Il Direttore


 Definire un’artista quale Peppe Mandica è un’impresa ardua oltre che ardimentosa.

Nato e cresciuto sulle alture che si affacciano sullo stretto di Messina, precisamente a Campo Calabro, il Mandica ha sicuramente ereditato dal padre, modesto venditore ambulante di olio e vino, il gusto dei valori tradizionali, dei comportamenti, degli usi, delle superstizioni, dei modi di essere che animano e popolano il fantastico mondo popolare.

Pasquale Ardichella da "I mafiosi della Vicaria di Palermo"

La sua innata capacità di trarre da quella quotidianità “vissuta” i caratteri più salienti e più originali e, di saperli rivivere con viscerale autenticità, portano il Mandica a calcare sin da giovanissimo i primi palcoscenici.

Ben presto la bravura nel rendersi autentico partecipe di fatti e di storie da lui interpretati, creando così un’atmosfera più palpitante, più accattivante, più “vera”, contribuisce a richiamare più pubblico, a rendere più elettrizzanti le recite nelle piazze o nei teatri e a creare fans.

Una folla esigente e plaudente, infatti, accompagna il Mandica, incapace di sfuggire al fascino artistico dell’autore.

Rappresenta numerosi testi teatrali con registi di successo, tra i quali “I Mafiosi della Vicaria di Palermo”, di A.Camilleri,”gente in Aspromonte” liberamente tratto dal romanzo di C.Alvaro.

Successivamente è chiamato ad interpretare alcuni films come “Ragazzo di Calabria” e “Buon Natale, Buon Anno” per la regia di L.Comencini.

Ma il bisogno di interpretare con genuina autenticità l’animo del popolo e l’innata esigenza di comunicare, spingono il Mandica a ricercare nuovi e diversi moduli espressivi, a tal punto da far diventare “spiazzante” e quasi indefinibile la sua vena artistica .

A dispetto della sua cultura, costruita giorno dopo giorno, rafforzata, però, dalla sete di sapere, l’attore si cimenta nella scrittura di drammi e commedie dialettali che mette in scena con grande successo curandone la regia interpretando il personaggio più originale.

Mette in scena “Per L’onore”, “Calabria Mia”, “Sequestro di minore”, “A Soggira ca nora e u malocchi”, “I favori du mortu”.

Tutte le sue opere risentono di un accurato studio del folk e della storia della sua Calabria.

La ricerca storico-folkoristica, infatti si traduce nella rappresentazione di “La strage di Pentadattilo”, “U ballu du sceccu”, e di altri episodi e avvenimenti tratti dal patrimonio culturale della regione.Ma essere attore, regista, scrittore, studioso, a Peppe Mandica non è bastato.

Occorreva svegliare quel gigante che viveva in lui e che sosteneva la sua carriera artistica.

Ben presto infatti, fa emergere l’innata figura, che abitava in lui del poeta-improvvisatore-cantastorie, erede ultimo del giullare-menestrello medioevale.

Il fascino dell’immediatezza con il pubblico e la libertà espressiva, mito di altri tempi, non è paragonabile a nessun altro spettacolo.

Inizia così, a parlare a rime, in ottave, in terzine e quartine abbandonando sempre più il copione e raccontando in pochi minuti, a getto, col solo supporto musicale, storie senza frontiere, che lo porteranno all’estero davanti ad un pubblico internazionale.

Il gusto della scrittura ricompare ironico nei suoi versi, accompagnati dalla quotidianità della vita e aggiungendo alla vecchia odissea, altre storie “moderne” ma “antiche” nei contenuti.

Peppe Mandica fa rivivere questa nuova, quanto arcaica figura spettacolare, consapevole che il poeta-improvvisatore-cantastorie non è solo quella voce-chitarra-cartellone, ma è chi sa comunicare con il resto del mondo, a getto, “a braccio”, in un rapporto immediato, usando come palco la piazza o la strada.

E mentre ci si muove in un millennio sempre più stereotipato, le sue rime sembrano cadere a caso, e i suoi versi sgorgano spontanei ed autentici, immediati e senza rifacimenti, dotati solo di genuina liricità e quotidianità “vissuta”.