MANIFESTO
DEL PARTITO COMUNISTA*

di Karl Marx e Friedrich Engels


Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo spettro: il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi. Dov'è il partito di opposizione che non sia stato bollato di comunismo dai suoi avversari al governo, dov'è il partito di opposizione che non abbia ritorto l'infamante accusa di comunismo sia contro gli esponenti più progressisti dell'opposizione che contro i suoi avversari reazionari?

Di qui due conseguenze.

Il comunismo viene ormai riconosciuto da tutte le potenze europee come una potenza.

È gran tempo che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo la loro prospettiva, i loro scopi, le loro tendenze, e oppongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito.

A questo scopo si sono radunati a Londra comunisti delle più diverse nazionalità e hanno redatto il seguente manifesto, che viene pubblicato in lingua inglese, francese, tedesca, italiana, fiamminga e danese.

I

BORGHESI E PROLETARI01

La storia di ogni società02 è stata finora la storia di lotte di classe.

Uomo libero e schiavo, patrizio e plebeo, barone e servo della gleba, membro di una corporazione e artigiano, in breve oppressore e oppresso si sono sempre reciprocamente contrapposti, hanno combattuto una battaglia ininterrotta, aperta o nascosta, una battaglia che si è ogni volta conclusa con una trasformazione rivoluzionaria dell'intera società o con il comune tramonto delle classi in conflitto.

Nelle precedenti epoche storiche noi troviamo dovunque una suddivisione completa della società in diversi ceti e una multiforme strutturazione delle posizioni sociali. Nell'antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo, feudatari, vassalli, membri delle corporazioni, artigiani, servi della gleba, e ancora, in ciascuna di queste classi, ulteriori specifiche classificazioni.

La moderna società borghese, sorta dal tramonto della società feudale, non ha superato le contrapposizioni di classe. Ha solo creato nuove classi al posto delle vecchie, ha prodotto nuove condizioni dello sfruttamento, nuove forme della lotta fra le classi.

La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si caratterizza però per la semplificazione delle contrapposizioni di classe. L'intera società si divide sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi che si fronteggiano direttamente: borghesia e proletariato.

Dai servi della gleba del Medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da questo popolo minuto si svilupparono i primi elementi della borghesia.

La scoperta dell'America, il periplo dell'Africa crearono un nuovo terreno per la borghesia rampante. Il mercato delle Indie orientali e quello cinese, la colonizzazione dell'America, il commercio con le colonie, la moltiplicazione dei mezzi di scambio e delle stesse merci diedero un impulso fino ad allora sconosciuto al commercio, alla navigazione, all'industria, e quindi favorirono un rapido sviluppo dell'elemento rivoluzionario nella decadente società feudale.

L'attività industriale fino ad allora vincolata a moduli feudali o corporativi non poteva più fronteggiare le crescenti aspettative prodotte dai nuovi mercati. Al suo posto comparve la manifattura. I maestri artigiani vennero soppiantati dal ceto medio industriale; la divisione del lavoro tra le varie corporazioni scomparve di fronte alla divisione del lavoro nella stessa singola officina.

Ma i mercati continuavano a crescere e con essi le aspettative. Anche la manifattura non bastava più. Il vapore e le macchine rivoluzionavano la produzione industriale. Al posto della manifattura si affermò la grande industria moderna, al posto del ceto medio industriale apparvero gli industriali milionari, i comandanti di intere armate industriali, i moderni borghesi.

La grande industria ha creato il mercato mondiale, il cui avvento era stato preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno smisurato impulso allo sviluppo del commercio, della navigazione, delle comunicazioni terrestri. Tale sviluppo ha a sua volta retroagito sulla crescita dell'industria. E nella stessa misura in cui crescevano industria, commercio, navigazione, ferrovie si sviluppava anche la borghesia. Ed essa accresceva i suoi capitali e metteva in ombra tutte le classi di origine medievale.

Noi vediamo dunque come la stessa borghesia moderna sia il prodotto di un lungo processo di sviluppo, di una serie di trasformazioni nel modo di produzione e di scambio.

Ciascuno di questi stadi di sviluppo della borghesia era accompagnato da un corrispondente progresso politico03. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, associazioni04 armate e autonome nell'età dei Comuni05, qui repubblica cittadina indipendente06, là terzo stato tributario della monarchia07, poi al tempo della manifattura contrappeso alla nobiltà nella monarchia cetuale o in quella assoluta e ancora pilastro fondamentale delle grandi monarchie, la borghesia si conquistò infine l'assoluto dominio politico dopo la nascita della grande industria e del mercato mondiale nel moderno Stato rappresentativo. Il potere statale moderno è solo un comitato che amministra gli affari comuni dell'intera classe borghese.

La borghesia ha giocato nella storia un ruolo altamente rivoluzionario.

La borghesia ha distrutto i rapporti feudali, patriarcali, idillici dovunque abbia preso il potere. Essa ha spietatamente stracciato i variopinti lacci feudali che legavano la persona al suo superiore naturale, e non ha salvato nessun altro legame fra le singole persone che non sia il nudo interesse, il crudo "puro rendiconto". Essa ha affogato nelle gelide acque del calcolo egoistico i sacri fremiti della pia infatuazione, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Essa ha dissolto la dignità personale nel valore di scambio, e al posto delle innumerevoli libertà patentate e ben meritate ha affermato l'unica libertà, quella di commerciare, una libertà senza scrupoli. In una parola, al posto dello sfruttamento celato dalle illusioni religiose e politiche ha instaurato lo sfruttamento aperto, senza vergogna, diretto, secco.

La borghesia ha spogliato delle loro sacre apparenze tutte le attività fino ad allora onorevoli e considerate con pia umiltà. Essa ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo di scienza in suoi salariati.

La borghesia ha strappato alle relazioni familiari il loro toccante velo sentimentale per ricondurle a una pura questione di denaro.

La borghesia ha rivelato come la brutale esibizione di forza, quella caratteristica del Medioevo che tanto piace alla reazione, abbia trovato il suo congruo complemento nella più inerte pigrizia. Solo la borghesia ha dimostrato che cosa l'attività umana può produrre. Essa ha realizzato meraviglie ben diverse dalle piramidi egizie, dagli acquedotti romani e dalle cattedrali gotiche, si è lanciata in ben altre avventure che non le migrazioni dei popoli e le crociate.

La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, dunque i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. La prima condizione di esistenza di tutte le precedenti classi industriali era invece la conservazione immutata del vecchio modo di produzione. L'ininterrotta trasformazione della produzione, il continuo sconvolgimento di tutte le istituzioni sociali, l'eterna incertezza e l'eterno movimento distinguono l'epoca della borghesia da tutte le epoche precedenti08. Vengono quindi travolti tutti i rapporti consolidati, arrugginiti, con il loro codazzo di rappresentazioni e opinioni da tempo in onore. E tutti i nuovi rapporti invecchiano prima di potersi strutturare. Tutto ciò che è istituito, tutto ciò che sta in piedi evapora, tutto ciò che è sacro viene sconsacrato, e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con sobrietà il loro posto nella vita, i loro rapporti reciproci.

La necessità di uno sbocco sempre più vasto per i suoi prodotti lancia la borghesia alla conquista dell'intera sfera terrestre. Bisogna annidarsi dappertutto, dovunque occorre consolidarsi e stabilire collegamenti.

La borghesia ha strutturato in modo cosmopolitico la produzione e il consumo di tutti i paesi grazie allo09 sfruttamento del mercato mondiale. Con grande dispiacere dei reazionari essa ha sottratto all'industria il suo fondamento nazionale. Antichissime industrie nazionali sono state distrutte e continuano a esserlo ogni giorno. Nuove industrie le soppiantano, industrie la cui nascita diventa una questione vitale per tutte le nazioni civili, industrie che non lavorano più le materie prime di casa ma quelle provenienti dalle regioni più lontane, e i cui prodotti non vengono utilizzati solo nel paese stesso ma, insieme, in tutte le parti del mondo. Al posto dei vecchi bisogni, soddisfatti dai prodotti nazionali, se ne affermano di nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti delle terre e dei climi più lontani. Al posto dell'antica autosufficienza e delimitazione locale e nazionale si sviluppano traffici in tutte le direzioni, si stringe una reciproca interdipendenza universale fra le nazioni. E ciò sia nella produzione materiale che in quella spirituale. Le conquiste spirituali delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la delimitazione nazionale diventano sempre meno possibili e dalle varie letterature nazionali e locali si costruisce una letteratura mondiale.

La borghesia trascina verso la civiltà persino le nazioni più barbariche, grazie al rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, grazie al continuo progresso delle comunicazioni. I prezzi ben calibrati delle sue merci sono l'artiglieria pesante con cui essa atterra qualsiasi muraglia cinese, con cui essa costringe alla capitolazione financo la più ostinata xenofobia dei barbari. La borghesia costringe tutte le nazioni a far proprio il modo di produzione borghese, se non vogliono affondare; la borghesia le costringe a introdurre esse stesse la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola, la borghesia si costruisce un mondo a sua immagine e somiglianza.

La borghesia ha sottomesso la campagna al dominio della città. Essa ha creato enormi città, ha notevolmente aumentato la popolazione urbana rispetto a quella delle campagne, strappando così all'idiotismo della vita di campagna una parte importante della popolazione. Come ha reso dipendente la campagna dalla città, così ha reso dipendenti i paesi barbarici o semibarbarici da quelli civilizzati, i popoli contadini da quelli borghesi, l'Oriente dall'Occidente.

La borghesia tende sempre più a superare la frammentazione dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione. Essa ha agglomerato la popolazione, centralizzato i mezzi di produzione e concentrato la proprietà in poche mani. La conseguenza necessaria era la centralizzazione politica. Province indipendenti, quasi solo alleate, con interessi, leggi, governi e dogane differenti, sono state riunite in un'unica nazione, un unico governo, un'unica legge, un unico interesse di classe nazionale, un'unica barriera doganale.

La borghesia ha prodotto, nel corso del suo nemmeno centenario dominio di classe, forze produttive più massicce e colossali di tutte le altre generazioni messe insieme. Controllo delle forze della natura, macchine, impiego della chimica nell'industria e nell'agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di interi continenti, navigabilità dei fiumi, popolazioni intere fatte nascere dal nulla: quale secolo passato sospettava che tali forze produttive giacessero nel grembo del lavoro sociale?

Noi però10 abbiamo visto che i mezzi di produzione e di scambio sul cui fondamento si è sviluppata la borghesia furono creati nella società feudale. A un certo stadio dello sviluppo di questi mezzi di produzione e di scambio, i rapporti entro cui la società feudale produceva e scambiava, l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti feudali di proprietà, non rappresentavano più lo sviluppo raggiunto dalle forze produttive. Più che stimolare la produzione, tali rapporti la ostacolavano. Tanto da trasformarsi in altrettante catene. Dovevano essere spezzati e furono spezzati.

Al loro posto subentrò la libera concorrenza con la costituzione sociale e politica che le è propria, con il dominio economico e politico della classe borghese.

