Il
gruppo
Quattro
anni di traversie vissute come un vero e proprio
incubo. Questa, in estrema sintesi, la storia degli
After Shave, formazione bresciana che, solo
ultimamente, ha trovato la sua dimensione. Come
hanno detto a quiBrescia, Luca Antonini, Andrea
Botti e Stefano Tegon, zoccolo duro del gruppo, le
difficoltà affronatate hanno condizionato il
loro modo di fare musica, anche a causa della
cronica mancanza di un bassista, vera croce degli
After Shave. La band, infatti, formata nel 97 da
Luca (vocalist) e Andrea (chitarra), ha trascorso
un lungo periodo di precarietà non
riuscendo, nonostante gli sforzi, a trovare un
musicista che ricoprisse questo ruolo fondamentale.
Nel 98, è arrivato Robert Shivonshinski,
velocemente rimpiazzato però da Dario
Rizzini, anch'egli una breve parentesi, conclusasi
forse per mancanza di feeling. Così,
il trio storico si è trovato a combattere
con lo stesso fantasma di sempre, la mancanza di un
basso, ma, come si dice in questi casi, non tutto
il male viene per nuocere. Proprio questi mesi di
transizione, infatti, hanno cambiato il volto del
gruppo, che fino a allora si era dedicato
esclusivamente alla produzione di cover. Gli After
Shave sono maturati, diventando autori delle
proprie canzoni. Luca, Andrea e Stefano hanno
così promosso il massimo sforzo per
prepararsi degnamente al grande salto e, nei primi
mesi del 2000, anche il tanto sospirato bassista ha
fatto la sua entrata in scena: Marco Lebellini,
questo il suo nome, ha completato il gruppo sempre
penalizzato dall'instabilità, facendogli
acquisire una fisionomia rock ben definita. E
l'estate seguente ha portato i suoi frutti. In
pochi mesi, gli After Shave hanno realizzato un
demo composto da cinque pezzi, scritti interamente
in lingua inglese, per i quali si sono avvalsi
della collaborazione di musicisti d'esperienza (i
fratelli Poddighe). Oggi, ad un anno di distanza, i
quattro bresciani si sentono pronti per un'altra
prova importante: il primo album.
La loro
musica
Cos'è
il rock romantico? Chiedetelo agli After Shave. Tra
i tantissimi aggettivi che, negli ultimi anni, sono
stati affiancati al genere, probabilmente questo,
evocativo di dolcezza e sentimentalismo, è
il meno usato. Ma, per la musica della band, almeno
fino a oggi, è qualcosa di imprescindibile.
La chiave di volta di quasi tutta la produzione,
infatti, si trova racchiusa in una semplice parola:
donna. Già, proprio il tormentone degli
uomini di tutte le età, da sempre calamita
di passioni e spesso portatrice di pene e tormenti.
E il quartetto ci si arrovella, misurandosi con le
proprie difficoltà (che sono poi quelle di
tutti) e forse cercando di prendere le distanze da
un vortice che, se valutato con distacco, stempera
le sue tensioni. Alcune canzoni del demo fanno
parte di un microcosmo personale che assume,
attraverso la musica, un valore universale: le
emozioni analizzate sono quelle della vita
quotidiana in cui ognuno si può riconoscere.
Ma non immaginatevi musiche strappalacrime
perché, accanto a tanta sensibilità,
il rock non manca. Anzi, la band lascia intuire
potenzialità hard, fatte di passaggi
veementi sostenuti da chitarra
e batteria ("Ok","Are you woman"e "Woman in love"),
anche se in linea di massima sviluppa
sonorità che richiamano i Seventeen,
caratterizzate da quei frammenti psichedelici tanto
cari a Jim Morrison e ai suoi "The doors". I due
brani finali, "When I see your eyes" e "You make me
happy", chiudono la raccolta avvalendosi della
gentilezza del pianoforte (Carlo Poddighe), che,
accostato agli strumenti elettrici e all'armonica,
regala passaggi davvero inusuali di fusione tra
classicismo e modernità. Vedremo se, con
l'uscita del prossimo album, affineranno questa
tendenza.
Per
contattarli: Andrea Botti 030 2004566
|