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La mostra. "Bruno Munari nelle collezioni bresciane", curata da Giovanna Capretti, presenta una quarantina di opere provenienti dalle collezioni d'arte nella nostra città. E' oltretutto un omaggio, a due anni dalla scomparsa, a Bruno Munari, un protagonista dell'arte italiana del Novecento che ha il merito di aver saputo anticipare importanti ricerche nel campo del design e della comunicazione visiva. Dove, come, quando. Brescia, Galleria A.A.B. - Associazione artisti bresciani, vicolo delle Stelle 4, tel. 030 45222, aperta fino al 18 ottobre. Orari: tutti i giorni dalle 15,30 alle 19,30. Chiuso il lunedì. Ingresso libero.
La recensione. Pittura, scultura e design si fondono nell'opera di Bruno Munari; un aspetto della poliedricità e duttilità di questo autore che si rispecchia anche in questa mostra. Si tratta soprattutto un omaggio all'artista recentemente scomparso e alla sua presenza, che a partire dagli anni Sessanta fu assidua, in terra bresciana. Già dal secondo dopoguerra Bruno Munari fece parte, insieme ad Agam, Bill, Mari, di un gruppo di ricerca artistica che cercò di sviluppare la cosiddetta "arte applicata e moltiplicata" con la creazione di oggetti che si lasciano muovere attraverso un'attiva partecipazione dello spettatore. Nel 1948 Munari fu tra i fondatori del Mac, il Movimento per Arte Concreta, che rivendicava una pittura e una scultura astratte e completamente libere da ogni riferimento al vero e al dato naturalistico puntando, invece, sulla purezza della forma geometrica e del colore usati con un rigore scientifico. Una ricerca complessa e molto strutturata, quindi, quella di Munari, non facile da ricostruire in spazi ristretti. Giovanna Capretti, curatrice della mostra, ha cercato di selezionare le opere presenti come una sorta di "ricognizione sul campo" il più completa possibile e che in effetti riesce a toccare molte delle fasi della produzione munariana. Dalle tempere degli anni Cinquanta, si percorrono i decenni successivi attraverso gli oli su tela, le xerigrafie, le famose "scritture illeggibili" e le altrettanto note "macchine inutili". Passando per quel tocco di ironica leggerezza che colpisce sempre quando si tratta di Munari e che qui si traduce in sorriso scanzonato nell'opera "Forchette parlanti". E la grande lezione di questo artista consiste proprio nel concetto di arte "inutile" e priva di qualsiasi utilizzo concreto, se non la sua contemplazione nella ricerca del bello: la "funzione estetica", come la chiamava Munari.
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