Simile è lo sviluppo che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, insomma la moderna società borghese, che ha come per incantesimo prodotto mezzi di produzione e di scambio tanto potenti, è come l'apprendista stregone incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate. La storia dell'industria e del commercio è ormai da decenni solo la storia della sollevazione delle moderne forze produttive contro i moderni mezzi di produzione, contro i rapporti di proprietà che esprimono le condizioni di esistenza e di dominio della borghesia. Basta citare le crisi commerciali, che nel loro minaccioso ricorrere ciclico mettono sempre più in questione l'esistenza dell'intera società borghese. Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta una grande parte non solo dei prodotti ma persino delle forze produttive già costituite. Nelle crisi scoppia un'epidemia sociale che in tutte le altre epoche sarebbe stata considerata un controsenso: l'epidemia della sovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; una carestia, una guerra di annientamento11 totale sembrano sottrarle ogni mezzo di sussistenza; l'industria, il commercio appaiono distrutti, e perché? Perché la società ha incorporato troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive di cui essa dispone non servono più allo sviluppo della civiltà borghese e12 dei rapporti borghesi di proprietà; al contrario, esse sono diventate troppo potenti per quei rapporti, ne sono frenate, e non appena superano questo ostacolo gettano nel caos l'intera società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenere la ricchezza che essi stessi hanno prodotto. Come supera le crisi la borghesia? Da una parte con l'annientamento coatto di una massa di forze produttive; dall'altra conquistando nuovi mercati e sfruttando più a fondo quelli vecchi. In che modo, insomma? Provocando crisi più generalizzate e più violente e riducendo i mezzi necessari a prevenirle.

Le armi con cui la borghesia ha annientato il feudalesimo si rivoltano ora contro la borghesia stessa.

Ma la borghesia non ha solo forgiato le armi che la uccidono; ha anche prodotto gli uomini che imbracceranno queste armi: i lavoratori moderni, i proletari.

Nella stessa misura in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa anche il proletariato, la moderna classe dei lavoratori, i quali vivono solo fin quando trovano lavoro e trovano lavoro solo in quanto il loro lavoro accresce il capitale. Questi lavoratori, che devono vendersi un poco alla volta, sono una merce come qualsiasi altro articolo in commercio e sono perciò ugualmente esposti a tutte le alterne vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato.

Il lavoro dei proletari ha perso ogni tratto di autonomia e quindi ogni stimolo per il lavoratore a causa dell'espansione delle macchine e della divisione del lavoro. Il lavoratore diventa un mero accessorio della macchina. Da lui si pretende solamente il più facile, il più monotono, il più elementare movimento. Il suo costo è limitato quasi esclusivamente ai mezzi di sostentamento di cui egli necessita per sopravvivere e per garantire il futuro della sua razza. Il prezzo di una merce, dunque anche del lavoro13, è però pari ai suoi costi di produzione. Più il lavoro è ripugnante, più diminuisce per conseguenza il salario. Meglio: più si sviluppano le macchine e la divisione del lavoro, più cresce il volume14 del lavoro, sia per l'aumento dell'orario di lavoro, sia per l'aumento del lavoro richiesto in un dato periodo di tempo, per la cresciuta velocità delle macchine, ecc.

L'industria moderna ha trasformato il piccolo laboratorio del maestro patriarcale nella grande fabbrica del capitalista industriale. Le masse dei lavoratori compresse nella fabbrica vengono organizzate militarmente. Come soldati semplici dell'industria esse vengono sottoposte alla vigilanza di una gerarchia completa di sottufficiali e ufficiali. I lavoratori non sono solo schiavi della classe borghese, dello Stato borghese, ogni giorno e ogni ora essi sono asserviti dalla macchina, dal sorvegliante e soprattutto dallo stesso singolo fabbricante borghese. Tale dispotismo è tanto più gretto, odioso, amaro, quanto più apertamente erige il profitto a suo ultimo15 scopo.

Quanto meno il lavoro manuale richiede abilità e forza, cioè quanto più si sviluppa l'industria moderna, tanto più il lavoro degli uomini viene sostituito da quello delle donne e dei bambini16. Per la classe operaia le differenze di sesso e di età non hanno più alcuna rilevanza sociale. Non esistono ormai che strumenti di lavoro, distinti per il diverso costo relativo all'età e al sesso.

Se lo sfruttamento del lavoratore da parte del proprietario della fabbrica cessa nel momento in cui egli riceve il suo compenso in contanti, ecco che su di lui si gettano le altre parti della borghesia, il proprietario della casa, il bottegaio, lo strozzino, ecc.

I piccoli ceti medi, i piccoli industriali, commercianti e detentori di rendita, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi sprofondano nel proletariato in parte perché il loro esiguo capitale non basta per mandare avanti una grande industria e quindi soggiace alla concorrenza dei grandi capitalisti, in parte perché il loro talento è svalutato da nuovi modi di produzione. Sicché il proletariato è reclutato in tutte le classi della popolazione.

Il proletariato passa attraverso diverse fasi di sviluppo. La sua lotta contro la borghesia comincia dalla nascita.

All'inizio a lottare sono i singoli lavoratori, poi i lavoratori di una fabbrica, poi quelli di un ramo produttivo in un luogo specifico contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente. Essi contestano non solo i rapporti di produzione borghesi ma gli stessi strumenti di produzione; distruggono le merci concorrenti che provengono dall'estero, fanno a pezzi le macchine, incendiano le fabbriche, cercano di riconquistarsi17 la vecchia posizione di cui come lavoratori godevano nel Medioevo.

In questo stadio i lavoratori costituiscono una classe dispersa in tutto il paese e divisa dalla concorrenza. Una loro resistenza più massiccia ancora non deriva dalla capacità di unirsi in autonomia, ma dall'unità della borghesia, la quale per raggiungere i propri obiettivi politici deve - e ancora può - mettere in movimento l'intero proletariato. In questo stadio dunque i proletari non combattono i loro nemici, ma i nemici dei propri nemici, i residui della monarchia assoluta, i proprietari terrieri, i borghesi non industriali, i piccoli borghesi. L'intero movimento storico è in tal modo concentrato nelle mani della borghesia; ogni vittoria così ottenuta è una vittoria della borghesia.

Ma con lo sviluppo dell'industria il proletariato non solo cresce di numero; esso si coagula in grandi masse, diventa più forte e più consapevole della sua forza. Gli interessi, le condizioni di vita dei proletari diventano sempre più simili, poiché le macchine annientano le differenze nel lavoro e precipitano il salario quasi dappertutto verso una stessa modesta soglia. La crescente concorrenza tra borghesi e le crisi commerciali che ne derivano rendono il salario dei lavoratori sempre più labile; l'evoluzione delle macchine, in continuo sempre più rapido sviluppo, ne rende l'esistenza sempre più insicura; gli scontri tra il singolo lavoratore e il singolo borghese acquistano sempre più il carattere di scontro fra due classi. I lavoratori cominciano a formare coalizioni18 contro il borghese; si uniscono per difendere il salario. Fino a costituire associazioni permanenti, in modo da prepararsi per queste periodiche battaglie. In qualche caso la lotta si muta in rivolta.

Qualche volta i lavoratori riescono a vincere, ma solo provvisoriamente. Il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma il rafforzamento dell'unità dei lavoratori. Essa è facilitata dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione prodotti dalla grande industria, che mettono in contatto lavoratori delle più varie località. C'è bisogno di questo collegamento per dare la stessa impronta alle molte battaglie locali che esplodono un po' dappertutto, per centralizzarle in una lotta nazionale, in una lotta di classe. Ma ogni lotta di classe è una lotta politica. E i moderni proletari realizzano in pochi anni grazie alle ferrovie quell'unità che gli uomini medievali crearono nei secoli con le loro strade vicinali.

Questa organizzazione dei proletari in classe, e quindi in partito politico, viene ad ogni istante nuovamente distrutta dalla concorrenza fra gli stessi lavoratori. Ma essa rinasce sempre di nuovo, più forte, più solida, più potente. Essa impone il riconoscimento per legge di singoli interessi dei lavoratori, sfruttando le divisioni nella borghesia. È il caso della legge delle dieci ore in Inghilterra.

Gli scontri nel corpo della vecchia società favoriscono in vario modo la crescita del proletariato. La borghesia è sempre in lotta: dapprima contro l'aristocrazia; più tardi contro quelle sue stesse parti i cui interessi si rivelano di ostacolo allo sviluppo dell'industria; e perennemente contro la borghesia di tutti i paesi stranieri. In tutte queste lotte essa si sente costretta a fare appello al proletariato, a prendere in considerazione il suo aiuto e a immetterlo così nel circuito politico. La borghesia forgia così gli strumenti19dello sviluppo del proletariato, produce cioè le armi con cui sarà combattuta.

Inoltre, come abbiamo visto, lo sviluppo dell'industria getta parti fondamentali della classe dominante nella condizione proletaria, o quanto meno ne minaccia il livello di vita. Anche queste parti di borghesia declassata offrono al proletariato una quantità di fattori di sviluppo20.

In tempi in cui la lotta di classe si avvicina infine allo scontro decisivo, il processo di dissolvimento della classe dominante, dell'intera vecchia società, assume un carattere così veemente, così acuto, che una piccola parte della vecchia società se ne emancipa per unirsi alla classe rivoluzionaria, alla classe cui appartiene il futuro. Come una volta parte della nobiltà passò con la borghesia, così oggi parte della borghesia va con il proletariato, e segnatamente una parte degli ideologi borghesi, che si sono innalzati alla comprensione teorica dell'intero movimento storico.

Tra tutte le classi che oggi si contrappongono alla borghesia, solo il proletariato è una vera classe rivoluzionaria. Le altre classi vanno in rovina e tramontano con la grande industria; il proletariato ne è il prodotto più proprio.

I ceti medi, i piccoli industriali, il piccolo commerciante, l'artigiano, il contadino: tutti costoro combattono la borghesia per assicurarsi l'esistenza come ceti medi. Essi non sono quindi rivoluzionari, ma conservatori. Di più, essi sono reazionari, giacché tentano di riportare indietro la ruota della storia. Se sono rivoluzionari, lo sono in rapporto al loro prossimo passaggio al proletariato. In tal senso, essi non difendono i loro interessi attuali ma quelli futuri, e quindi abbandonano la posizione loro propria per incardinarsi in quella del proletariato.

Il sottoproletariato21, questa marcescenza passiva dei ceti infimi della vecchia società, viene in qualche caso trascinato da una rivoluzione proletaria, ma per tutta la sua esistenza sarà più incline a vendersi ai reazionari intriganti.

Le condizioni di vita della vecchia società sono già distrutte nelle condizioni di vita del proletariato. Il proletario è senza proprietà; il suo rapporto con la moglie e i figli non ha più niente in comune con la famiglia borghese; il lavoro industriale moderno, il moderno assoggettamento al capitale, identico in Inghilterra e in Francia, in America e in Germania, gli ha sottratto ogni carattere nazionale. Le leggi, la morale, la religione sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi, dietro i quali si nascondono altrettanti interessi borghesi.

Una volta conquistato il potere, tutte le classi precedenti cercarono di garantirsi le condizioni di vita appena ottenute sottomettendo l'intera società alle regole della loro conquista. I proletari possono impossessarsi delle forze produttive sociali solo eliminando il loro stesso modo di acquisizione della ricchezza e quindi l'intero modo di acquisizione della ricchezza finora vigente. I proletari non hanno nulla di proprio da difendere, devono distruggere ogni forma di sicurezza privata e di assicurazione privata esistente.

Tutti i movimenti sono stati finora movimenti di minoranze o nell'interesse di minoranze. Il movimento proletario è il movimento autonomo della stragrande maggioranza nell'interesse della stragrande maggioranza. Il proletariato, ceto infimo dell'attuale società, non si può sollevare, non può elevarsi, senza far saltare in aria l'intera costruzione dei ceti che formano la società ufficiale.

Non nel contenuto, ma nella forma, la lotta del proletariato contro la borghesia è dapprima nazionale. Per prima cosa il proletariato di ogni paese deve naturalmente far fuori la sua borghesia.

