Il governo Amato e la storia dei mutui con tassi d’usura

 

Il recente decreto legge 29 dicembre 2000 n.394, di emanazione governativa, costituisce l’ennesima conferma del fatto che la politica economica del governo Amato risponde più agli interessi del capitale e dei ceti forti piuttosto che a quelli delle fasce deboli della società e, nel caso di specie, dei consumatori.

Il provvedimento è stato emanato sulla scia di recenti sentenze della Cassazione, che, diversamente dalle precedenti pronuncie, avevano stabilito che il momento significativo per individuare se il tasso degli interessi dei mutui stipulati anteriormente al 1996 (ovvero prima della cosiddetta legge sull’usura) fosse da considerarsi usurario (superando i limiti previsti dalle norme) era quello del pagamento degli interessi e non quello della stipula del mutuo.

Tali sentenze avevano creato un notevole allarme nel nostro sistema bancario (notoriamente propenso a difendere strenuamente e con ogni mezzo i propri interessi, alle spalle di quelli dei consumatori), in quanto creava una certa esposizione debitoria delle banche nei confronti dei propri clienti, peraltro incredibilmente gonfiata nelle stime fornite dall’ABI (l’associazione che riunisce le banche) e dall’ineffabile Fazio, governatore della Banca d’Italia, che parlano di ben 50.000 miliardi.

Cosa fa il nostro Governo in questa situazione?

Prevede, spalleggiando le banche e fregandosene altamente dei miliardi ingiustamente versati dagli italiani agli istituti di credito nel corso degli anni, con un provvedimento fortemente sospetto di incostituzionalità e ribaltando vergognosamente il principio stabilito nelle sentenze della Cassazione, la non risarcibilità degli interessi usurari pagati dai consumatori e, con un astruso meccanismo basato sulla media dei tassi dei BTP (buoni del tesoro poliennali) di un anno degli ultimi 25 anni, la rinegoziazione automatica, ad un tasso del 12,1% - addirittura superiore a quello previsto dalle norme precedenti – dei mutui a tasso fisso attualmente in vigore.

Il Senato ha successivamente provveduto, sull’onda delle veementi proteste pervenute da più parti (non ultimo da Rifondazione Comunista), a dare un contentino agli italiani,  riducendo la misura del tasso

 

d’interesse prevista dal Governo e prevedendo per le famiglie il 9,96% e per le imprese il 10,96%, ma anche in questo caso l’ABI, incredibilmente, si oppone.

Vedremo quale sarà la sorte del decreto governativo, una volta che esso sarà convertito in legge e diverrà quindi definitivo, senza illuderci che il risultato finale sarà favorevole agli interessi dei consumatori, soddisfacendo le loro sacrosante rivendicazioni e restituendo ai milioni di cittadini che si sono indebitati nei confronti delle banche quanto ingiustamente pagato.

Fabio Paganoni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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