap. Garlatti. Nell’ottobre ’41, essi raggiunsero infine il fronte libico ed entrarono in azione lungo il golfo della Sirte.
Qui accadde un episodio, che il pudore dei più intimi sentimenti vieterebbe di narrare per tema di derisione, se l'occasione di parlare ai marinai - che in queste cose credono - non inducesse invece a fare.
" Un giorno - scrive Garlatti - si stava operando in riva al mare. Mi accorsi che sulla battigia fluttuava qualcosa, e mi avvicinai per prenderla. Con profonda emozione, vedemmo che era un salvagente a ciambella, con ancora ben visibile la scritta Conte Rosso. L’imperscrutabile - non mi sento di chiamarlo il caso - aveva quindi voluto che dopo cinque mesi di deriva nel Mediterraneo, quel salvagente finisse proprio lì, nelle nostre mani. Lo interpretammo come un saluto ed un augurio di Coloro cui la crudeltà della guerra non aveva consentito di raggiungere quella sponda. Raccolto con devozione, esso fu il gagliardetto che ci accompagnò in terra d'Africa, finche non cademmo prigionieri. Poi, ne serbammo altrettanto religiosamente la fotografia ".
Quando questi uomini rimpatriarono, fu per essi istintivo ricercarsi e ritrovarsi nel nome del Conte Rosso. Ma anche altri superstiti, senza aver ricevuto " segni " altrettanto suggestivi, l'andavano facendo, malgrado la guerra li avesse coinvolti in nuovi e non meno incisivi episodi, dal Don a Monte Lungo.
Furono tutti avvantaggiati da un fatto, quello di risiedere in gran parte nel lombardo-veneto, e di potersi quindi incontrare facilmente. Sicché alle Messe di suffragio, che già dal 1942 si celebravano ogni 24 maggio nei paesi ove più alte erano state le vittime della nave, si affiancarono i raduni annuali di vari gruppi di superstiti: in particolare, gli ex fanti del 12° Btg movimento stradale a Palmanova, e gli ex componenti l'equipaggio a Trieste.
Così si giungeva ai nostri giorni, notando però che era mancato, finora, un atto conclusivo che facesse incontrare gli uomini del Conte Rosso e la città che li aveva allora ospitati. C'è un tempo per ogni cosa, regolato dal caso o motivato dalla circostanza, quel tempo infine s'è materializzato, 43 anni dopo.
Ad Augusta, alcune iniziative parallele stavano confluendo infatti nella determinazione di fissare in una lastra di marmo, murata nell'atrio del Comune, il ricordo doloroso di quell'affondamento, e del sodalizio che n'era derivato. E poiché il 24 maggio, qui coincide, da secoli, con la festa del Patrono, impreziosita quest'anno dalla presenza della Banda centrale della Marina, ciò appariva una fortunata coincidenza per dare maggior lustro alla cerimonia. Nel frattempo, si prendevano contatti con alcuni superstiti, sperando che qualcuno di essi potesse venire fin qui e dare maggior significato alla rievocazione. Ma, sulle prime, la lunga distanza tra il Veneto e la Sicilia - specie in assenza dei vent'anni - annidava poche speranze.
Poi, però, scattò una molla, tale da far rompere ogni indugio a chi era ancora titubante: s'era saputo che Maristat avrebbe autorizzato il lancio d'una corona in mare, in occasione della cerimonia. C'è stato, allora, chi ha telefonato ad Augusta, quasi per scusarsi di non poter essere presente, o chi ha mandato un telegramma anche da paesini arroccati sulle Dolomiti: Bulfons, a firma di Beltrame, per esempio. E chi ha sentito invece il bisogno di dire di più, la signora Giuseppina Mantovani in Zani, il cui padre s'era perso con la nave: " Il pensiero mio, di mia madre e delle mie sorelle, seguirà con struggimento il percorso della corvetta che sul luogo del siluramento getterà in mare la corona. Di ciò, siamo tutte profondamente grate ".
La Marina si rallegri per queste parole.
Sei - tre di essi accompagnati dalle consorti - sono stati i superstiti del Conte Rosso tornati ad Augusta 43 anni dopo. Pochi, se si vuole, eppure ben rappresentativi dei tanti che la nave trasportava. Vittorio Polacco ed Amedeo Olivotti erano infatti dell'Esercito, Roberto Rho ed Angelo Ponti dell'Aeronautica, Stanislao Rustia e Renato Costanzo del Lloyd Triestino cui - come già detto - apparteneva il piroscafo. Sufficienti, comunque, per dare un significato profondo e vivo alla cerimonia che, Banda della Marina in testa, s'è snodata dal Monumento ai Caduti del Mare fino al Municipio, concludendosi con lo scoprimento della lapide ed alcune allocuzioni, tra cui il commosso ringraziamento dell'Avv. Polacco, a nome di tutti gli uomini del Conte Rosso, i presenti e gli assenti.
Ma, come sempre accade in questi casi, era in mare che il calice della emozione - se così può dirsi - sarebbe stato colmo fino all'orlo.
I superstiti si sono imbarcati sul Grosso, che ha messo la prora verso la zona del siluramento. E poiché, tra le manovre marinaresche della Scuola Comando v'è anche l’appoggio, l'Aquila e l'Alcione son venute sotto, a fare ala. E poiché, ancora, v'era in zona il Margottini attendendo una nuova serie di elicotteri, s'è accodato anch'esso alla formazione.
Sicché, la corona è andata in mare in una cornice inimitabile.
L'Avv. Polacco, che aveva la sua vecchia bustina di Colonnello del Regio Esercito perché l'occasione era tale da pretenderlo, ha cominciato a parlare con le lacrime agli occhi, per ringraziare la Marina di ciò che aveva fatto 43 anni prima e stava facendo adesso. Poi, un nodo gli ha stretto la gola, come del resto era per tutti gli altri.
Sicché, per lunghi attimi s'è navigato nel silenzio, rotto solo dallo sciabordare delle ondate tra le fiancate, dal ronfare delle macchine, dai trilli del nostromo, dal profondo respiro del largo.
Cosa, di più degno e di più bello, si sarebbe potuto fare in memoria del Conte Rosso?