Descrivendo le fasi più generali dello sviluppo del proletariato, abbiamo osservato la più o meno nascosta guerra civile all'interno dell'attuale società fino al punto in cui scoppia un'aperta rivoluzione e il proletariato afferma il suo dominio grazie alla liquidazione violenta della borghesia.

Ogni società si è finora fondata, come abbiamo visto, sulla contrapposizione fra classi di oppressori e di oppressi. Ma per opprimere una classe, occorre assicurarle condizioni tali da permetterle almeno di sopravvivere in schiavitù. Il servo della gleba si è elevato a membro del Comune continuando a lavorare come servo della gleba, così come il piccolo borghese si è fatto borghese sotto il giogo dell'assolutismo feudale. Al contrario, il lavoratore moderno, invece di elevarsi con il progresso dell'industria, tende a impoverirsi rispetto alle condizioni di vita della sua classe. Il lavoratore diventa povero, e la povertà si sviluppa più rapidamente della popolazione e della ricchezza. Emerge così chiaramente che la borghesia non è in grado di restare ancora a lungo la classe dominante nella società e di dettarvi legge alle sue condizioni. La borghesia è incapace di governare perché non è in grado di garantire l'esistenza ai suoi schiavi all'interno del suo stesso schiavismo, perché è costretta a lasciarli sprofondare in una condizione che la costringe a nutrirli, anziché esserne nutrita. La società non può più vivere sotto la borghesia, insomma l'esistenza della borghesia non è più compatibile con quella della società.

La condizione essenziale per l'esistenza e per il dominio della borghesia è l'accumulazione della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e la moltiplicazione del capitale. La condizione necessaria a creare il capitale è il lavoro salariato. Il lavoro salariato riposa esclusivamente sulla concorrenza fra i lavoratori. Il progresso dell'industria, di cui la borghesia è portatrice involontaria e passiva, produce, invece dell'isolamento dei lavoratori prodotto dalla concorrenza, la loro unificazione rivoluzionaria sotto forma di associazione. Con lo sviluppo della grande industria viene dunque sottratta sotto i piedi della borghesia la base stessa su cui essa produce e si appropria dei prodotti. Essa produce soprattutto i suoi propri becchini. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono ugualmente inevitabili.


II

PROLETARI E COMUNISTI

Qual è il rapporto tra comunisti e proletari?

I comunisti non sono un partito a sé fra gli altri partiti dei lavoratori.

Essi non hanno interessi separati da quelli dell'intero proletariato.

Essi non propongono particolari22 princìpi su come modellare il movimento proletario.

I comunisti si distinguono dai restanti partiti proletari solo perché, d'un lato, nelle diverse lotte nazionali dei proletari essi pongono in evidenza e affermano gli interessi comuni di tutto il proletariato, indipendentemente dalla nazionalità; dall'altro, perché essi esprimono sempre l'interesse complessivo del movimento nelle diverse fasi in cui si sviluppa la lotta fra proletariato e borghesia.

I comunisti sono pertanto nella pratica la parte più decisa e più avanzata dei partiti operai di ogni paese, e dal punto di vista teorico essi sono anticipatamente consapevoli delle condizioni, del corso e dei risultati complessivi del movimento proletario.

Il primo compito dei comunisti è identico a quello di tutti gli altri partiti proletari: costituzione del proletariato in classe, annientamento del dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del proletariato.

Le formulazioni teoriche dei comunisti non riposano affatto su idee, su princìpi scoperti da questo o quel riformatore del mondo.

Essi sono solo l'espressione generale di rapporti effettivi di una lotta di classe che esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. L'eliminazione di rapporti di proprietà finora vigenti non è qualcosa di specificamente comunista.

Tutti i rapporti di proprietà sono stati soggetti nel corso della storia a un cambiamento continuo.

Ad esempio, la Rivoluzione francese abolì la proprietà feudale a vantaggio di quella borghese.

Ciò che distingue il comunismo non è l'eliminazione della proprietà in quanto tale, bensì l'abolizione della proprietà borghese.

Ma la moderna proprietà privata borghese è l'ultima e più compiuta espressione della creazione e dell'appropriazione dei prodotti fondata su contrapposizioni di classe, sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri23.

In tal senso i comunisti possono riassumere la loro teoria in questa singola espressione: abolizione della proprietà privata.

Si è rimproverato a noi comunisti di voler abolire la proprietà personale, ottenuta con il proprio lavoro; la proprietà che costituirebbe la base di ogni libertà, attività e indipendenza personale.

Proprietà guadagnata con il proprio lavoro! Parlate della proprietà piccolo-borghese, piccolo-contadina, che ha preceduto la proprietà borghese? Non abbiamo bisogno di abolirla, è lo sviluppo dell'industria che l'ha abolita e l'abolisce giorno per giorno.

Oppure parlate della moderna proprietà privata borghese?

Ma il lavoro salariato, il suo lavoro, dà al proletario una proprietà? Niente affatto. Esso crea il capitale, cioè la proprietà che sfrutta il lavoro salariato, che può accrescersi solo a condizione di produrre nuovo lavoro salariato, per sfruttarlo di nuovo. Nella sua forma attuale, la proprietà deriva dalla contrapposizione di capitale e lavoro salariato. Osserviamo i due lati di questa opposizione.

Essere capitalista significa assumere nella produzione una posizione non solo puramente personale, ma sociale. Il capitale è un prodotto collettivo e può essere messo in moto solo grazie a una comune attività di molti, anzi in ultima istanza di tutti i membri della società.

Il capitale non è quindi un potere solo personale, è un potere sociale.

Se allora il capitale viene trasformato in proprietà collettiva, che appartiene a tutti i membri della società, in tal modo non si muta una proprietà privata in una proprietà collettiva. Cambia solo il carattere sociale della proprietà. Essa perde il suo carattere di classe.

Veniamo al lavoro salariato.

Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del compenso lavorativo, cioè la somma dei mezzi di sussistenza necessari a mantenere in vita il lavoratore in quanto lavoratore. Ciò di cui dunque il lavoratore si appropria attraverso la sua attività, basta appena per ricreare le condizioni minime per sopravvivere. Noi non vogliamo affatto abolire questa appropriazione personale dei prodotti del lavoro necessari a ricostituire le condizioni minime di sopravvivenza, un'appropriazione da cui non deriva alcun ricavo che potrebbe conferire potere sul lavoro altrui. Noi vogliamo solo eliminare il carattere miserevole di tale appropriazione, in cui il lavoratore vive solo per accrescere il capitale, e continua a vivere solo in quanto lo esige l'interesse della classe dominante.

Nella società borghese il lavoro vivo è solo un mezzo per accrescere il lavoro accumulato. Nella società comunista il lavoro accumulato è solo un mezzo per ampliare, arricchire e migliorare la vita dei lavoratori.

Nella società borghese è dunque il passato che domina sul presente, in quella comunista è il presente che domina sul passato. Nella società borghese il capitale è indipendente e personale, mentre l'individuo attivo è dipendente e impersonale.

E l'abolizione di questo rapporto la borghesia la chiama abolizione della personalità e della libertà! E a ragione. Si tratta però dell'abolizione della personalità, indipendenza e libertà borghesi.

Con "libertà" si intende nell'ambito degli attuali rapporti borghesi di produzione il libero commercio, la libertà di acquistare e di vendere.

Ma se scompare il traffico, allora scompare anche il libero traffico. Gli stereotipi a proposito del libero traffico, come tutte le ulteriori bravate liberali del nostro borghese, hanno un senso solo nei confronti del traffico vincolato, nei confronti del cittadino medievale asservito, ma non nei confronti dell'abolizione comunista del traffico, dei rapporti borghesi di produzione e della stessa borghesia.

Voi inorridite perché noi vogliamo eliminare la proprietà privata. Ma nella vostra società esistente la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri; anzi, essa esiste proprio in quanto non esiste per quei nove decimi. Voi ci accusate dunque di voler abolire una proprietà che verte necessariamente sulla mancanza di proprietà della stragrande maggioranza della popolazione.

In una parola, voi ci accusate di voler abolire la vostra proprietà. È proprio quello che vogliamo.

Dal momento in cui il lavoro non può più essere trasformato in capitale, denaro, rendita fondiaria - in breve, in un potere sociale monopolizzabile -, cioè dal momento in cui la proprietà personale non può tramutarsi in proprietà borghese, da quel momento voi dichiarate che ad essere abolita è la persona.

Voi ammettete così di considerare come persona nient'altro che il borghese, il proprietario borghese. Epperò questa persona deve essere abolita.

Il comunismo non impedisce a nessuno di appropriarsi dei prodotti della società, impedisce solo di sottomettere il lavoro altrui per mezzo di tale appropriazione.

Si è obiettato che con l'abolizione della proprietà privata ogni attività cesserebbe e si affermerebbe una pigrizia generalizzata.

Secondo una simile interpretazione la società borghese dovrebbe essere già da tempo scomparsa per colpa dell'indolenza, giacché coloro che vi lavorano non guadagnano, e coloro che vi guadagnano non lavorano. Tutta questa riflessione porta alla tautologia per cui il lavoro salariato cessa di esistere nel momento in cui non esiste più il capitale.

Tutte le obiezioni rivolte contro il modo comunista di appropriazione e di produzione dei prodotti materiali sono state sviluppate allo stesso titolo nei confronti dell'appropriazione e della produzione dei prodotti spirituali. Come per il borghese la fine della proprietà di classe significa la fine della produzione stessa, così per lui la fine della cultura di classe è identica alla fine della cultura in quanto tale.

La cultura di cui egli lamenta la perdita è per l'enorme maggioranza la preparazione a diventare una macchina.

Ma non dibattete con noi misurando la liquidazione della proprietà borghese in base alle vostre concezioni borghesi della libertà, della cultura, del diritto e così via. Le vostre idee stesse derivano dai rapporti di produzione e di proprietà borghesi, così come il vostro diritto non è altro che la codificazione della volontà della vostra classe, volontà il cui contenuto è dato dalle condizioni materiali di esistenza della vostra classe.

Voi condividete con tutte le classi dominanti tramontate la concezione interessata grazie alla quale affermate come leggi eterne della natura e della ragione i vostri rapporti di produzione e di proprietà, frutto di rapporti storici, rapporti che evolvono nel corso della produzione. Ciò che voi intendete come proprietà antica, ciò che voi intendete come proprietà feudale, non lo potete più intendere come proprietà borghese.

Abolizione della famiglia! Persino i più radicali si indignano per questo scandaloso intento dei comunisti.

Su che cosa poggia la famiglia attuale, la famiglia borghese? Sul capitale, sul reddito privato. In senso pieno essa esiste solo per la borghesia; ma essa trova il suo completamento nell'imposizione ai proletari di non avere una famiglia e nella prostituzione pubblica.

La famiglia del borghese decade naturalmente con l'eliminazione di questo suo proprio completamento ed entrambi scompaiono con la scomparsa del capitale.

Voi ci rimproverate di voler abolire lo sfruttamento dei bambini da parte dei loro genitori? Confessiamo questo crimine.

Ma voi dite che noi aboliamo i rapporti più cari sostituendo con l'educazione sociale quella impartita a domicilio.

E forse che la vostra stessa educazione non è determinata dalla società? Dai rapporti sociali nel cui ambito voi educate, dall'interferenza più o meno diretta o indiretta della società per mezzo della scuola e così via? Non sono i comunisti a inventare l'intervento della società nell'educazione; ne cambiano solo il carattere, sottraggono l'educazione all'influsso di una classe dominante.

