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quiLirica&dintorni
a
cura di Raffaello Malesci
Don Carlo,
ovvero il passo più lungo della gamba
Deludente
la proposta del capolavoro verdiano al Teatro
Grande
Il Teatro
Grande di Brescia ha riaperto la stagione lirica
con un'edizione del Don Carlo di Giuseppe Verdi in
un allestimento importato dal Teatro di Pisa. Pur
apprezzando il coraggio di proporre un'opera
complessa come Don Carlo, dobbiamo dire subito che
a nostro avviso il risultato purtroppo non è
stato soddisfacente.
La
regia e le scene erano affidate a Pier Paolo
Pacini, che ha scelto una scenografia stilizzata a
fondale fisso con alcune gabbie che dovevano
rappresentare il carcere e l'oppressione. Ma alla
stilizzazione scenografica, probabilmente motivata
anche da problemi di budget, non corrispondeva
affatto una stilizzazione dei costumi, né
tanto meno della regia.
I costumi, a cura di Massimo Poli, tentavano di
richiamare quelli dell'epoca, ma erano ammantati da
una tristezza puritana che con il Cinquecento
spagnolo ha poco a che fare.
La regia, invece di tentare strade originali in una
scena praticamente sempre vuota, ricalcava i solchi
della tradizione con risultati davvero poco
incisivi, soprattutto nella disposizione del coro.
I movimenti dei cantanti sono stati ridotti al
minimo, così da generare inevitabilmente un
certo senso di torpore. A ciò si aggiungono
alcune scelte discutibili come l'epilessia di Carlo
con il tenore appoggiato su una panca a mo' di
commensale romano, oppure il Grande Inquisitore che
doma con la sua imponenza il popolo in rivolta
piazzato su un cigolante sediolo a rotelle. Anche
l'utilizzo della croce nel finale ci è parso
un mero orpello, poiché in tutta la
rappresentazione non si è riusciti a
ricreare l'oppressione inquisitoria richiesta
dall'opera. Avrebbe avuto più senso un
allestimento antitradizionale e una lettura nuova
del Don Carlo, piuttosto che cercare una linea
tradizionale senza averne realmente le
possibilità.
Sul piano dell'esecuzione, abbiamo assistito a una
serata con esiti alterni (eravamo alla seconda
rappresentazione, quella di venerdì 26
ottobre). E' vero che i cantanti erano tutti
giovani e, in linea di massima, preparati. Quello
che rende arduo l'allestimento di Don Carlo,
è però il fatto che l'opera inizia a
staccarsi dalla concezione ottocentesca del
melodramma a pezzi chiusi costruito con personaggi
che sono "tipi" stilizzati e ripetitivi,
richiedendo invece degli interpreti che sappiano
rendere in scena il personaggio a tutto tondo.
Purtroppo, in questo senso tutti i cantanti non
sono andati al di là delle buone
intenzioni.
Il migliore della serata a cui abbiamo assistito
è stato il Filippo II del basso Andreas
Macco che, seppur con qualche incertezza nel
settore acuto, in cui la voce si schiarisce
eccessivamente, è riuscito a rendere
dignitosamente il tormentato monarca, interpretando
correttamente la sua grande aria "Ella giammai
m'amò". Discrete anche l'Elisabetta di
Simona Bertini, dai buoni mezzi vocali ma
dall'interpretazione ancora confusa, e la Eboli di
Federica Proietti, forse la più dotata dal
punto di vista scenico, supportata anche da una
voce schietta e naturale.
Gianfranco Montresor interpretava Rodrigo con buoni
accenti e una voce dal timbro fascinoso completata
da eccellenti smorzature. I limiti si sono
evidenziati però ogni volta che tentava di
forzare il suo strumento per creare l'accento
drammatico. Montresor è un baritono che
potrebbe convincere senza appello in un repertorio
belcantistico probabilmente più adatto alla
sua vocalità. Tonitruante il Grande
Inquisitore di Nikolay Bikov. Scandaloso invece a
nostro avviso il tenore Antonino Interisano,
interprete di Don Carlo nella seconda serata, con
acuti sempre al limite della nota, opachi e
falsettanti, completa mancanza di
musicalità, di fraseggio e una presenza
scenica inesistente.
L'orchestra Città Lirica era affidata al
maestro Antonello Allemandi che ha diretto
correttamente e con piglio, contribuendo in buona
parte a risollevare le sorti della serata.
Allemandi non ha mai perso di vista l'insieme
dell'opera e, ove rallentava eccessivamente, lo
faceva per seguire i cantati. Senza infamia e senza
lode il Coro Città Lirica e Società
Corale Pisana.
Alla fine il pubblico abbastanza numeroso ha
congedato tutti gli interpreti con una sola
frettolosa chiamata a proscenio.
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Grande
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