PROMEMORIA CIRCA SILURAMENTO "CONTE ROSSO"

Le rotte a levante di Malta hanno il forte vantaggio di non passare in fondali facilmente minabili e permettono ai convogli di poter effettuare in ogni momento ampi dirottamenti non essendo le rotte legate da campi minati. Su tale percorso non si incontrano inoltre mine alla deriva che specie nella navigazione notturna possono riuscire pericolosissime.
Nella rotta interna verso la Tunisia la Divisione Abruzzi scortando un convoglio ne avvistò ben 13 nelle sole ore diurne.

Presentano d'altra parte gli inconvenienti:
- di permanere per più tempo a distanze intorno alle 80-100 miglia da Malta, cosa però che per i convogli veloci si verifica nelle ore notturne.
- di non avere nel tratto centrale la protezione degli aerei da caccia per mancanza di una base aerea opportunamente dislocata, inconveniente però che data la limitata autonomia dei nostri aerei da caccia si verifica anche nella parte centrale della rotta ad ovest di Malta.

Nei mesi di marzo - aprile e maggio, nei quali gli attacchi inglesi sulle rotte di ponente, che si svolgono per buona parte su fondali minabili, si sono moltiplicati causandoci numerose perdite per siluramenti - mine ed attacchi di navi di superficie, si sono avviati convogli aventi velocità superiore ai 14 nodi sulle rotte di levante per aumentare la zona di transito del nostro traffico ed obbligare cosi il nemico a diluire nello spazio i suoi mezzi di attacco.
Il convoglio CONTE ROSSO - MARCO POLO - VICTORIA - ESPERIA dal 12 al 17 marzo ha effettuato un viaggio completo Napoli - Tripoli e ritorno su rotte levante.
Il convoglio CONTE ROSSO - MARCO POLO - VICTORIA - ESPERIA dal 1° al 9 aprile ha effettuato un viaggio completo Napoli - Tripoli e ritorno su rotte levante.
Il siluramento del CONTE ROSSO deve considerarsi un fatto indipendente dalla scelta della rotta a levante di Malta, nel senso che, mentre assai di sovente ed in buon numero si avvistano sommergibili lungo la rotta da Pantelleria a Tripoli, molto di rado era constatata la presenza di sommergibili in agguato nelle vicinanze di Augusta - Siracusa. Molto probabilmente si trattava di un sommergibile che, ultimato l'agguato a Capo Spartivento, rientrava a Malta e per caso sfortunato si è trovato all'imbrunire sulla rotta del convoglio. La scorta aerea aveva lasciato il convoglio CONTE ROSSO poco prima dell'attacco del
sommergibile. II bombardamento aereo del convoglio FOSCARINI - VENIERO GRETTI - RIALTO - BARBARIGO - ANKARA del 27 maggio è il primo che avviene sulle rotte di levante ed è dovuto all'aumentato controllo aereo della zona del canale di Sicilia e delle coste libiche da parte inglese. La caccia non era sul convoglio FOSCARINI durante l'attacco degli aerei inglesi sotto la costa dell’A.S. per difficoltà di decollo dovute al ghibli.
Gli aerei da ricognizione inglesi sono sempre in volo ed anche il 28 maggio il convoglio FOLGORE diretto da Tripoli a Napoli su rotte di ponente è stato rintracciato e segnalato a Malta da aerei da ricognizione alle ore 12.00 ed alle 16.30.
La caccia non era nel cielo del convoglio FOLGORE al mattino del 28 quando questo è stato avvistato, per difficoltà di decollo da Pantelleria e nel pomeriggio perchè gli apparecchi non hanno trovato il convoglio e per cattivo tempo.
Il CONTE ROSSO all'atto del siluramento era alla sua 17° traversata, 8 viaggi completi tra Napoli e Tripoli. Era stato inoltre utilizzato per viaggi per la Sardegna per trasporto truppe.

Felice Rebecchi perse la vita sul "Conte Rosso"