Gli stereotipi borghesi sulla famiglia e sull'educazione, sull'affettuoso rapporto fra genitori e figli, diventano tanto più nauseanti quanto più per i proletari vengono spezzati tutti i vincoli familiari e i figli sono trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.

"Ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle donne!", strepita in coro contro di noi l'intera borghesia.

Il borghese vede in sua moglie un puro strumento di produzione. Egli sente dire che gli strumenti di produzione devono essere sfruttati in comune e non può naturalmente fare a meno di pensare che il destino della comunanza toccherà anche alle donne.

Non gli viene in mente che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne come puri strumenti di produzione.

D'altronde non c'è nulla di più ridicolo del moralissimo orrore del nostro borghese per la pretesa comunanza ufficiale delle donne fra i comunisti. I comunisti non hanno bisogno di introdurre la comunanza delle donne, giacché essa è quasi sempre esistita.

Non contento del fatto che le mogli e le figlie dei suoi proletari siano a sua disposizione - per tacere della prostituzione ufficiale - i nostri borghesi trovano sommo piacere nel sedurre reciprocamente le rispettive mogli.

In realtà, il matrimonio borghese è la comunanza delle mogli. Al massimo, si potrebbe rimproverare ai comunisti di voler sostituire una comunanza delle mogli ufficiale, aperta, a una comunanza ipocritamente nascosta. Eppoi va da sé che con l'abolizione dei rapporti di produzione vigenti sparisce per conseguenza anche la comunanza delle donne che ne deriva, cioè la prostituzione ufficiale e ufficiosa.

Si è inoltre rimproverato ai comunisti di voler liquidare la patria, la nazionalità.

I lavoratori non hanno patria. Non si può togliere loro ciò che non hanno. Dovendo anzitutto conquistare il potere politico, elevarsi a classe nazionale24, costituirsi in nazione, il proletariato resta ancora nazionale, ma per nulla affatto nel senso in cui lo è la borghesia.

Le divisioni e gli antagonismi nazionali fra i popoli tendono sempre più a scomparire già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà del commercio, con il mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e delle condizioni di vita che ne derivano.

Il potere proletario li farà scomparire ancora di più. L'azione comune almeno dei paesi più civilizzati è una delle prime condizioni della sua liberazione.

In tanto in quanto viene eliminato lo sfruttamento del singolo individuo da parte di un altro, svanisce anche lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra.

Con l'antagonismo delle classi all'interno delle nazioni cade la reciproca ostilità fra le nazioni.

Alle accuse contro il comunismo rivolte in genere sulla base di punti di vista religiosi, filosofici e ideologici non serve opporre più dettagliata risposta.

È necessario un profondo sforzo intellettuale per capire che anche le concezioni, le opinioni e i concetti - in una parola, la coscienza - di ciascuno cambiano insieme alle sue condizioni di vita, alle sue relazioni sociali, alla sua collocazione nella società?

La storia delle idee dimostra che la produzione spirituale si conforma alla produzione materiale. In ogni epoca hanno sempre dominato le idee della classe dominante.

Si parla di idee che rivoluzionano un'intera società; così non si fa che esprimere il fatto che all'interno della vecchia società si sono formati gli elementi di una società nuova, che la dissoluzione dei vecchi modi di vita va di pari passo con la dissoluzione delle vecchie idee.

Quando il mondo antico fu per tramontare, le religioni dell'antichità furono vinte dal cristianesimo. Quando, nel XVIII secolo, le idee cristiane soccombettero alle idee dell'illuminismo, la società feudale ingaggiò la sua lotta con l'allora rivoluzionaria borghesia. Le idee di libertà di coscienza e di religione non esprimevano altro che il dominio della libera concorrenza nel campo coscienziale25.

Si opporrà che le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche, ecc., si sono modificate lungo il corso della storia. Eppure in questi cambiamenti la religione, la morale, la filosofia, la politica, il diritto si sono conservati.

Ci sono poi verità eterne come la libertà, la giustizia, ecc., comuni a tutte le condizioni sociali. Ma il comunismo liquida le verità eterne, liquida la religione, la morale, invece di dar loro nuova forma - esso dunque contraddice il corso della storia così come si è finora sviluppato.

A che cosa si riduce questa accusa? L'intera storia della società si è sviluppata finora attraverso le contrapposizioni di classe, diverse a seconda delle diverse epoche.

Ma qualunque forma assumesse, lo sfruttamento di una parte della società da parte dell'altra è un fatto comune a tutti i secoli passati. Nessuna sorpresa dunque che la coscienza sociale di qualsiasi secolo, malgrado ogni varietà e diversificazione, si muova in determinate forme comuni - forme di coscienza - che si estinguono completamente solo a seguito della totale scomparsa della contrapposizione di classe.

La rivoluzione comunista è la rottura più radicale con i rapporti tradizionali di proprietà. Non meraviglia dunque che nel suo sviluppo essa rompa nel modo più radicale con le idee tradizionali.

Ma lasciamo stare le obiezioni della borghesia contro il comunismo.

Abbiamo già visto sopra che il primo passo nella rivoluzione dei lavoratori è l'elevazione del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia.

Il proletariato userà il suo potere politico per strappare progressivamente alla borghesia tutti i suoi capitali, per centralizzare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, dunque del proletariato organizzato in classe dominante, e per moltiplicare il più rapidamente possibile la massa delle forze produttive.

In un primo momento ciò può accadere solo per mezzo di interventi dispotici sul diritto di proprietà e sui rapporti di produzione borghesi, insomma attraverso misure che appaiono economicamente insufficienti e inconsistenti, ma che nel corso del movimento si spingono oltre i propri limiti e sono inevitabili strumenti di trasformazione dell'intero modo di produzione.

Queste misure saranno naturalmente differenti da paese a paese.

Per i paesi più sviluppati potranno comunque essere molto generalmente prese le misure seguenti:

Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della proprietà fondiaria per le spese dello Stato.
Forte imposta progressiva.
Abolizione del diritto di successione.
Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli.
Centralizzazione del credito nelle mani dello Stato attraverso una banca nazionale dotata di capitale di Stato e monopolio assoluto.
Centralizzazione di ogni mezzo di trasporto nelle mani dello Stato.
Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano sociale.
Uguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali, specialmente per l'agricoltura.
Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e dell'industria, misure volte ad abolire gradualmente la contrapposizione26 di città e campagna.
Educazione pubblica e gratuita di tutti i bambini. Abolizione del lavoro dei bambini nelle fabbriche nella sua forma attuale. Fusione di educazione e produzione materiale, ecc., ecc.

Una volta sparite, nel corso di questa evoluzione, le differenze di classe, e una volta concentrata tutta la produzione nelle mani degli individui associati, il potere pubblico perderà il suo carattere politico. Il potere pubblico in senso proprio è il potere organizzato di una classe per soggiogarne un'altra. Quando il proletariato inevitabilmente si unifica nella lotta contro la borghesia, erigendosi a classe egemone in seguito a una rivoluzione, e abolendo con la violenza, in quanto classe egemone, i vecchi rapporti di produzione, insieme a quei rapporti di produzione esso abolisce anche le condizioni di esistenza della contrapposizione di classe, delle27 classi in genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe.

Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e le sue contrapposizioni di classe, subentra un'associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.


III

LETTERATURA SOCIALISTA E COMUNISTA

1. Il socialismo reazionario

a) Il socialismo feudale

L'aristocrazia francese e inglese era spinta dalla sua posizione storica a produrre dei pamphlet contro la moderna società borghese. Nella rivoluzione francese del luglio 1830 e nel movimento riformatore inglese l'aristocrazia era stata ancora una volta sconfitta dall'aborrito nuovo venuto. Non restava più traccia di un serio conflitto politico. Restava solo il conflitto letterario. Ma sul terreno letterario i vecchi stereotipi della restaurazione28 erano diventati obsoleti. Per conquistarsi delle simpatie, l'aristocrazia doveva far finta di perdere di vista i propri interessi per formulare il proprio atto di accusa contro la borghesia nell'interesse esclusivo dei lavoratori. Si preparava così la soddisfazione di poter intonare invettive contro il suo nuovo signore, e di soffiargli nell'orecchio profezie più o meno disastrose.

Nacque così il socialismo feudale, metà lamentazione, metà libello; metà eco del passato, metà incombere del futuro; colpiva la borghesia al cuore con giudizi amari e spiritosamente laceranti, ma con un effetto curioso, derivante dalla totale incapacità di capire il corso della storia moderna.

Questi aristocratici sventolavano la proletaria bisaccia da mendicante come fosse la loro bandiera, cercando di radunare il popolo dietro le loro parole d'ordine. Ma ogni volta che seguiva il richiamo degli aristocratici, il popolo scopriva sui loro posteriori le vecchie insegne feudali e li abbandonava fra acuti e irrispettosi sghignazzi.

Una parte dei legittimisti francesi29 e la Giovane Inghilterra30 hanno espresso le punte più alte di questa messinscena.

Quando i feudatari dimostrano che il loro sistema di sfruttamento era strutturato in modo diverso da quello borghese, dimenticano però che loro sfruttavano in condizioni completamente diverse e ormai superate. Quando dimostrano che sotto il loro dominio non esisteva il moderno proletariato, dimenticano però che proprio la borghesia moderna è un erede necessario del loro ordine sociale.

D'altronde essi celano così poco il carattere reazionario della loro critica che la loro accusa principale contro la borghesia è che sotto il suo regime si sviluppa una classe che farà saltare in aria tutto il vecchio ordine sociale.

Di più, essi accusano la borghesia di produrre un proletariato rivoluzionario, non un proletariato tout court.

Nella prassi politica gli aristocratici partecipano dunque a tutte le misure di forza contro la classe lavoratrice, e nella vita quotidiana, malgrado i loro torniti stereotipi, si adattano a cogliere le mele d'oro31, e a scambiare fedeltà, amore, onore col commercio della lana di pecora, della barbabietola e della grappa32.

Come il sacerdote è sempre andato d'accordo con il feudatario, così il socialismo pretesco si accompagna a quello feudale.

Non c'è nulla di più facile che dare all'ascetismo cristiano un tocco socialistico. Forse che il cristianesimo non si è mobilitato anch'esso contro la proprietà privata, contro il matrimonio, contro lo Stato? Non ha forse predicato, al loro posto, la beneficenza, la carità, il celibato e la mortificazione della carne, la vita monacale e la Chiesa? Il socialismo sacro33 è solo l'acquasanta con cui il sacerdote benedice l'ira degli aristocratici.


b) Il socialismo piccolo-borghese

L'aristocrazia feudale non è l'unica classe ad essere stata rovesciata dalla borghesia e le cui condizioni di vita siano deperite e poi estinte nella moderna società borghese. La piccola borghesia medievale e i piccoli contadini sono stati i precursori della moderna borghesia. Nei paesi meno sviluppati industrialmente e commercialmente questa classe continua a vegetare accanto alla borghesia in ascesa.

Nei paesi in cui si è sviluppata la civiltà moderna, si è formata una nuova piccola borghesia che oscilla fra il proletariato e la borghesia e che si ricostituisce sempre di nuovo come complemento della società borghese. Ma i piccoli borghesi vengono regolarmente risospinti dalla concorrenza verso il proletariato, anzi, con lo sviluppo della grande industria essi si avvicinano al punto in cui spariranno del tutto come elemento autonomo della società moderna e verranno rimpiazzati - nel commercio, nella manifattura e nell'agricoltura - da sorveglianti di fabbrica e da servitori.

