" La Scienza ha radici nell' immanente ma porta verso il Trascendente "

[ Ioannes Paulus PP. II, Karol Wojtyla, 16.X.1978 - 2.IV.2005 ]

Le origini tra Scienza e Fede     (Giovanni Pellegri)
 

In un Universo indifferente quale spazio per il Dio creatore?

Da un'analisi superficiale potrebbe sembrare che, in questo universo fatto d'atomi, molecole e leggi fisiche, non vi sia tanto spazio per quel Dio creatore descritto nel primo capitolo del Genesi. La Bibbia si sbaglia, affermano in molti, e basandosi su un'interpretazione ingenua o puramente scientifica del racconto del Genesi concludono che purtroppo la bella favola descritta nel testo sacro non è più credibile nemmeno dai bambini. L'universo e tutto ciò che contiene sono solamente il frutto di fortuite combinazioni uscite da un gioco folle nel quale le leggi fisiche, che governano la danza delle molecole hanno trovato ciecamente la giusta combinazione dopo infiniti tentativi, oppure dietro questa danza cieca vi è lo sguardo e la volontà del Gran Regista dell'universo? Richard Dawkíns, noto divulgatore scientifico e zoologo inglese, interpreta i dati scientifici affermando che non ha nessun senso porsi la domanda del senso della nostra vita o della nostra sofferenza perché "la vera funzione d'utilità della vita è la sopravvivenza del DNA". Secondo il pensiero sviluppato da Dawkins e presentato in alcuni libri con buon successo di pubblico, l'uomo sorgerebbe quindi, come un frutto accidentale di un'evoluzione molecolare iniziata miliardi d'anni fa e nella disperazione della sua natura è inutile che ponga al cosmo la fondamentale domanda sul senso della propria vita. Noi non saremmo altro che uno scherzo della natura, una farsa senza nessuna finalità, né buona né cattiva, solamente indifferente. Nel nostro universo dice Dawkins alcune persone soffrono, altre sono fortunate e in tutto ciò non si troverà mai alcun senso, alcuna ragione, alcuna giustizia. Secondo lo zoologo inglese, la natura dell'universo dimostra l'assenza di un progetto più grande, di una volontà divina e quindi anche l'uomo, determinato dai suoi caratteri genetici, non può fare altro che danzare alla musica del DNA.

 

"In principio Dio creò il Cielo e la Terra"

Davanti a queste posizioni estreme c'è chi ha reagito negando addirittura i dati scientifici, l'evoluzione, la datazione delle rocce del nostro pianeta pur di riaffermare che il nostro universo è stato creato da Dio come lo insegna il Genesi. Il creazionismo come interpretazione dell'origine dell'uomo e dell'universo ha ancora parecchi sostenitori soprattutto negli Stati Uniti dove appaiono regolarmente pubblicazione o pagine su Internet che cercano di dimostrare che, partendo da una lettura pseudo scientifica della Bibbia, il racconto del Libro sacro descrive realmente ciò che accadde sulla terra all'inizio dei tempi. Le posizioni estreme, come quelle dei creazionisti o degli scienziati alla Dawkins, sono in antitesi, ma in fondo, esprimono entrambe un punto in comune: la pretesa che una sola disciplina possa fornire tutti i dati necessari per comprendere realtà complesse come quella dell'origine, esprimendo così una buona dose d'ingenuità nell'impostazione del problema. Risulta oggi chiaro che il primo capitolo del Genesi non spiega com'è nato e com'è organizzato il cosmo, ma semmai quale senso ha il mondo, la storia e la nostra vita. Ma se Dio non creò il mondo come descritto nel Genesi, come interpretare il suo intervento creativo?

 

L'uomo non è solo un insieme di molecole

È riduttivo pensare che si possa parlare in modo esaustivo di creazione dell'universo senza tenere conto dei dati forniti dalla scienza, come ugualmente è riduttivo leggere la storia dell'universo fino alla comparsa dell'uomo in termini puramente scientifici. Chi ancora oggi utilizza le analisi scientifiche per dimostrare l'inconsistenza dei dati espressi nei testi sacri, lo fa ritenendo ingenuamente che, la comprensione dell'uomo nella sua totalità, possa avvenire unicamente con gli strumenti scientifici. Proprio in situazioni analoghe nascono attriti tra scienza e teologia, cioè quando una delle due discipline sconfina nel campo dell'altra pensando che il metodo utilizzato per l'analisi nel suo settore sia applicabile anche all'altro. La storia ha insegnato quanto dannose siano state le invasioni della teologia in ambito scientifico (basti pensare ai casi Copernico, Galileo, Darwin). Altrettanto dannosi sono oggi i tentativi della scienza di spiegare il senso della vita dell'uomo ignorando i dati forniti dalla teologia e della filosofia. L'esperienza che facciamo noi ogni giorno, di sofferenza o di gioia, non necessita nessuna spiegazione scientifica. Il desiderio di felicità, espresso come un sentimento nostalgico di qualcosa di più grande, è un fatto innegabile che tutti abbiamo dentro. Wittgestein affermava che "anche se tutte le domande della scienza ricevessero una risposta i problemi della nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati". Mi sembra essere una posizione corretta per impostare una sana ricerca scientifica che possa esprimere tutta la ricchezza dei fondamentali traguardi ottenuti dalla scienza, ma anche la coscienza di un limite oltre il quale sarebbe ridicolo andare.

