L'ECO DI BERGAMO 08 aprile 2002Prima_cronacaPagina 7 amarcord Quando le luci di sale e caffè illuminavano la città «Apertura ore 14,30», avvertiva il cartello appeso all'ingresso dei cinema prima che la grande crisi confinasse gli spettacoli pomeridiani al sabato e alla domenica, e non raramente neppure in questi giorni. A Bergamo, come dappertutto, il cinema furoreggiò fino a tutti gli anni Sessanta. Poi, proprio al compimento dei sessant'anni come sala di spettacolo, fu il crollo, sempre più allargato come l'epicentro di un terremoto. La gente aveva trovato altri svaghi. Fino allora il cinema restò lo spettacolo principe, il più diffuso e popolare. Al cinema! Al cinema! Il pubblico frequentava numeroso le sale anche nei pomeriggi dei giorni feriali: c'erano studenti, turnisti in attesa dell'orario di lavoro, disoccupati, buontemponi, signore, signorine e, a metà prezzo, militari e ragazzi. Il sabato e la domenica erano giorni speciali: le sale, soprattutto d'inverno, erano gremite all'inverosimile e capitava spesso che, prima delle fatidiche 14,30, si formasse una «coda» agli ingressi. In quei tempi, diciamo primi anni Cinquanta, in Bergamo c'erano tredici cinematografi, contando solo quelli di città, di prima e seconda visione. I prezzi d'ingresso andavano dalle 170 alle 200 lire. Nelle sale di seconda visione da 100 a 130. I cinema erano tutti nella zona del centro col Sentierone, il «salotto di Bergamo», come arteria unificante. Oggi in città le sale rimaste sono soltanto cinque. A rischio di chiusura. D'estate, quando i bergamaschi passeggiavano a fiotti in centro, c'era il cinema all'aperto di via Tasso, situato nel cortile del convento dei frati domenicani, che prima si chiamò Cielo e poi Astra. Una moltitudine di spettatori si formava spesso nei pomeriggi di sabato e domenica davanti al cinema Rubini di via Paleocapa. Erano intere famiglie con bambini che aspettavano di entrare a vedere un cartone di Disney, «Biancaneve» o «Bambi». Non raramente capitava di dover assistere a tutta la proiezione restando in piedi, se non si faceva caso al cartello esposto alla cassa «Posti esauriti». In questi casi, con un occhio si seguiva il film e con l'altro si scrutava nel buio della sala per vedere se qualcuno si alzava per andarsene. Nei cinema, allora, non si entrava a orari fissi, bensì quando passava per la testa, cioè in qualsiasi momento. Si faceva un po' di confusione con le trame, specie se si trattava di film gialli, ma andava bene così. C'era più libertà. E poi il film si poteva vedere anche due volte. Al sabato e alla domenica sia al Duse, alla Rotonda dei Mille, sia al Nuovo, ch'erano fior di teatri (delitti di lesa maestà aver demolito il primo e inscatolato il secondo), c'era anche il varietà con comici, cantanti, illusionisti e, soprattutto, ballerine che facevano la danza del ventre, anche perché un po' denutrite, o si contorcevano nel... lascivo Boléro di Ravel. Il Duse e il Nuovo ospitavano anche – e come! – fior di spettacoli di prosa, lirica e rivista. Le repliche erano poche (al Donizetti le compagnie si fermavano al massimo due sere) ma le rappresentazioni si succedevano senza soluzione di continuità nei teatri cittadini. Pochi usavano l'automobile. I più raggiungevano i teatri in filobus, in motoretta o a piedi. Alla fine degli spettacoli teatrali c'erano i mezzi pubblici fermi a Porta Nuova in attesa di riportare a casa gli spettatori. Tutto era più a misura d'uomo e di... mottarello, il gelato rivestito di cioccolato (il primo di produzione industriale) che immancabilmente si leccava sul Sentierone all'uscita dal cinema. Il bar Motta era sull'angolo tra la via S.Orsola e la via XX Settembre, dove ora c'è un negozio di scarpe. Proprio su questo angolo, ch'era ricurvo, giganteggiavano i cartelloni pubblicitari del cinema Odeon, il cinema più chic della città, situato a metà circa della via S. Orsola. È qui che, nel luglio 1945, si registrò il primo grande successo del dopoguerra con «Prigionieri del passato», film strappalacrime con Ronald Colman e Greer Garson. Un altro imponente «pienone» si verificò al cinema Centrale nel settembre 1946, quando arrivò «Delitti senza castigo», un film che, in qualche modo, ci accostava alla psicanalisi, fino ad allora illustre sconosciuta. Tra gli interpreti c'era anche Ronald Reagan, ancora ben lontano dal diventare presidente degli Stati Uniti. La spinta della folla era tale che fracassò le vetrate del Centrale. Di fronte a quest'afflusso il film fu poi programmato anche al Nuovo. La città allora era viva. I cinema e i caffè (il Moka Efti di piazza Vittorio Veneto aveva anche un'orchestrina che rallegrava avventori e passanti) erano le sue luci. Si spegneranno? Bergamo by night addio? Franco Colombo