In paesi come la Francia, dove i contadini sono assai più della metà della popolazione, era ovvio che gli intellettuali schieratisi per il proletariato contro la borghesia usassero il metro del piccolo borghese e del piccolo contadino e prendessero partito per i lavoratori dal punto di vista piccolo-borghese. Così si formò il socialismo piccolo-borghese. Il più alto esponente di questa letteratura è Sismondi34, non solo in Francia ma anche in Inghilterra.

Questo socialismo ha scandagliato con somma acribia le contraddizioni dei rapporti di produzione moderni. Ha smascherato gli ipocriti abbellimenti degli economisti. Ha dimostrato irrefutabilmente gli effetti distruttivi delle macchine e della divisione del lavoro, la concentrazione dei capitali e della proprietà fondiaria, la sovrapproduzione, le crisi, il necessario tramonto dei piccoli borghesi e dei piccoli contadini, la miseria del proletariato, l'anarchia della produzione, le stridenti sproporzioni nella distribuzione della ricchezza, la guerra industriale di sterminio tra le nazioni, la liquidazione dei vecchi costumi, dei vecchi rapporti familiari, delle vecchie nazionalità.

In termini positivi questo socialismo vuole però o ricostituire gli antichi mezzi di produzione e di scambio e con essi gli antichi rapporti di proprietà e la vecchia società, o rinserrare nuovamente, di forza, entro i vincoli dei vecchi rapporti di proprietà, i moderni mezzi di produzione e di scambio che liquidano e non potevano non liquidare proprio quei vecchi rapporti. In entrambi i casi questo socialismo è reazionario e utopistico.

Corporazioni nella manifattura ed economia patriarcale nelle campagne: queste sono le sue ultime parole.

Nel suo ulteriore sviluppo questa corrente, dopo tanta eccitazione, si è spenta in una vile atonia35.


c) Il socialismo tedesco, ovverosia il "vero" socialismo

La letteratura socialista e comunista francese, sorta sotto la pressione della borghesia egemone, e che è l'espressione letteraria della lotta contro questa egemonia, fu importata in Germania proprio quando la borghesia cominciava la sua lotta contro l'assolutismo feudale.

Filosofi tedeschi, mezzi filosofi e anime belle si impadronirono avidamente di quella letteratura, solo dimenticando che le condizioni di vita francesi non erano immigrate in Germania insieme a quegli scritti. Nell'impatto con la situazione tedesca la letteratura francese perse ogni significato pratico immediato e assunse un aspetto puramente letterario, fino a dover apparire come oziosa speculazione sulla società vera36, sulla realizzazione dell'essere umano. Allo stesso modo le rivendicazioni della prima rivoluzione francese avevano avuto per il filosofo tedesco del XVIII secolo solo il senso di rivendicazioni generali della "ragion pratica", e l'espressione della volontà della borghesia rivoluzionaria francese aveva per loro il senso di leggi della pura volontà, della volontà come deve essere, della volontà veramente umana.

Il lavoro dei letterati tedeschi si risolse nell'accordare le nuove idee francesi con la loro vecchia coscienza filosofica, o anzi nell'appropriarsi delle idee francesi dal loro punto di vista filosofico.

Tale appropriazione avvenne nel modo in cui ci si impadronisce di una lingua straniera, con la traduzione.

È noto come i monaci annotassero con insipide storie cattoliche di santi i manoscritti che recavano i classici dell'antico mondo pagano. I letterati tedeschi fecero l'opposto con la letteratura francese profana. Scrissero le loro sciocchezze dietro l'originale francese. Per esempio dietro la critica francese dei rapporti patrimoniali essi scrissero "alienazione dell'essere umano", dietro la critica francese dello Stato borghese scrissero "abolizione del dominio dell'universale astratto", e così via.

Essi battezzarono questa insinuazione delle loro espressioni filosofiche nel contesto francese come "filosofia dell'azione", "vero socialismo", "scienza tedesca del socialismo", "fondazione filosofica del socialismo", ecc.

La letteratura francese socialista e comunista fu così perfettamente evirata. E poiché in mano tedesca essa cessava di esprimere la lotta di una classe contro l'altra, il tedesco era conscio di aver superato la "unilateralità francese", d'essersi fatto interprete non dei bisogni veri, ma del bisogno della verità, non degli interessi proletari, ma di quelli del genere umano, dell'uomo in assoluto, dell'uomo che non appartiene ad alcuna classe, meno che mai alla realtà, ma solo al nebuloso cielo della fantasia filosofica.

Questo socialismo tedesco, che tanto seriamente aveva preso le sue goffe esercitazioni scolastiche e tanto sguaiatamente le strombazzava, perdette tuttavia, a poco a poco, la sua pedante innocenza.

La lotta della borghesia tedesca, in particolare di quella prussiana, contro i feudatari e contro l'assolutismo regio - in una parola: il movimento liberale - divenne più seria.

Venne così offerta al "vero" socialismo l'auspicata possibilità di opporre le rivendicazioni socialiste al movimento politico, di scagliare i tradizionali anatemi contro il liberalismo, contro lo Stato rappresentativo, contro la concorrenza borghese, contro la libertà di stampa borghese, il diritto borghese, la libertà e l'uguaglianza borghese, e di predicare alla massa del popolo che essa non aveva nulla da guadagnare ma tutto da perdere da questo movimento borghese. Il socialismo tedesco dimenticò per tempo che la critica francese, di cui esso rappresentava l'ottusa eco, presuppone la società moderna borghese con le sue proprie condizioni materiali di esistenza e la corrispondente costituzione politica, tutti presupposti per la cui conquista in Germania la lotta era appena cominciata.

Il "vero" socialismo servì ai governi assoluti tedeschi con il loro codazzo di pretonzoli, maestrucoli, nobilastri e burocrati come gradito spauracchio contro la borghesia minacciosamente in marcia.

Esso rappresentò il complemento dolciastro delle aspre scudisciate e delle schioppettate con cui quegli stessi governi trattavano le sollevazioni dei lavoratori tedeschi.

Il "vero" socialismo diventava così un'arma nelle mani dei governi contro la borghesia tedesca, e allo stesso tempo difendeva anche direttamente un interesse reazionario, l'interesse della piccola borghesia tedesca37. In Germania la piccola borghesia rappresenta l'effettivo bastione sociale della società attuale, una piccola borghesia costituitasi nel XVI secolo e da allora sempre riaffiorante in forme diverse.

La sua conservazione è la conservazione dell'attuale società tedesca. Essa teme di essere ineluttabilmente distrutta dall'egemonia industriale e politica della borghesia, sia per effetto della concentrazione del capitale che per il sorgere di un proletariato rivoluzionario. Le parve che il "vero" socialismo le prendesse due piccioni con una fava. Esso si diffondeva come un'epidemia.

La veste tessuta di ragnatela speculativa, ornata di fiori retorici da anime belle, imbevuta di rugiada sentimentale ebbra d'amore, questa veste di esaltazione nella quale i socialisti tedeschi avvolgevano un paio di scheletriche "verità eterne" non fece che moltiplicare lo spaccio della loro merce presso quel pubblico.

Da parte sua il socialismo tedesco riconobbe sempre più la sua vocazione di altezzoso rappresentante di questa piccola borghesia.

Esso ha proclamato la nazione tedesca nazione normale, il borghesuccio38 tedesco uomo normale. Esso ha conferito a ogni abiezione di costui un nascosto alto senso socialistico, sicché l'abiezione significava l'opposto di se stessa. Fino a trarre le estreme conseguenze, insorgendo direttamente contro la "rozza tendenza distruttiva" del comunismo e affermando la sua imparziale superiorità rispetto a tutte le lotte di classe. Con pochissime eccezioni, quanto circola in Germania di pretesi scritti socialisti e comunisti appartiene all'ambito di questa sporca indisponente letteratura39.


2. Il socialismo conservatore, ovverosia borghese

Una parte della borghesia conta di rimediare alle ingiustizie sociali per garantire l'esistenza della società borghese.

È il caso di economisti, filantropi, umanitari, miglioratori della condizione delle classi lavoratrici, benefattori, protettori degli animali, promotori di associazioni di temperanza, riformatori di ogni risma e colore. E questo socialismo borghese è stato elaborato in interi sistemi.

Come esempio prendiamo la Philosophie de la misère di Proudhon40.

I socialisti borghesi vogliono le condizioni di esistenza della società moderna ma senza le lotte e i pericoli che pure ne sono necessaria conseguenza. Vogliono la società attuale ma senza gli elementi intesi a rivoluzionarla ed eliminarla. Vogliono la borghesia senza il proletariato. La borghesia si rappresenta il mondo in cui domina come il migliore dei mondi possibili. Il socialismo borghese elabora questa rappresentazione consolatoria sotto forma di un mezzo o di un intero sistema. Quando esorta il proletariato a realizzare i suoi sistemi per41 irrompere nella nuova Gerusalemme, in fondo non fa che pretendere dal proletariato di restare confitto nella società attuale rinunciando però alle odiose idee che se ne è fatto.

Una seconda forma di questo socialismo, meno sistematica e più pratica, cercava di togliere alla classe lavoratrice ogni tentazione rivoluzionaria, sostenendo che a giovarle avrebbe potuto essere non un qualsiasi mutamento politico, ma solo un mutamento delle condizioni materiali di esistenza, dunque dei rapporti economici. Per mutamento delle condizioni materiali di esistenza questo tipo di socialismo non intende però in alcun modo l'abolizione dei rapporti borghesi di produzione, possibile solo con la rivoluzione, ma miglioramenti amministrativi che restino sul terreno di questi rapporti di produzione; che dunque non tocchino affatto il rapporto tra capitale e lavoro salariato, ma che semmai nel migliore dei casi alleggeriscano alla borghesia i costi del suo dominio e semplifichino il bilancio del suo Stato.

Il socialismo borghese corrisponde al suo proprio carattere solo quando diventa pura figura retorica.

"Libero commercio!" nell'interesse della classe lavoratrice; "dazi protettivi!" nell'interesse della classe lavoratrice; "carcere cellulare!" nell'interesse della classe operaia: questa è l'ultima parola, l'unica detta sul serio, del socialismo borghese.

Il loro socialismo42 consiste appunto nella tesi che i borghesi sono borghesi nell'interesse della classe operaia.


3. Il socialismo e comunismo critico-utopistici

Non parliamo qui della letteratura che in tutte le grandi rivoluzioni moderne ha espresso le rivendicazioni del proletariato (scritti di Babeuf43 e così via).

I primi tentativi del proletariato di imporre il suo proprio interesse di classe in un'epoca di sommovimento generale, nel periodo della liquidazione del dominio feudale, fallirono necessariamente a causa della forma immatura del proletariato stesso, e anche perché mancavano le condizioni materiali per la sua emancipazione, appunto prodotte solo nell'età borghese. La letteratura rivoluzionaria che accompagnò queste prime apparizioni del movimento proletario è per il suo contenuto inevitabilmente reazionaria. Essa postula un ascetismo generale e un rozzo egualitarismo.

I sistemi propriamente socialisti e comunisti, i sistemi di Saint-Simon44, di Fourier45, di Owen46, ecc., emergono nella prima e non sviluppata fase della lotta fra proletariato e borghesia, di cui abbiamo trattato sopra (si veda "Borghesi e proletari").

I fondatori di quei sistemi colgono certo la contrapposizione fra le classi, come pure l'efficacia degli elementi dissolventi in seno alla stessa classe egemone. Ma non colgono affatto l'autonomo ruolo storico del proletariato, non colgono alcun movimento politico proprio del proletariato.