 

Le nuove tendenze: Dio ridotto a tecnico dell'Universo

Oltre lo sconfinamento di una disciplina nel campo di ricerca dell'altra vi sono atteggiamenti che, cercando di far conciliare i risultati scientifici con quelli della Rivelazione, snaturano, di fatto, i dati della scienza come quelli della teologia. Il primo atteggiamento abbastanza diffuso sia nel mondo scientifico sia in quello dei credenti è quello di far coincidere ad un dato di natura strettamente scientifico, delle risposte di tipo teologico. Per esempio c'è chi davanti alla teoria del Big Bang ha cercato di sostenere che è proprio la scienza a dimostrare l'esistenza di Dio: l'universo ha avuto un inizio storico preciso traducibile con l'intervento creativo di Dio. In quest'ottica la scienza è utilizzata per dimostrare fatti che, se intesi in questo modo, non sono assolutamente determinanti per la fede. Dare a delle domande che sono di competenza esclusivamente scientifica (il Big Bang) delle risposte di tipo teologico, riduce la natura del Dio creatore a tecnico, presente all'inizio dei tempi, per accendere la miccia del Big Bang. I sostenitori di queste tesi si troveranno sicuramente in uno scomodo impaccio qualora la scienza dimostrasse che l'universo sia sempre esistito o qualora la scienza fornisca nuove risposte al problema dell'origine dell'universo. È " il Dio delle lacune" come lo chiama John Polkinghorne, fisico, matematico e pastore della Chiesa anglicana. Viene estratto dal cassetto ogni qualvolta la scienza non sa dare una risposta chiara (cosa c'era prima del Big Bang? Com'è apparsa la vita sulla terra?), per poi essere buttato nel cestino quando la scienza trova la risposta al suo problema. È un dio che gli uomini di scienza dovrebbero lasciare tranquillo perché anche la teologia ne fa volentieri a meno.

 

Il Dio delle costanti universali

Non lontana da questa concezione ne troviamo un'altra: nel nostro mondo così impregnato di scienza, vi è una tentazione nella quale è facile cadere. Quella di ricercare tramite la scienza delle prove dell'esistenza di Dio, quasi come se questo fosse un fatto misurabile dall'esperienza. Lo fanno i non credenti per dimostrare che l'universo è retto unicamente da spietate leggi fisiche che casualmente hanno permesso l'esistenza dell'essere umano, ma lo fanno anche certi credenti quando affermano che le stesse leggi fisiche sono perfette non per un caso fortuito ma perché sono state create e volute da Dio. Si accolla a Dio quindi il ruolo non di creatore ma d'organizzatore dell'universo. È lui ad aver determinato i valori delle costanti fondamentali che reggono l'universo, per farci vivere in un mondo ad evoluzione totalmente prestabilita. Ma ci si può chiedere, come John Polkinghorne "se il Dio dell'amore accetterebbe di creare un teatrino di marionette cosmico totalmente deterministico!" Tra una supernova e un neutrino si salva così un'idea di un dio, ridotto a calibratore delle equazioni matematiche dell'universo.

 

La fede non necessita di nessuna dimostrazione matematica

Dio non ha creato fisicamente il mondo in sei giorni. È limitante vederlo come colui che ha acceso la miccia dei Big Bang, ma è anche riduttivo pensarlo come un intelligente matematico che ha saputo calcolare i valori delle costanti fisiche dell'universo. Scienza e fede inconciliabili? No, la scienza e la teologia hanno dei punti d'incontro perché entrambe analizzano la realtà facendo uso della ragione: è ragionevole guardare all'uomo per cogliere i rapporti stretti che possiede con il mondo fisico, così com'è ugualmente ragionevole guardare allo stesso uomo e inserirlo in un discorso d'appartenenza, non a delle leggi fisiche, ma a qualcosa di più grande. In questo senso il problema di rapporto tra scienza e teologia è un falso problema. Uno scienziato può credere in Dio? Non meno di un poliziotto, un pasticciere o un avvocato. Dio non è imprigionato dentro le equazioni della teoria della relatività d'Einstein, ma è il fondamento dell'universo. Non è Lui ad aver creato il mio corpo, ma è invece Lui l'origine della mia persona. La scienza nel suo studio dell'universo registra fatti e dà un'interpretazione del reale. Davanti a questi risultati la teologia non può far altro che prenderli seriamente in considerazione, cosciente che anche questi dati contribuiscono a meglio comprendere non solo la struttura dell'universo, ma anche la realtà fisica attraverso la quale la rivelazione si è manifestata. Per l'uomo di fede Dio esiste indipendentemente dal modello cosmologico applicato, perché la sua esistenza non necessita di nessuna dimostrazione matematica. La presenza dei Dio creatore resterà compatibile con qualsiasi teoria cosmologica perché citando sempre John Polkinghorne "Dio è creatore oggi come nel momento dei Big Bang".   [Dal sito web: www.caritas-ticino.ch/ri