L'ECO DI BERGAMO 04 aprile 2002CittàPagina 11 Milano-Bergamo: 167 minuti Pendolari, aumentano anche i ritardi Sono proprio dei disfattisti. I pendolari non cambieranno mai: pagano due lire per viaggiare comodi e hanno sempre da protestare. D'inverno fai andare il riscaldamento e allora hanno troppo caldo. D'estate lo spegni e hanno ancora troppo caldo. E ovvio, se apri i finestrini protestano ancora: troppa aria. Se si rompe una porta attacchi subito un bel cartello «guasto» e loro vanno avanti a lamentarsi perché vorrebbero una riparazione istantanea. Ma dico: un treno ha tante porte, se se ne rompe una puoi sempre scendere dall'altra, che bisogno c'è di lamentarsi. E poi gli orari: siamo in Italia, non in Svizzera, il quarto d'ora accademico di ritardo è tollerato persino a teatro, dove i biglietti sono anche più salati. E poi prova a prendere l'autostrada e vediamo se rispetterai un appuntamento che sia uno. L'ultima lamentela è di ieri. I soliti pendolari hanno avuto la bella faccia di lamentarsi perché martedì un treno, quello delle 19,20 da Milano a Bergamo, non ha impiegato 50 minuti per arrivare a destinazione, ma 167. Che ci vuoi fare: si è spezzato un cavo dell'alta tensione, uno di quei cavi che sulla linea di Treviglio si logorano quotidianamente danno corrente ai circa 250 treni che passano di lì. Si è formato un ingorgo, col treno carico di pendolari chiuso nel mezzo. Insomma: i pendolari sono finiti in una specie di effetto sandwich tra intercity e interregionali, con una defaillance della linea che è durata circa tre ore e mezza, dalle 18 alle 21,30. «E hanno fatto passare anche un treno merci», accusano i viaggiatori, che solo alle 22,07 hanno potuto metter piede alla stazione di Bergamo. «È passato un solo treno - dicono invece dalle Ferrovie - ma andava nella direzione opposta. Nessun sorpasso, dunque: i treni in direzione di Venezia erano tutti fermi». Non c'era dubbio. Certo che i pendolari sono proprio disfattisti. Un cavo si rompe e in tre ore e mezza torna al suo posto, e loro che fanno? Si lamentano. E poi ti dicono anche che loro da martedì pagano, per andare a Milano con un abbonamento, il 22 e rotti per cento in più, per merito della Regione. Ecco, gli aumenti. La soluzione del caso è lì: è uno scherzo del destino, il triste destino dei pendolari. Prima si pagava «poco» e i treni ritardavano con moderazione. Adesso che si paga tanto, i servizi si adeguano. Ritardi compresi. E visto che qualcuno (i soliti disfattisti) ha definito gli aumenti un vero e proprio salasso, la prima giornata col nuovo regime tariffario ha subito regalato il classico botto anche sul fronte dei ritardi: cavo spezzato, treno bloccato per una vita a pochi chilometri dal traguardo. Piccolo particolare: l'aumento dei ritardi non era scritto nelle delibere, né nelle riforme del trasporto: lì c'era solo la stangata. Poi c'è chi dice che a Milano qualcuno sta cucinando l'ultimo capolavoro. In pentola bolle una nuova tessera: la carta d'identità del pendolare. Accanto all'abbonamento, si pensa di (re)introdurre una tessera di riconoscimento con dati e forse anche fotografia, valida tre anni. Il tutto in cambio di 4,75 euro, da versarsi in comodi contanti. Dicono quei petulanti dei pendolari: «Abbiamo tutti la carta d'identità, non basta quella per controllare se noi siamo noi e non qualcun altro? Non sarà invece un modo per spillarci altri quattrini?». Oltre che disfattisti, sono anche malpensanti. Ro. Be.