Poiché lo sviluppo della contrapposizione fra le classi procede di pari passo con lo sviluppo dell'industria, essi non trovano neppure le condizioni materiali per l'emancipazione del proletariato e si lanciano allora alla ricerca di una scienza sociale, di leggi sociali utili a creare tali condizioni.

Al posto dell'attività sociale deve subentrare la loro propria inventiva personale, al posto delle condizioni storiche dell'emancipazione del proletariato devono subentrare condizioni immaginarie, al posto della graduale organizzazione del proletariato in classe deve subentrare un'organizzazione della società da loro stessi escogitata. Per costoro la storia universale a venire si dissolve nella propaganda e nella realizzazione pratica dei loro progetti sociali.

Non che essi non siano consapevoli di sostenere nei loro progetti anzitutto l'interesse della classe lavoratrice in quanto classe che soffre. Il proletariato esiste per loro solo sotto questo aspetto di classe che soffre.

Essi sono però spinti dalla forma non sviluppata della lotta di classe come pure dalla loro stessa condizione esistenziale a considerarsi molto superiori a quella contrapposizione di classe. Essi vogliono migliorare le condizioni di vita di tutti i membri della società, anche dei più agiati. Fanno perciò continuamente appello alla società intera, senza distinzioni, anzi prevalentemente alla classe dominante. Basta solo capire il loro sistema per riconoscervi il miglior progetto possibile per la migliore delle società possibili.

Sicché essi rifiutano ogni azione politica, in particolare ogni azione rivoluzionaria. Puntano a raggiungere il loro obiettivo per via pacifica e tentano di aprire la strada al nuovo vangelo sociale con il potere dell'esempio, attraverso piccoli esperimenti che naturalmente sono destinati a fallire.

Questa rappresentazione fantastica della società futura - in un'epoca in cui il proletariato è ancora pochissimo sviluppato e dunque si rappresenta la propria posizione in modo fantasioso - rispecchia il47 primo impulso del proletariato che presagisce una trasformazione complessiva della società.

Gli scritti socialisti e comunisti contengono però anche elementi critici. Essi attaccano tutte le fondamenta della società esistente. Hanno perciò offerto materiali molto apprezzabili per la maturazione dei lavoratori. Le loro affermazioni positive sulla società futura, cioè l'abolizione della contrapposizione di48 città e campagna, della famiglia, del guadagno privato, del lavoro salariato, l'annuncio dell'armonia sociale, la trasformazione dello Stato in pura amministrazione della produzione, tutte queste loro affermazioni esprimono semplicemente la scomparsa della contrapposizione fra le classi che proprio allora comincia a svilupparsi e che essi conoscono solo nella sua prima informe indeterminatezza. Sicché queste affermazioni hanno un senso puramente utopistico.

L'importanza del socialismo e comunismo critico-utopistici è inversamente proporzionale allo sviluppo storico. Nella stessa misura in cui la lotta di classe si sviluppa e prende forma, quel fantasticato elevarsi al di sopra di essa, quella immaginaria lotta contro di essa perde ogni valore pratico e ogni giustificazione teorica. Se anche i fondatori di quei sistemi erano dunque sotto diversi aspetti dei rivoluzionari, i loro allievi non fanno che formare ogni volta delle sette reazionarie. Si aggrappano alle vecchie tesi dei maestri contro il progressivo sviluppo storico del proletariato. Epperciò cercano di smussare di nuovo la lotta di classe e di mediare fra gli estremi. Continuano pur sempre a sognare la realizzazione sperimentale delle loro utopie sociali, l'istituzione di singoli falansteri, la fondazione di colonie in patria, la creazione di una piccola Icaria49 - la copia in dodicesimo della nuova Gerusalemme -, e per l'edificazione di tutti questi castelli spagnoli debbono appellarsi alla filantropia dei cuori e dei portafogli borghesi. A poco a poco cadono nella categoria dei summenzionati socialisti reazionari o conservatori, differendo da questi solo per una più sistematica pedanteria, per la fede fanatica e superstiziosa nei meravigliosi effetti della loro scienza sociale.

Essi dunque si oppongono aspramente a ogni movimento politico dei lavoratori, che non potrebbe non derivare che da cieca miscredenza nel nuovo vangelo.

Gli owenisti in Inghilterra, i fourieristi in Francia, reagiscono lì contro i cartisti, qui contro i riformisti50.


IV

POSIZIONE DEI COMUNISTI NEI CONFRONTI DEI DIVERSI PARTITI DI OPPOSIZIONE

In base a quanto affermato nel secondo capitolo, il rapporto dei comunisti verso i partiti dei lavoratori che si sono appena costituiti, cioè verso i cartisti in Inghilterra e verso i riformatori agrari nell'America del Nord, appare evidente.

Essi lottano per raggiungere gli scopi e per servire gli interessi più immediati della classe lavoratrice, ma nel movimento attuale rappresentano anche il futuro del movimento. In Francia i comunisti si uniscono al partito socialista democratico51 contro la borghesia conservatrice e radicale, senza perciò rinunciare al diritto di atteggiarsi criticamente verso gli stereotipi e le illusioni tramandate dalla tradizione rivoluzionaria.

In Svizzera essi sostengono i radicali, senza dimenticare che questo partito si compone di elementi contraddittori, in parte di socialisti democratici in senso francese, in parte di borghesi radicali.

Tra i polacchi i comunisti sostengono il partito che fa della rivoluzione agraria la condizione della liberazione nazionale; lo stesso partito che chiamò all'insurrezione di Cracovia nel 184652.

In Germania il partito comunista lotta insieme alla borghesia - in tanto in quanto la borghesia si presenta come rivoluzionaria - contro la monarchia assoluta, la proprietà fondiaria feudale e il piccolo borghesume.

Ma esso non trascura nemmeno per un istante di promuovere nei lavoratori una coscienza - la più chiara possibile - della contrapposizione mortale di53 borghesia e proletariato, in modo che i lavoratori tedeschi possano subito rivoltare, come altrettante armi contro la borghesia, le condizioni sociali e politiche che la borghesia deve affermare insieme alla propria egemonia, e in modo che immediatamente dopo il crollo delle classi reazionarie in Germania possa subito cominciare la lotta contro la stessa borghesia.

I comunisti concentrano il massimo di attenzione sulla Germania, perché la Germania è alla vigilia di una rivoluzione borghese, e perché essa porta a compimento questo rivolgimento nel contesto di una civiltà europea più progredita e con un proletariato molto più evoluto che non l'Inghilterra nel XVII e la Francia nel XVIII secolo. La rivoluzione borghese tedesca può dunque essere solo l'immediato preludio di una rivoluzione proletaria.

In una parola, i comunisti sostengono dovunque ogni movimento rivoluzionario diretto contro le condizioni sociali e politiche esistenti.

In tutti questi movimenti i comunisti mettono in rilievo la questione della proprietà - qualsiasi forma, più o meno sviluppata, essa abbia preso - come questione centrale del movimento.

Infine, i comunisti lavorano dovunque al collegamento e al rafforzamento dei partiti democratici di tutti i paesi.

I comunisti sprezzano l'idea di nascondere le proprie opinioni e intenzioni. Essi dichiarano apertamente di poter raggiungere i loro obiettivi solo con il rovesciamento violento di ogni ordinamento sociale finora esistente. Che le classi dominanti tremino al pensiero di una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi altro che le proprie catene. Da guadagnare hanno un mondo.

Proletari di tutti i paesi, unitevi!



Nota ai testi

* (torna) Contrariamente alle abitudini di Marx, che ne fu, com’è noto, l’unico estensore materiale, il Manifest der Kommunistischen Partei venne scritto in un lasso di tempo sorprendentemente breve. Dal 9 dicembre 1847 – giorno di chiusura del secondo congresso della Lega dei comunisti, ove Marx ed Engels ricevettero l’incarico di redigere l’opera – al primo febbraio 1848 – giorno perentoriamente stabilito dalla Lega per la consegna del lavoro – trascorse circa un mese e mezzo, nel corso del quale Marx non smise comunque di tenere lezioni, organizzare riunioni, rinsaldare i contatti con rivoluzionari di varie parti d’Europa. Ferme restando le indubbie doti intellettuali e stilistiche marxiane, è probabile che tale celerità possa essere spiegata dal poter contare su diversi documenti messi a disposizione dal Comitato centrale della Lega, su proprie precedenti elaborazioni teoriche, su alcuni scritti di Engels (in particolare sui Grundsätze des Kommunismus, quei Princìpi del comunismo scritti e più volte rielaborati a partire dal giugno 1847), e soprattutto sull’aver discusso il piano dell’opera con Engels, il quale riteneva che "bisogna più o meno narrare la storia" abbandonando la forma di catechismo da lui conferita ai Grundsätze, e proponeva il titolo che poi sarebbe stato effettivamente scelto.

Ad ogni modo, il manoscritto del Manifesto non si è conservato. Spedito da Bruxelles – dove Marx risiedeva – a Londra, il testo fu composto con i caratteri gotici che la Lega aveva comprato in Germania utilizzando parte di una colletta di 25 lire sterline, e – non avendo la Lega una tipografia – venne stampato nella tipografia di J. E. Burghard, membro dell’Associazione educativa degli operai tedeschi (Bildungs-Gesellschaft für Arbeiter) fondata nel 1840 dalla Lega dei Giusti e – a carattere non segreto, contrariamente alla Lega – veicolo di arruolamento per la Lega dei Giusti stessa e poi per quella dei comunisti. Pertanto, la dicitura nel frontespizio che indica l’Associazione come sede della tipografia è da considerarsi errata, come si evince anche dal fatto che l’indirizzo citato è quello della tipografia di Burghard.

Privo del nome dei due autori, il Manifesto venne stampato nella seconda metà di febbraio 1848 in mille esemplari di 23 pagine destinati inizialmente non alla vendita, bensì alla propaganda interna. Le esigenze di quest’ultima, alimentate dallo scoppio delle rivoluzioni in Europa, e l’avvertita utilità di una diffusione pubblica, imposero tre ristampe nel mese di marzo e un’uscita del testo sulla "Deutsche Londoner Zeitung" (dal 3 marzo al 28 luglio 1848), nonché una seconda edizione di 30 pagine, apparsa tra aprile e maggio, a opera dello stesso stampatore della prima, nella quale si correggevano alcuni refusi e veniva migliorata la punteggiatura. È il testo di tale seconda edizione – base delle successive ristampe ed edizioni – che viene qui tradotto e riprodotto, previo un confronto con il testo presente nel vol. 6 della Marx-Engels Historisch-kritische Gesamtausgabe (MEGA), Marx-Engels-Institut Moskau, Moskau-Leningrad 1933, pp. 525-57, e nel vol. 4 dei Marx-Engels Werke (MEW), Dietz Verlag, Berlin 1959, pp. 459-93.

Un’ulteriore edizione si ebbe nel 1872, in cui il titolo veniva mutato in Das Kommunistische Manifest e il testo preceduto da una prefazione dei due autori; morto Marx, altre due edizioni (1883 e 1890) vennero prefate dal solo Engels. Tali prefazioni sono riportate in traduzione nel presente volume, con l’eccezione di quella del 1890 (alla quale si è preferita la prefazione all’edizione inglese del 1888, ripresa pressoché in toto nel 1890) e l’aggiunta della prefazione scritta da Engels appositamente per l’edizione italiana del 1893 (cfr. infra). La prefazione di Marx ed Engels all’edizione russa del 1882 e quella di Engels all’edizione polacca del 1892 – che non presentano sostanziali novità rispetto alle altre – non sono qui tradotte.

