INDIPERCUI
Parliamo un po' di €uro, o forse no, forse comincio proprio male perchè magari
dovrei dire €uri. Gia, infatti la vecchia-nuova questione entra ora nel vivo
della sua attuazione, ora che , passata la fase della totale attenzione nei
confronti del suo mero valore numerico "ci guadagnerò?, avrò fatto i conti
giusti?, quant'è in lire?", cominciamo lentamente ad ambientarci e la consideriamo
un reperto abituale ed assolutamente dovuto del nostro portafogli (più spesso
del portamonete!).
All'inizio era il mutismo e la gestualità. Ci si recava dal
negoziante, con le LirEuro, e si
acquistavano con titubanza i generi di sussistenza, non prima però di aver eseguito
le seguenti operazioni: primo, estratto il berlusconiano convertivaluta; secondo,
sollevata la samaritana borsetta colma di sonante nuova moneta; terzo, guardato
in cagnesco il negoziante mentre ci snocciolava il resto, con tutti i sensi proiettati ad
evitare la sottrazione di un luccicante ed andriese centesimo.
Ora
le cose sono cambiate, stiamo lentamente familiarizzando con i centesimi
ed anche con gli euro/i, anche se da un punto di vista linguistico e semeiotico,
come avrete già capito, il problema rimane. Parlare di problema non è affatto
esagerato, in quanto se da una parte gli organi ufficiali si schierano per il
"logico" euri (nella Gazzetta Ufficiale del 27/09/01 ci sono14 pagine di decreti legati all'euro, fonte
il Ministero dell'Economia, e compare la forma tipo10.000
euri; 20.000 euri ecc...), dall'altra la consuetudine ha reso assolutamente
non sradicabile il termine euro da usare indifferentemente per la moneta
vitruviana e per le pontili banconote.
Forse, penserete voi, i linguisti
ci potrebbero "metter bocca" aiutandoci a far la dovuta chiarezza. Ahimè,
ci sono delusioni e spaccature anche tra di loro. C'è chi
sostiene, che il termine euri debba necessariamente essere usato, al pari di tutte
le altre valute passate e presenti (lire, dollari, sterline, rubli, franchi,
dracme ecc...) e chi afferma che la parola "euro" venga usata come un
prefissoide, ovvero si comporti come "la moto", che al plurale
resta "le moto", o anche come un forestierismo: "il mango" al plurale rimane
"i mango", come " il bingo" non si trasforma in "i binghi".
Tertium non datur.
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E.F.C.