Nonostante quanto affermato alla fine del preambolo del Manifesto, l’Italia non doveva vedere una traduzione se non con un ritardo di quarantun’anni. Ciò non significa che l’opera fosse ignota al pubblico italiano: a partire perlomeno dal 1874, suoi brani furono oggetto di citazioni più o meno lunghe, di epigrafi, di una serrata discussione in un corso universitario (quello tenuto da Antonio Labriola nel 1892-93, sfociato nel suo celebre scritto In memoria del Manifesto dei Comunisti pubblicato nel 1895, prima in francese e poi in italiano). Una traduzione fu eseguita nel 1885 da Pasquale Martignetti, ma non venne pubblicata per mancanza di soldi.

Finalmente, nel 1889, quella che è a tutti gli effetti la prima traduzione italiana apparve in appendice dal numero 35 del 30-31 agosto al numero 44 del 3-4 novembre su "L’eco del popolo", un foglio settimanale diretto a Cremona da Leonida Bissolati. Nell’editoriale di presentazione ci si riferisce all’opera una volta come Manifesto dei Comunisti, un’altra come Manifesto dei Socialisti, e si indica il 1847 come anno di redazione. Non viene fatta alcuna menzione del traduttore, ma diversi studiosi convergono nell’individuarlo nello stesso Bissolati. La traduzione è piuttosto infedele al testo originale: manca il preambolo, alcuni brani dei primi due capitoli vengono riassunti o omessi (anche in mancanza dei classici puntini di sospensione, che ricorrono giusto un paio di volte), il terzo capitolo viene saltato, e del quarto viene dato soltanto l’ultimo capoverso.

Tuttavia, malgrado la sua imperfezione filologica, tale traduzione conserva un proprio valore intrinseco, posta com’è all’origine della diffusione italiana del testo fondamentale della dottrina comunista. Con sporadici miglioramenti nella punteggiatura e l’eliminazione di qualche refuso, la riprendiamo nel presente volume, che viene così a contenere la prima e, al momento, l’ultima traduzione italiana del Manifesto.

Dopo un’ulteriore traduzione – lacunosa e all’epoca piuttosto criticata – eseguita da Pietro Gori per i tipi dell’editore Flaminio Fantuzzi nel 1891, l’anno successivo apparve a puntate sul periodico milanese "Lotta di classe" la prima traduzione italiana corretta, opera del poeta Pompeo Bettini, che si poté giovare della revisione di Anna Kuliscioff e Filippo Turati. Nell’impossibilità di fare fronte alle ripetute richieste di copie, il testo venne pubblicato in brossura nel 1893, preceduto dalle prefazioni del 1872, 1883, e 1890, nonché da una nuova prefazione espressamente chiesta a Engels da Turati, il quale – oltre a tradurla insieme alle altre – la intitolò "Al lettore italiano".

Per quanto sopra, si vedano: F. Cagnetta, "Le traduzioni italiane del "Manifesto del Partito comunista"", in Il 1848. Raccolta di saggi e testimonianze, a cura di G. Manacorda, "Quaderni di Rinascita", n. 1, Roma 1848, pp. 21-30; G. Bosio, "La diffusione degli scritti di Marx e di Engels in Italia dal 1871 al 1892", in Società, vii (1951), pp. 268-84 e 444-77; Die Erstdrucke der Werke von Marx und Engels, Dietz Verlag, Berlin 1955; M. Rubel, Bibliographie des œuvres de Karl Marx avec en appendice un répertoire des œuvres de Friedrich Engels, Rivière, Paris 1956; Marx e Engels in lingua italiana: 1848-1960, a cura di G. M. Bravo, Edizioni Avanti!, Milano 1962; B. Andréas, Le Manifeste Communiste de Marx et Engels: Histoire et Bibliographie 1848-1918, Feltrinelli, Milano 1963; D. McLellan, Karl Marx: His Life and Thought, Macmillan, London 1973, trad. it. Rizzoli, Milano 1976.



Note

01 (torna) Con "borghesia" si intende la classe dei capitalisti moderni, che posseggono i mezzi di produzione sociale e impiegano il lavoro salariato; con "proletariato" la classe dei moderni lavoratori salariati che, non possedendo nessun mezzo di produzione, per vivere sono ridotti a vendere la loro forza-lavoro.

[Nota di Engels nell'edizione inglese del 1888].

02 (torna) Vale a dire, tutta la storia scritta. Nel 1847, la preistoria della società - l'organizzazione sociale esistente prima della storia tramandata per iscritto - era poco meno che sconosciuta. Da allora, Haxthausen scoprì la proprietà comune della terra in Russia, Maurer dimostrò che essa era la base sociale da cui presero avvio tutte le razze teutoniche nella storia, e presto ci si rese conto che le comunità paesane erano, o erano state, dappertutto la forma primitiva della società, dall'India all'Irlanda. L'organizzazione interna di tali società comunistiche primitive venne svelata, nella sua forma tipica, dalla grande scoperta di Morgan della vera natura della gens e della sua relazione con la tribù. Con il dissolvimento di queste comunità primordiali la società iniziò a differenziarsi in classi separate e, successivamente, antagoniste. Ho cercato di ripercorrere questo processo di dissolvimento in Der Ursprung der Familie, des Privateigenthums und des Staats, Stuttgart 1886, seconda edizione.

[Nota di Engels nell'edizione inglese del 1888].

03 (torna) Nell'edizione inglese del 1888 viene qui aggiunto: "di questa classe".

04 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1883 e 1890, e in quella inglese del 1888, questo termine è al singolare.

05 (torna) "Comune" era il nome che presero, in Francia, le nascenti città anche prima di conquistare dai loro signori e padroni feudali autogoverno e diritti politici come "terzo stato". Detto in generale, per quanto riguarda lo sviluppo economico della borghesia, come nazione tipica viene qui considerata l'Inghilterra; per quanto riguarda lo sviluppo politico, la Francia.

[Nota di Engels nell'edizione inglese del 1888].

Era questo il nome conferito alle comunità urbane dai cittadini di Italia e Francia, dopo che ebbero acquistato o estorto i loro iniziali diritti di autogoverno dai loro signori feudali.

[Nota di Engels nell'edizione tedesca del 1890].

06 (torna) Aggiunto nell'edizione inglese del 1888: "(come in Italia e in Germania)".

07 (torna) Aggiunto nell'edizione inglese del 1888: "(come in Francia)".

08 (torna) Nell'edizione tedesca del 1890 compare invece: "altre".

09 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "al suo".

10 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "dunque".

11 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "distruzione".

12 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 scompaiono le parole: "della civiltà borghese e".

13 (torna) Al posto dei concetti di "valore del lavoro" e "prezzo del lavoro" Marx ed Engels si servirono in opere posteriori dei concetti, tecnicamente più elaborati, di "valore della forza-lavoro" e "prezzo della forza-lavoro". Secondo la prospettiva teorica dei due autori, infatti, l'operaio non vende il suo lavoro, bensì la sua forza-lavoro. Come in particolare Marx avrà modo di approfondire a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, il valore di una qualsiasi merce è stabilito dal tempo di lavoro socialmente necessario per produrla; di conseguenza, il valore di quella merce peculiare che è la forza-lavoro dell'operaio è stabilito da quanto occorre per il sostentamento suo e della sua famiglia. Si noti che la peculiarità della merce rappresentata dalla forza-lavoro è all'origine del concetto marxiano di plusvalore. La forza-lavoro produce infatti più valore di quanto sia necessario per comprarla, mettendo la differenza (che può variare in misura direttamente proporzionale allo sfruttamento della forza-lavoro) direttamente nelle mani del suo compratore. Se, poniamo, è sufficiente un terzo della giornata lavorativa di un operaio affinché questi produca un valore pari al prezzo pagato dal capitalista per il suo acquisto, il valore prodotto nei rimanenti due terzi della giornata lavorativa costituiscono un valore aggiunto che, col suo reimpiego nel processo produttivo, determina l'accumulazione del capitale.

14 (torna) Nell'edizione inglese del 1888 compare invece: "il peso".

15 (torna) Nell'edizione tedesca del 1890 scompare: "ultimo".

16 (torna) Nelle edizioni successive al 1848 scompaiono le parole: "e dei bambini".

17 (torna) Nelle edizioni successive al 1848: "riconquistare".

18 (torna) Nell'edizione inglese del 1888, dopo "coalizioni" compare "(Trades' Unions)".

19 (torna) Nell'edizione inglese del 1888 viene qui aggiunto: "politici e generali".

20 (torna) Nell'edizione inglese del 1888, invece di "sviluppo" compare "chiarimento e progresso".

21 (torna) Con Lumpenproletariat Marx ed Engels intendono il settore degli strati sociali più bassi prossimo, in effetti, alla delinquenza e composto di fannulloni abituali, vagabondi, ladri di poco valore, imbroglioni, ecc.

22 (torna) Nell'edizione inglese del 1888 compare invece "settari".

23 (torna) Nell'edizione inglese del 1888 compare invece "della maggioranza da parte della minoranza".

24 (torna) Nell'edizione inglese del 1888 compare invece "a classe dirigente della nazione".

25 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "nel campo della conoscenza".

26 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "la differenza".

27 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "le".

28 (torna) Non la restaurazione inglese (1660-89), bensì quella francese (1814-30).

[Nota di Engels nell'edizione inglese del 1888].

29 (torna) Il 2 agosto del 1830 Carlo x, erede legittimo di Luigi XVI e ultimo sovrano della Restaurazione postnapoleonica nella discendenza del casato borbonico, si vide costretto ad abdicare. La Camera dei Deputati optò per l'offerta del trono di Francia a Luigi Filippo d'Orleáns, il "re borghese", monarca costituzionale il cui padre aveva abbracciato esplicitamente la causa della Rivoluzione francese, cosa che agli occhi di un gruppo di fautori della monarchia tradizionale di diritto divino lo privava di ogni legittimità. Di conseguenza questi monarchici "legittimisti" difesero, e continuarono a difendere lungo il XIX secolo, il diritto al trono del pretendente meglio situato nella linea di successione diretta di Luigi XVI, definito come "legittimo". Luigi Filippo d'Orleáns, membro di un ramo laterale dei Borboni, venne destituito, d'altro canto, nel 1848. I legittimisti francesi, rappresentanti della grande proprietà ereditaria della terra e dei suoi interessi, adottarono spesso una retorica populista combattiva.

30 (torna) Gruppo (Young England) di politici e letterati appartenente al partito tory. Formatosi al principio del quarto decennio del secolo XIX, ebbe tra i suoi più illustri riferimenti intellettuali Benjamin Disraeli e Thomas Carlyle. I suoi membri, portavoci del malcontento della vecchia aristocrazia davanti alla crescente egemonia economica e politica della borghesia industriale e finanziaria, cercarono di ottenere un certo credito in ambienti operai allo scopo di rafforzare la propria politica antiborghese.

31 (torna) Nell'edizione inglese del 1888 viene qui aggiunto: "che sono cadute dall'albero dell'industria".

32 (torna) Ciò vale principalmente per la Germania, dove ampie parti dei possedimenti dell'aristocrazia fondiaria e della grande proprietà terriera vengono fatte coltivare da fattori; tali possedimenti producono inoltre su vasta scala barbabietola da zucchero e grappa ottenuta da patate. L'aristocrazia britannica più agiata non è finora caduta così in basso; tuttavia anch'essa sa come compensare la rendita in calo prestando il proprio nome a promotori di società anonime più o meno equivoche.

[Nota di Engels nell'edizione inglese del 1888].

33 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "cristiano".

34 (torna) Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi (1773-1842), storico ed economista, nacque a Ginevra. Nel 1800 pubblicò Tableau de l'agriculture toscane, dopo aver soggiornato in Inghilterra - paese nel quale la sua famiglia cercò rifugio in seguito agli eventi scatenati in buona parte dell'Europa continentale dalla Rivoluzione francese - e in Toscana - dove ebbe modo di studiare i problemi economici della regione. Nel 1803 pubblicò De la richesse commerciale, opera che gli valse l'offerta (che peraltro non accettò) della cattedra di economia politica all'Università di Vilna (l'odierna Vilnius). Accompagnò Madame de Staël nel suo viaggio in Italia, insieme a August Wilhelm von Schlegel e altre celebrità dell'epoca. Durante i Cento giorni giunse a incontrare Napoleone, di cui difese sempre il programma costituzionale. Autore di vari studi storici di rilievo, la sua opera più importante, Nouveaux principes d'économie politique, vide la luce nel 1819. In questa portò a termine una critica del libero scambio a oltranza preconizzato da Say, Ricardo e Malthus, esercitando grande influenza in diversi ambienti, tra cui alcuni di filiazione socialista.

35 (torna) Nell'edizione inglese del 1888 al posto di questa frase compare: "Alla fin dei conti, allorché i persistenti fatti storici ebbero scacciato ogni entusiasmo derivato dall'autoinganno, questa forma di socialismo degenerò in una meschina atonia".

36 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 le parole "sulla società vera" scompaiono.

37 (torna) Nell'edizione inglese del 1888 compare invece: "dei filistei tedeschi".

38 (torna) Nell'edizione inglese del 1888 compare invece: "il piccolo filisteo".

39 (torna) La bufera rivoluzionaria del 1848 spazzò via tutta questa gretta tendenza e guarì i suoi protagonisti del desiderio di dilettarsi ancora di socialismo. Il maggiore rappresentante e il modello classico di tale tendenza è Karl Grün.

[Nota di Engels nell'edizione tedesca del 1890].

40 (torna) Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), socialista anarchico francese, nacque nella città di Besançon in una famiglia di artigiani, piccoli proprietari e commercianti. Intervenuto nella rivoluzione del 1848, nello stesso anno divenne deputato, e nel marzo 1849 fu condannato a tre anni di carcere per ingiurie al Capo dello Stato. Da posizioni anarchiche Proudhon attaccò in numerose pubblicazioni e interventi pubblici, nei quali fece sfoggio di una formidabile oratoria, l'intera classe di governo e persino l'esistenza stessa dello Stato, proclamandosi nel contempo a favore del federalismo e, con notevole capacità premonitrice, dei sindacati. Marx polemizzò veementemente con la tesi proudhoniana esposta in Philosophie de la misére (1846). Come motto Proudhon scelse destruam et aedificabo: la distruzione sarebbe l'anarchia, mentre la ricostruzione sarebbe il mutualismo e il federalismo.

41 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "e".

42 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "Il socialismo della borghesia".

43 (torna) François-Noël Babeuf (1760-1797), rivoluzionario e comunista francese, nacque in Piccardia. Svolse un'incessante attività di agitazione politica, giungendo a dirigere il giornale Le défenseur de la liberté de la presse, dove firmava i propri articoli sotto lo pseudonimo di Gracchus, in memoria dei famosi fratelli romani. Sostenendo, in nome degli interessi del proletariato, la teoria giacobina di Robespierre, Babeuf, in collaborazione con Buonarroti e altri compagni, tracciò le linee maestre di una "cospirazione degli Eguali" volta a instaurare un sistema "giusto", comunista, secondo una concezione esplicitamente non utopica. Il governo riuscì a sventare il piano insurrezionale - precursore, stando ad alcuni storici, della teoria leninista della rivoluzione diretta da un'élite rivoluzionaria -, e una trentina di Eguali, tra i quali Gracco Babeuf, vennero condannati alla pena capitale. Louis Blanc e Louis-Auguste Blanqui furono suoi discepoli.

44 (torna) Claude-Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon (1760-1825), aristocratico francese di presunta stirpe carolingia, veterano della guerra di indipendenza degli Stati Uniti d'America, attivista politico e autore di una vasta opera che si trasformò ben presto in un oggetto di culto per i suoi seguaci, è uno dei massimi responsabili della diffusione di idee protosocialiste nell'Europa dell'epoca. Convinto che l'intera società riposi sull'industria e che questa sia l'unica decisiva fonte di ricchezza, Saint-Simon divenne l'apostolo della "classe industriale", il settore laborioso e creativo della società chiamato a occupare la prima fila di un ordine ricostruito in chiave sociale egualitaria e di economia pianificata. Saint-Simon fu il maestro principale di Auguste Comte, cosa che - con l'aver proposto nel 1813 la creazione di una scienza positiva della morale, della politica e dell'umanità in generale - lo fa apparire uno dei "padri fondatori" della sociologia scientifica. Ad ogni modo, la sua scuola diventò una vera e propria "chiesa", centrata sulla sua ultima opera, Nouveau christianisme (1825), nella quale si difende la convenienza morale del dedicare tutte le energie sociali alla "classe più numerosa e più povera". In seguito alla disgregazione della Chiesa sansimoniana, di inequivocabile significato socialista, alcuni suoi discepoli scelsero di trasformarsi in intraprendenti e, alla fine, ricchi uomini d'affari, in "capitani" d'industria.

45 (torna) François-Marie-Charles Fourier (1772-1837), nato a Besançon, è passato alla storia come un "socialista utopistico" di profonda e duratura influenza. Allo stesso modo di Adam Smith, Fourier si accorse subito degli aspetti disumani del nuovo lavoro industriale; tuttavia, diversamente da lui, non li considerò inevitabili, ma superabili mediante una migliore organizzazione del luogo di lavoro e del lavoro stesso. Immaginò così delle unità di lavoro, o "falangi", intese a svolgere la loro attività in speciali luoghi di produzione che battezzò col nome di "falansteri". Come Rousseau, Fourier fece sua la credenza nella bontà naturale dell'uomo e nel potere corruttore della società moderna, anche se, diversamente da lui, non propose come rimedio ai mali dell'epoca il ritorno allo stato di natura, bensì l'accettazione delle conquiste tecnologiche dell'industrialismo, adeguatamente riorganizzate per quanto riguarda la loro cornice sociale di sviluppo. A proposito della riorganizzazione sociale da lui proposta, risalta l'idea della possibilità - per lui effettiva - dell'armonia, dell'eliminazione della feroce concorrenza industriale, creatrice di operai schiavi del capitalismo. Fourier propugnò il garantismo - il sistema di servizi pubblici volti a sostenere l'operaio in caso di necessità -, il diritto al lavoro e il cooperativismo. In Messico e negli Stati Uniti venne fondato un discreto numero di falansteri, e la sua opera del 1829 Nouveau monde industriel et sociétaire fu molto letta.

46 (torna) Robert Owen (1771-1858) nacque a Newtown, Montgomeryshire, Galles. Figlio di un fabbro, autodidatta, ben presto divenne operaio capo in una fabbrica di filati a Manchester, di cui fu poi comproprietario. Nel 1800 acquistò a New Lanarck, in Scozia, una filanda di cotone che ebbe una certa notorietà: la sua azienda diventò infatti un modello di efficienza e produttività, nell'ambito di uno spazio urbano riumanizzato da Owen stesso, il quale costruì alloggi igienici per gli operai, organizzò asili d'infanzia e scuole per i loro figli e in periodi di crisi continuava a pagare i salari per intero. Tale impegno, eccezionale in quell'epoca, suscitò grande ammirazione in persone tanto dissimili come Bentham, che lo aiutò economicamente, o lo zar Nicola di Russia. In questa tappa della sua vita Owen propugnò, in opere quali A New View of Society (1813), entro una generale cornice riformista, la trasformazione del carattere umano per mezzo di una riorganizzazione del suo ambiente, l'estensione e l'approfondimento dell'educazione, il cooperativismo e il pieno impiego. Col tempo Owen radicalizzò le sue posizioni, accentuando la critica all'individualismo degli economisti liberali e sottolineando le conseguenze negative della libera concorrenza. Allo scopo di corroborare il proprio insegnamento con la forza dell'esempio concreto, nel 1826 si trasferì nello stato nordamericano dell'Indiana, dove fondò una colonia, "Nuova armonia", che tuttavia fallì. Al suo rientro in Inghilterra Owen si pose a capo del movimento operaio sindacalista e cooperativista, arrivando a presiedere la Grand National Consolidated Trade Union, da lui stesso formata e germe delle Trade Unions britanniche. Le sue idee cooperativiste ebbero al suo tempo grande influenza, sebbene venissero occasionalmente relegate in secondo piano dal cartismo, e i suoi sforzi volti a organizzare la classe operaia stanno alla radice del sindacalismo socialista britannico.

47 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "scaturisce dal".

48 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "fra".

49 (torna) Phalanstères erano le colonie socialiste del progetto di Charles Fourier; Icaria era il nome che Cabet conferì alla sua utopia e, in seguito, alla sua colonia comunista in America.

[Nota di Engels nell'edizione inglese del 1888].

Owen chiamava home colonies le sue società modello di stampo comunista. Phalanstères era il nome dei palazzi pubblici progettati da Fourier. Icaria era il nome dato all'utopistico paese di fantasia le cui istituzioni comuniste vennero descritte da Cabet.

[Nota di Engels nell'edizione tedesca del 1890].

50 (torna) Seguaci del quotidiano parigino "La Réforme", che si pronunciavano a favore della Repubblica e dell'avviamento di riforme politiche di carattere democratico e, parimenti, di riforme sociali.

51 (torna) Si tratta del partito all'epoca rappresentato in Parlamento da Ledru-Rollin, nella letteratura da Louis Blanc, nella stampa quotidiana dal "Reforme". Il nome "socialdemocrazia" stava a significare, secondo i suoi inventori, una sezione del partito democratico o repubblicano più o meno permeata di socialismo.

[Nota di Engels nell'edizione inglese del 1888].

Il partito che in quel tempo in Francia si chiamava "socialista democratico" era rappresentato nella vita politica da Ledru-Rollin e nella letteratura da Louis Blanc; pertanto, esso era incommensurabilmente differente dall'attuale socialdemocrazia tedesca.

[Nota di Engels nell'edizione tedesca del 1890].

52 (torna) Un gruppo di democratici rivoluzionari polacchi organizzò in Polonia, nel febbraio 1846, una sollevazione per l'indipendenza del paese. Il tradimento di alcuni elementi della piccola nobiltà e l'arresto dei capi del movimento da parte della polizia prussiana impedì un'insurrezione generale, anche se si verificarono disturbi isolati di una certa importanza. Solo nella città libera di Cracovia, sottomessa dal 1815 (Congresso di Vienna) al controllo congiunto di Austria, Russia e Prussia, la sollevazione riuscì, il 22 febbraio, a trionfare, con la conseguente formazione di un governo nazionale la cui prima misura fu la diffusione di un proclama antifeudale. Nel contempo in Galizia insorsero gruppi di contadini ucraini. Dopo una serie di scontri fra truppe della piccola nobiltà e contadini (scontri fomentati dalle autorità austriache, che riuscirono a sfruttare il conflitto di classe tra piccola nobiltà e contadini), al principio di marzo la sommossa di Cracovia venne soffocata, così come, subito dopo, la rivolta contadina in Galizia. Dopo le conferenze di Berlino e di Vienna, il 15 aprile 1846 Cracovia fu annessa all'Austria.

53 (torna) Nelle edizioni tedesche del 1872, 1883 e 1890 compare invece: "fra".


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